Premio letterario SofiaPremio letterario SofiaPremio letterario Sofia
8ª edizione - (2005)

I tre musici
di Lara Bernardi
Menzione d'onore

Appena scesa in banchina, ho due persone subito davanti a me; la metropolitana arriva in fretta, si ferma e apre le porte: entrambi esitano, si scambiano parole che non capisco ed esito anch'io, senza sapere dove salire e quale porta prendere; voglio prendere la loro. Appena hanno deciso e salgono vado dietro a loro, trovo posto e mi siedo.
È stata una scelta volontaria, quella di prendere la loro stessa carrozza, perché ho voglia di ascoltarli; non è la prima volta che li vedo, e non voglio perdermeli.
Non sono artisti di strada; non sono nemmeno suonatori d'orchestra, o per lo meno non lo sono qui, ma forse lo sono stati in patria. Fanno parte di una categoria che è difficile definire, perché chi la compone è sempre diversa, ma i cambiamenti sono sottili e guardandola da lontano dà un'idea di sostanziale omogeneità. Sono i suonatori che vivono sotto terra. Underground, come il film di Kusturica: sono anche loro dell'est europeo, e nemmeno loro vedono mai il sole.
Mi rendo conto che c'è anche una terza persona, che però prima non avevo notato; forse perché è perfettamente vestito, potrebbe essere un impiegato in banca, e ha riposto il violino in una custodia per estrarlo solo una volta che la metropolitana è partita.
Rispetto al passato, in effetti, c'è stata tutta un'evoluzione, di questi gruppi: sembra quasi che, nato come elemosina, suonare sulle carrozze della metro sia lentamente divenuto un lavoro, con una sua dignità e con la sua classe di professionisti. E quelli che ora stanno per suonare sono professionisti a tutti gli effetti, e sebbene il fatto che non suonino in un auditorium possa togliere a ciò che fanno l'aspetto di un vero lavoro e di un'ancor più vera passione, ciò che dicono poco prima di iniziare restituisce a ciò che fanno tutta l'importanza che era stata messa in forse: Piccola orchestra balcanica, dirige il maestro Sdravko Dliposnak.
Improvvisamente, per tutti noi viaggiatori, è insolitamente facile sentirsi teletrasportati in un ipotetico locale ungherese, dove chi suona parla un italiano incerto e si rivolge al pubblico con un sorriso.
Molti smettono di leggere, alcuni di parlare, io di sfogliare il libro.
- Per-favore, pikola-oferta -. Non c'è nessun tono lamentoso, in queste ultime parole, solo la cadenza strascicata delle lingue slave. E poi, è una frase marginale, rispetto a tutto il resto.
Poi, suonano.
Non so cosa sia, perché sono abbastanza poco colta in materia di musica classica, ma mi ricorda una pubblicità, forse quella di un'automobile. So che non è la Fuga di Bach, né la Danza di Zorba, quella la riconoscerei tra mille perché dei loro compaesani la suonavano ogni sera in un ristorante a Vienna. Ma la musica mi prende, e molti che prima erano scettici sollevano lo sguardo e sorridono.
Quello che mi conquista, e che probabilmente ha conquistato anche i compagni di carrozza, è anche che nessuno di loro ha un'aria da mendico, e questo è apprezzabile quanto le doti musicali. Vedere il loro successo mi riempie il cuore; è bellissimo stare a vedere come uno dei tre riesca a far "parlare" il violino... sfiora le corde con la bacchetta, e quei fili di metallo sono come un prolungamento delle corde vocali quando parliamo e l'aria le fa vibrare... Scriveva Baudelaire: Le violon frémit comme un coeur qu'on afflige: quello strumento sa fremere delle emozioni che prova chi lo sta suonando.
Sposto lo sguardo e seguo il saxofono: ho visto gli spartiti, una volta... Per me che nell'alfabeto della musica scritta sono arrivata forse alle vocali, quelle sequele di note tutte diverse sembrano inafferrabili, e veder suonare uno strumento così complesso senza fogli davanti aggiunge un ulteriore tassello al mosaico di ammirazione che ho cominciato a costruire per loro da quando stanno suonando.
Al primo pezzo ne attaccano un secondo, e quando stanno per terminarlo il saxofonista smette di suonare e passa lungo la carrozza, per raccogliere l'approvazione del pubblico in un bicchiere di carta.
Gli altri due continuano a suonare, ma ormai in modo più scomposto.
Dei tre, uno mi colpisce particolarmente: vestito in modo meno elegante, spicca specialmente per i suoi capelli, che sono corti, e contemporaneamente una coda gli pende lunga sulla schiena; un'aria gitana, si può dire. Ha una chitarra a tracolla, e mentre parla con l'altro sfiora le corde, suona qualche nota, ed è abbastanza per capire...: improvvisamente, sembra nostalgico, malinconico, lontano, e chissà quant'altro ancora resta celato... ma è sorprendente la capacità espressiva della chitarra classica... Da un semplice arpeggio trapela spesso, di chi la sta suonando, molto di più di quanto possano mai dire le parole... I migliori discorsi non basteranno mai a spiegare la musica, è vero, ma a volte la musica riesce a spiegare le persone, e a sostituire tante parole.
Vorrei dare tanto, mettere tanto in quel bicchiere, e invece come a volte faccio sono uscita di casa senza portafoglio.
Allora sto per scrivere un biglietto con una sola parola, "Congratulazioni", o qualcosa di simile; prendo il libro che stavo leggendo prima che salissero, traccio due lettere poi qualcosa mi blocca: è quel pudore che fa vacillare, spesso, i miei slanci di carità verso il prossimo. Una volta ho passato via una mendicante senza darle niente, ma 10 metri dopo le sue suppliche silenziose e gli occhi che sicuramente teneva inchiodati alle mie spalle hanno riavvolto in senso inverso i miei passi, e le ho dato un soldo.
Questa volta, però, non ci riesco; quell'uomo mi passa davanti e poi passa oltre, con un sorriso, mentre la mia scritta è rimasta incompleta.
Ci pensano molti altri, a dare ciò che io in quel momento non ho.
I tre suonatori scendono, cambiano carrozza, e presto sento che qualcosa mi manca.
Cerco di richiamare la musica di prima alle mie orecchie perché qualcosa di loro mi resti, e nel frattempo fisso il libro e mi metto a pensare. Niente in me resta senza responso, e mai smetto di lasciar correre la mente al passato.
Una volta, in una strada di qualche città dell'est europeo un crocchio di persone era adunato insieme; ero piccola, mi sono fatta largo tra la gente fino ad arrivare davanti, e in mezzo al semicerchio stava un ragazzo con un tavolino inclinato davanti a sé: fissati a quest'asse, una ventina di bicchieri in cristallo erano riempiti d'acqua, ognuno con una quantità diversa. Ognuno, lisciandone il bordo, produceva un suono diverso. Poteva essere un'arpa, o un piano, o un cembalo, o nessuno dei tre allo stesso tempo, perché l'origine di quel suono era unico e diverso da ogni altra cosa. Mio padre è rimasto a seguirlo incredulo, e poi gli ha dato una moneta...
Non so se meritasse più ammirazione l'ingegno o la creatività, come dei tre suonatori della metropolitana non so se ciò che ha suscitato più simpatia fosse la dignità del loro modo di guadagnarsi da vivere, o il modo in cui, anche in una carrozza milanese, sottolineassero come fossero rimasti, in fondo, una Piccola Orchestra Balcanica.
O magari è piaciuto il modo in cui tutti e tre sembrassero tanto delle belle persone...
Non saprei dire...
So solo che, d'ora in poi, prenderò sempre con me una moneta da dare a chi riesce a portarmi l'Ungheria nella carrozza della metropolitana....


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Ultimo aggiornamento: 16 gennaio 2010