Racconto
Fuori piove. No, non propriamente piove, goccioline diffuse si sparpagliano nell'aria, impregnano le cose, le sciolgono. La via appare e scompare velata dall'aleggiare continuo di esili rondini d'acqua, uno stormo di gocce in festa si congiunge e si lacera in una danza senza armonia né colori. Solo l'inesausto e sporco ronzio del traffico mi assicura che sotto un'indefinita, umida profondità grigia, è una strada.
Abbandono la finestra socchiusa - fa freddo - e prima ancora ch'io desideri guardare, l'immagine della mia stanza con i mobili di ciliegio e i copriletto blu s'impossessa di tutta la realtà davanti a me, vi si identifica, mi avvolge. Ma è un attimo. Subito si riaffacciano, ognuna con la sua personale determinazione, le cose; eccola, allora, la mia stanza, un ammasso frammentato di cose, disordinate come è più comodo che siano, lì per un motivo che quasi sempre non ricordo. Ma dietro fogli ingombri di appunti, dietro orecchini-dischi-vestiti stirati-polvere, davanti a tutto, il libro sulla spalliera del letto. La stanza di nuovo mi circonda, mi sembra di esserne inghiottita, di appartenervi, non come alla strada fuori, o come agli altri, ma come a quel profondo e morbido luogo intimo, dentro di me, che sempre dalla strada e dagli altri mi salva, abbracciandomi. Woolf, Romanzi. Un distinto Meridiano, di quelli da tenere in bella vista nella libreria del salotto, ingenuamente regalatomi da mia madre il Natale scorso.
Ben oltre l'abitudine di non lasciar passare un mese senza riprenderlo in mano, senza sentire la verità frusciare come ali di farfalla, rivelarsi, fluire nelle sue parole, senza il contatto con quel puro significato, oltre tutto quello che vi può stare dentro, il fuori il contenitore l'esteriorità il suo viso.
Woolf, Romanzi, nome e opere in basso a sinistra; in grande, meraviglia, il suo viso. Mi abbasso, scarto di lato, torno di fronte, ma no, i suoi occhi non mi vedono, continuano il loro sguardo profondo, assoluto, malinconico, remoto; quegli occhi così coscienti dell'incolmabile separatezza degli esseri umani, della vanità di ogni tentativo di espressione, del fluire impietoso delle onde, dell'esistenza come aggregato mutevole di frazioni, di attimi, di percezioni, di momenti di essere, così tristi e immersi nella fatica di trovare un ordine, un ritmo in tutto questo - la scrittura, così grandi e spirituali e colmi di un'infantile tenerezza.
Insomma, bruciante, la sua bellezza, la delicatezza, di fronte alla quale il respiro esita e il pensiero inciampa. Guardo con sempre rinnovato stupore il suo viso, e come sempre non riesco ad arginare il ricordo di un foglio rosso in una busta rossa, chiusa in origine da un romantico sigillo in cera ora ridotto in frammenti, nel quale un amico, inondandomi del suo amore, mi diceva di aver pensato a quella foto che io portavo spesso in giro, mi diceva di aver capito cosa mi lega a quelle pagine intorbidate d'inchiostro, a quello sguardo che gli richiamava il mio nelle mie pause di distacco e di sogno: è il mondo al femminile, che in tutto il suo dirompente, inafferrabile, muto fascino, si rivela. Allora ricordo anche il male che quella lettera rossa mi ha fatto, perché come spiegare, come esprimere che io capisco, io condivido l'amore lì dichiarato? In quali parole racchiudere e definire l'emozione che quel femminile mi dà, il tremito-l'esitazione-l'adorazione-il desiderio-l'amore? Perché sì, amico mio, che amico sei rimasto nonostante la mia vile astensione dallo spiegarti perché non so cadere fra le tue braccia, né appoggiarmi al tuo petto virile, né essere compresa entro le tue forti mani, mi sciolgo quanto te davanti a questi occhi che sembrano affermare lievi la tenace sopravvivenza di una qualche bellezza, in questo lago di cose appuntite, alla rinfusa, nel quale cerchiamo di galleggiare, unendomi alla tua voce dico il mio dirompente, lacerante amore per questa bellezza, questa grazia triste e delicata, questo è per me amare una donna! E quanto silenzioso, liquido dolore mi fa tornare alla mente quella foto, quanta commozione e quanto trasporto, quanto oltre ciò che il viso di Virginia Woolf di per sé costituisce, eppure tutto in quel viso racchiuso, tutto in quel viso espresso!
Per quanto io mi sforzi, però, e saltelli a destra e a sinistra, non può esserci comunicazione, né reazione - è un involucro di cartoncino con dentro un libro. Eppure... eppure ci vuole ogni volta uno slancio di coraggio per leggere quel libro, perché è come una lotta, contro l'evidenza della sua morte, di un pensiero che per la sua purezza lirica, per la perfetta aderenza della forma al significato, sembra elevarsi limpido sopra la caducità delle cose del mondo, e poi invece finisce annegato in un fiume. Mi arrabbio, mi esaspero: è una burla ironica che il pensiero di una creatura estinta (e quel pensiero è quella creatura) possa pulsare vivissimo nelle pagine di un libro, e offuscare così la realtà della morte.
Virginia Woolf posa voltata di tre quarti, con i capelli raccolti dietro la nuca, spettinati, con un vestito semplice e scialbo intorno al collo, con una collanina floscia; forse inibita davanti ad una macchina fotografica che cerca di fermarne in un'immagine l'anima, distoglie lo sguardo; forse invece, fluttuante nel suo mondo di natura-arte-parole, neanche se ne accorge. Ma adesso davanti a lei ci sono io, anonima posterità, che tramite questo mezzo che sfugge al nostro dominio, che insieme arde e disseta, che apre uno spiraglio verso il divino e pure raffigura le cose, tramite l'arte, posso ascoltare il suo pensiero, accedere alla realtà dietro i suoi occhi. Ecco allora che il tempo e la morte ricadono, elusi. Prendo fra le mani il Meridiano con l'amore per una cosa viva - è vivo - e trionfo in questa vittoria.
Lo riappoggio in bilico dov'era, forte di questa rinnovata certezza: esiste una bellezza, timida, salvifica, annidata fra le cose e la polvere, che risiede nel tentativo che gli esseri umani benché muti fanno insieme per sopravvivere, nel sole e nel suo amplesso con la natura, nella commozione, nel bene; qualcuno prima di me ha saputo raccogliere ed esprimere questa bellezza, e nulla di quanto è brutto o doloroso può oggi impedirmi di immergermici, di farla mia, di cercare a mia volta di darle forma. Qualcuno ha sublimato in parole quello che scopro man mano essere il mio modo di sentire, qualcuno nel suo solo sguardo incarna tutta questa bellezza.
E mi è possibile, allora, tornare a guardare il grigio freddo fuori dalla finestra, senza esserne schiacciata.
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