Moulin Rouge
Parte Prima
I
Preludio od onirico Termine
Era una fredda mattina: dopo il furioso temporale della notte, i raggi di un timido sole invernale filtravano tiepidi attraverso la coltre delle nubi, che pure celavano completamente il cielo.
Dalle vie umide e deserte ai giardini bagnati di rugiada, tutto era come immerso in un'immobile, silenziosa, soffusa luminosità.
Un giovane arrivava, il 1° di dicembre del 1899, nella meravigliosa Parigi, fremente di vita ed arte.
Sceso dalla sordida carrozza con il suo leggero bagaglio, istintivamente, si riempì i polmoni di quell'aria gelida con un profondo, prolungato respiro; poi si incamminò, rincuorato di muoversi finalmente con le proprie gambe dopo la lunga e forzata immobilità.
Era stato un viaggio molto faticoso, di una lunghezza estenuante: dopo aver immaginato per tutta la notte, insonne, gli anonimi paesaggi che gli sfilavano invisibili davanti agli occhi, spontaneo un misto di sollievo e, oserei dire, incerta fiducia, lo accolse alla stazione.
In quel giovane vi era qualcosa di quasi inafferrabile, qualcosa d'ingenuo e candido, che sempre più andava corrompendosi, in quei giorni di passaggio, in infantile, maldestra, sciocca sensazione, che solo pochi appena percepivano.
Andava anzi sempre più in lui creandosi un'inconfessata, ardente volontà, sconosciuta ai suoi desideri immediati e percepibili ma latente, ribollente nel subconscio, di distruggere con furore (era tempo ormai che questi pensieri giacevano pesanti in lui) quanto nel suo animo stava degenerando.
Queste morbose passioni, che lo agitavano nascostamente, erano celate dal proposito, così spesso ripetuto, di scrivere; anche l'argomento gli era chiaro, curiosamente più di ogni altra cosa: egli avrebbe scritto dell'Amore.
Non si poteva dire che quella fosse la prima volta che vedeva Parigi, nonostante non vi fosse mai stato prima: tante volte, nelle sue fantasie, ne aveva percorso le vie e visitato i luoghi, accompagnato per mano dagli affascinanti racconti di un amico, un musicista che lì era vissuto per anni.
Il primo incontro fisico con la città non fu però quello che egli si aspettava.
Invece di osservare ogni cosa per confrontarla con l'idea che ne aveva, di aggirarsi meravigliato, di perdersi interamente nella contemplazione di altro da sé (così aveva pensato che sarebbe andata), venne completamente assorbito, quasi istantaneamente, da profondi, torbidi pensieri...
II
Continuazione o Temporaneo assopimento
Doveva ormai essere trascorso parecchio tempo, forse ore, quando il giovane tornò in sé; subito fu assalito da una stordente sensazione di smarrimento.
Si guardò intorno: si trovava in un vicolo, piuttosto angusto e completamente deserto; non ricordava assolutamente come ci fosse arrivato. Il cielo nel frattempo, tradendo le sue promesse, si era completamente oscurato: alle nuvole se n'erano aggiunte delle altre, nere, che preannunciavano pioggia.
Quanto era strano quello che gli era appena accaduto! Mai prima di allora aveva provato un tale estraniamento: aveva camminato, ma non riusciva a ricordare i luoghi percorsi; aveva pensato, ma non rammentava cosa.
Una impressione ancora maggiore gli procurava il fatto di essere appena arrivato a Parigi, quando la reazione che si aspettava era come già detto ben diversa, di modo che questa alienazione appariva ancora più innaturale.
E tuttavia la prospettiva che avrebbe dimenticato (che cosa poi, se non un intrico nebuloso e confuso?) più di tutto lo terrorizzava.
Ma ora che aveva riacquistato completa coscienza di sé, fu preso d'un tratto da un'inspiegabile ansia, una smania nervosa e prossima all'ipocondria: cominciò a ribollirgli nel petto, poi si trasferì agli arti, ai muscoli. Il passo accelerò, diventò corsa, egli corse fuori dal vicolo, raggiunse la riva del fiume e cominciò a percorrerla a perdifiato sotto i lampioni, nuovamente si inoltrò in un intrico di vicoli, senza mai rallentare...
Un lampo squarciò il cielo, una pioggia scrosciante e dirotta cominciò a riversarsi dallo squarcio.
Improvviso il giovane si fermò sotto la pioggia battente. La sua attenzione era stata attratta da un'insegna, nella quasi completa oscurità luminosa.
Con gli occhi spalancati, il volto atteggiato ad un'espressione di esterrefatta inquietudine, lentamente vi si avvicinò. A grandi lettere rosse vi si leggeva: Moulin Rouge.
"Questa situazione ha raggiunto l'assurdo ormai da un pezzo, ma ora certo l'assurdità tocca il suo apice." pensò il giovane, e sedette, improvvisamente pensieroso, sul marciapiede, proprio di fronte all'insegna. Conosceva per fama quel locale notturno, spesso vi aveva riflettuto, concludendone che certo mai vi sarebbe entrato, per una sorta di repulsione che nasceva nel suo animo al pensiero della corruzione che, se ne era convinto, il solo ingresso avrebbe comportato. E ora provava timore per la strana attrazione che quel luogo dissoluto esercitava su di lui. Oltre a ciò il modo in cui questa aveva attirato la sua attenzione, il momento stesso non sembrava casuale, ma quasi predestinato. E ancora, egli aveva sempre disdegnato ogni forma di superstizione, ma quella lo sconcertava, non riusciva a liberarsene.
Un groviglio di pensieri confusi e strani crebbe in quella mente scossa, assolutamente insondabile: ma come si può dare colpa all'intelletto per non averlo saputo districare? Perché, in quel momento, l'intelletto era l'unico mezzo che avesse a sua disposizione, certo non adatto al compito che egli pretendeva di affidargli.
Progressivamente quelle insolute questioni si attutirono, un tremendo senso di vuoto ne prese il posto; ma anche quello stesso vuoto era come vago ed indistinto, tutto lo era.
Una penosa apatia lo accompagnò, mentre si allontanava sotto la pioggia fine e fastidiosa.
III
Veglia
Era ormai trascorso quasi un mese dal controverso arrivo del nostro e la fine del secolo, ormai prossima, portava con sé la rivoluzione Bohemienne.
Timidamente il giovane Nikolàj si era sistemato in un piccolo sottotetto, scomodo e minuscolo, ma perfetto ai suoi occhi.
Aveva trovato quella sistemazione fortunosamente, proprio quella stessa sera: scontento ed infreddolito si aggirava per la collina di Montmartre, ormai rassegnato ad una sistemazione temporanea in una pensione, quando aveva notato, affissa sul portone d'ingresso di un bel palazzo, costruito secondo lo stile, che tanto lo affascinava, dell'Art Noveau, un'offerta di camere in affitto. Senza pensarci due volte, si era informato presso l'anziana padrona dello stabile; vedendolo ne era stato conquistato all'istante e, messosi d'accordo per il pagamento, si era sistemato la sera stessa.
Nei giorni seguenti si era manifestata quella meraviglia che all'arrivo gli era stata preclusa, ed egli si era abbandonato con un piacere tutto nuovo alla palpitante vita parigina.
Ora però, da una settimana a questa parte, nell'animo di Nikolàj Andréevic stava avvenendo un altro mutamento: la felicità dei primi giorni l'aveva a poco a poco abbandonato, ed egli si rabbuiava sempre più.
Qualche giorno prima, invece di alzarsi di buon'ora come era solito fare, il suo sonno si era prolungato innaturalmente, e sogni tormentosi lo avevano turbato. Alzatosi di malavoglia e ancora sonnolento, si era accorto con pigra, indolente sorpresa, che non aveva nessuna voglia di uscire. Per due giorni interi, tra l'altro insolitamente miti e solari, non trovò la forza per muovere un solo passo fuori del suo tetro stanzino: si sentiva nervoso, insofferente, e come indispettito. Il pomeriggio del terzo giorno, non potendo più ignorare le splendide giornate di sole che si stava perdendo, si risolse a fare una breve passeggiata; si preparò pigramente, e senza una particolare convinzione s'incamminò.
Non l'avesse mai fatto! Ora più che mai una sorta di cupo risentimento lo adombrava, tutto il piacere, che quelle passeggiate gli avevano sempre procurato, era svanito, come defluito impercettibilmente ma costantemente da una qualche invisibile falla.
Una volta rientrato, Nikolàj si rese conto di covare dentro di sé rabbia, e risentimento; ma questi sentimenti non erano appassionati e sinceri, dato che non ne conosceva la causa, né l'oggetto; quegli stessi sentimenti, nel momento in cui li avvertiva, gli riuscivano fastidiosi.
E così, negli ultimi giorni, tutto quello che aveva per un poco amato degenerava, spogliato di tutta la sua attrattiva: sempre più di malumore cominciò ad evitare gli amici, studenti come lui conosciuti ai corsi di letteratura, tutti gli stimoli intellettuali che Parigi gli offriva gli diventarono odiosi, ed infine la città stessa lo divenne.
IV
Intermezzo
In questo travagliato stato d'animo Nikolàj camminava, una serena sera di fine secolo, senza meta e senza scopo, ma profondamente assorto, come ormai non gli capitava da giorni. Gli era venuto in mente, come se fosse stato sepolto per anni ed ora tornasse alla luce, quel suo desiderio di scrivere; si meravigliò di non averci ancora pensato per tutto quel mese. Persino la sua macchina per scrivere era ancora nel bagaglio, mai toccata da quando lì era stata riposta.
Era tutto intento ad analizzare le cause di quell'amnesia e il sole, basso sull'orizzonte, gli illuminava il volto dispensando i suoi ultimi raggi, quando d'improvviso il suo sguardo incontrò, fugacemente, quello di una ragazza, che camminava in direzione contraria alla sua e gli passò accanto, quasi sfiorandolo.
Il giovane Nikolàj si fermò, abbassò un poco lo sguardo, e per un attimo fu quasi corrucciato, e come perso; dopo un breve, sospeso istante si riebbe, e sul suo viso si dischiuse un timido, spontaneo sorriso; alzò infine gli occhi per ammirare quel bellissimo cielo.
Per un poco rimase così; poi, ripresosi, si voltò ansioso, in tempo per vederla mentre scompariva, con passo aggraziato, tra la folla. Stupito della sua stessa risolutezza, egli cominciò a ripercorrere i propri passi, giù per il lieve pendio, e di nuovo la rivide per un istante prima che, imboccata una strada laterale, sparisse nuovamente. Accelerò, facendosi largo nella strada gremita di gente, seguendo i passi della giovane; appena si affacciò su quella via, la sua memoria fece riaffiorare, per la prima volta in modo nitido, ricordi quasi cancellati: riconobbe la strada, il marciapiede su cui si era seduto, l'insegna.
Proprio in quel momento la ragazza entrava nel Moulin Rouge.
Lentamente si avvicinò all'ingresso; vi era affisso un elaborato manifesto, su cui campeggiava a grandi caratteri: "Spettacolo Spettacolare", che, come veniva spiegato più sotto, era il titolo di una commedia ballata e musicata, una grande rappresentazione Bohemienne. La prima era proprio quella sera.
Nikolàj sembrò esitare un momento, poi entrò a sua volta.
Nel locale in penombra, illuminato solo da poche lampade ad olio, ebbe l'impressione di trovarsi, più che in una sala da ballo, in un teatro: tutto lo spazio disponibile era occupato da numerose file di poltrone di velluto rosso, e sul fondo della sala era stato allestito un grande palcoscenico, con un sipario di pesanti tendaggi, anch'essi rosso porpora.
Con circospezione, Nikolàj mosse alcuni passi, raggiunse la platea, e si sedette in una delle ultime file. La sala era ancora quasi del tutto vuota, eccetto poche poltrone occupate, isolate le une dalle altre, e qualche gruppetto che discuteva in piedi, ai lati della sala e nel corridoio centrale.
Percorse più volte il locale con lo sguardo, ma non riuscì a vederla da nessuna parte, così decise di attendere almeno l'inizio dello spettacolo, a cui, secondo quanto era scritto sul manifesto, mancava ancora una buona mezz'ora.
Le luci avevano già cominciato ad abbassarsi, quando la rivide nell'atto di sedersi poche file davanti a lui. Subito dopo il buio della sala fu completo, e non gli restò altro da fare che concentrarsi su ciò che gli si offriva.
Parte Seconda
I
Spettacolo spettacolare
(India. In lontananza si distingue la sagoma di un palazzo orientale. In un lussureggiante giardino è stato allestito, sull'erba soffice, tra piante esotiche, un comodo giaciglio con numerosi tappeti e cuscini. Alcuni uomini e donne sono sdraiati scompostamente in quel groviglio, tutti profondamente addormentati. Nel mezzo e in posizione più elevata, su una sorta di rigonfiamento, è abbandonata una bella cortigiana.
Sta albeggiando; è una giornata serena. Uno tra questi si sveglia, si muove un po' indolente, poi si alza penosamente; guarda brevemente gli altri, infine si volge al pubblico).
Narratore: (sbadigliando, visibilmente assonnato) "Ahimè, sorge un altro giorno!" (poi, quasi tra sé e sé) "Ogni mattina si fa sempre più difficile svegliarsi." (di nuovo ad alta voce, dopo un attimo di silenzio) "E poi questo sole! Ah, quanto lo odio! Mai, mai una volta che sia una, una bella giornata uggiosa e nuvolosa, di quelle che ti invogliano a restare a letto, a prolungare il sonno: ogni mattina, al risveglio, c'è sempre questo... questo... importuno, che ti costringe ad alzarti con la sua luce. È una vera e propria violenza che ci fa!"
(Mentre il narratore parla a questo modo, lentamente anche gli altri si destano e cominciano a stiracchiarsi indolenziti. Solo la cortigiana nel mezzo rimane addormentata ed immobile. Uno degli altri la scuote leggermente per un braccio, ma lei lo respinge improvvisamente con fare vezzoso, poi torna a sdraiarsi, con espressione soddisfatta).
Narratore: "Eh, eh... crede, si illude di poter star lì a fare il proprio comodo, ma anche lei si dovrà alzare, non c'è scampo!"
(All'improvviso un prolungato squillo di trombe turba l'indolente affaccendarsi di quelli, che spaventati si affrettano a raccogliere tutte le loro cose e a scappare fuori dalla scena, mentre lo squillo riprende insistente. Anche la cortigiana, svegliata da tutto quel trambusto, sente le trombe e comincia anch'ella, frenetica e spaventata, a frugare in mezzo a cuscini e tappeti. Il suono improvvisamente cessa e la cortigiana si ferma impietrita. Entra il maragià, seguito da due guardie, che si dispongono ai lati dell'ingresso. Il narratore con tutta calma si nasconde dietro ad un albero o un cespuglio, vicino alla platea, e si mette in ascolto con avida curiosità).
Maragià: (di fronte alla cortigiana, dando le spalle al pubblico e togliendosi la maschera che gli copre il volto) "Le vostre grazie superano quelle di qualunque altra donna su cui abbia mai posato gli occhi. Questa sera mi darete il piacere di cenare con me a palazzo."
(La cortigiana si alza di scatto in piedi e abbassa il viso a terra, tutta tremante. Il maragià, detto questo, si rimette la maschera con gesti misurati, poi esce accompagnato dalle guardie. La cortigiana, visibilmente turbata, torna a sedersi al suo posto).
Narratore: (uscendo dal suo nascondiglio e trattenendo a stento le risa) "Hai visto? Per quel tuo stupido capriccio di startene sdraiata sempre un momento in più, guarda in che guaio ti sei messa: invitata a cena dal maragià! Stupida! Dovresti imparare a startene al tuo posto come gli altri, e svegliarti per tempo!"
Guardia: (ancora fuori scena) "Fermo, in nome del maragià!"
(Si sentono dei passi affrettati, poi entra in scena correndo un ragazzo vestito poveramente, che si nasconde dietro la cortigiana, coperto dai cuscini e dal suo corpo. Irrompono correndo altre due guardie).
Guardia: (rivolgendosi al narratore) "Avete visto un ragazzo passare di qua? Lo dobbiamo catturare, per ordine del maragià!"
Narratore: "Mah... non saprei proprio..."
Guardia: "Allora, l'avete visto o no?"
Narratore: (con aria disinteressata) "E dite un po', valorosi gendarmi, il maragià offre qualche ricompensa per la cattura?"
Guardia: (con prepotenza lo prende per la camicia) "Piuttosto preoccupatevi di quello che potrebbe capitarvi se vi opporrete alle regali disposizioni!"
Narratore: (fissando la guardia con odio) "Sono spiacente gendarmi, non ho visto nessuno."
(Dopo un attimo la guardia lo lascia andare, poi entrambe escono di scena dalla parte opposta.)
Narratore: (risistemandosi il vestito) "Ma guarda un po' questi galoppini, che razza di maniere. Bisogna stare attenti a misurare bene le parole!"
(Nel frattempo, il giovane e la cortigiana, entrambi scossi, si sono avvicinati, e guardandosi negli occhi si sono stretti le mani a vicenda).
E il Narratore: (accorgendosi dei due, con sarcasmo) "Oh, guardate quei due... Ma si potrebbe immaginare una scena più strappalacrime? Due povere anime oppresse vengono unite da una sventura comune, e insieme si propongono di affrontarla. Il mio povero cuore piange nel vedere tutto ciò!"
II
Un buco nel cielo di carta
Lo spettacolo scorreva via, prevedibile e banale, e stranamente triste, quando Nikolàj venne completamente spiazzato da una scena che gli provocò una fortissima impressione.
Il maragià aveva annunciato con grande solennità di aver scoperto i due amanti, e dato l'ordine di aprire le porte del loro rifugio d'amore; ma, dietro di esse, la cortigiana in lacrime, reclinata sul pavimento, era sovrastata da un attore, mai comparso prima e vestito con abiti normali, che le stringeva un braccio con forza.
I due, come frastornati dalle luci del palcoscenico, si voltarono stravolti verso la platea.
"Non mi inganna!", sentenziò il maragià artificiosamente, dopo un attimo di esitazione, quasi di sorpresa, "sebbene abbia indossato un travestimento non mi inganna: perché è lui, il temerario che osa insidiare la mia donna!".
Dopo che una sorta di smarrimento collettivo, che pareva aver coinvolto tutti gli attori, sembrò ricomporsi, l'amante trascinò con sé la cortigiana nel mezzo della scena; questa si accasciò a terra ed egli, mal celando le lacrime, gettò ai suoi piedi dei soldi.
"Non ti devo più niente", le disse, rivolgendosi a lei con un impeto di rabbia innaturale; ella, lo si poteva intuire, non era la causa di questa rabbia, né questa era contro di lei rivolta. Poi, al maragià: "lei è vostra adesso".
Scese dal palco, e cominciò ad allontanarsi, attraverso la sala silenziosa. Dai loro volti, dai loro gesti, trasudava un dolore infinito, terribile.
Ma, davvero inspiegabilmente, il vuoto che si era generato sembrò svanire, e la frattura ricomposi, nello sguardo della cortigiana: mentre già il maragià le si stava avvicinando la sua voce si levò, rotta dal pianto, bellissima, e intonò uno struggente canto d'amore:
"Non avrei mai immaginato di potermi sentire così
È come se il cielo
mi si fosse appena rivelato
Vorrei svanire nel tuo bacio,
ogni giorno ti amo di più
Ascolta il mio cuore, non lo senti cantare?
Torna da me, e perdona ogni cosa
Le stagioni si succedono, dall'inverno alla primavera;
Ma io ti amerò, sempre"
Egli si fermò, a pochi metri dal fondo della sala, lo sguardo fisso davanti a sé, perso nel vuoto. Nikolàj lo vedeva bene, era proprio ad un passo da lui.
D'un tratto si voltò e la guardò negli occhi.
Il volto, fattosi serio e contratto nel guardarla, così come la morsa che gli serrava il cuore si allentava, si distese in un sorriso.
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