Premio letterario SofiaPremio letterario SofiaPremio letterario Sofia
7ª edizione - (2004)

Un'esperienza di lettura dal "Simposio" di Platone - Socrate e Alcibiade

 

"Agatone, per favore difendimi tu" - dice Socrate - "voler bene a quest'uomo non mi costa certo poco. È geloso, invidioso, mi fa delle scene, me ne dice di tutti i colori!".
"Ascoltami" - dice Erissimaco - "prima che tu arrivassi, avevamo deciso che ciascuno al suo turno avrebbe fatto un discorso sull'Eros, il più bel discorso d'elogio. Noi l'abbiamo già fatto, adesso tocca a te".
"Ben detto, Erissimaco" - risponde Alcibiade - "solo che se uno ha bevuto troppo, non può dire cose che stanno alla pari con chi è sobrio. E poi c'è Socrate: credi forse una sola parola di quel che ha appena detto? Non lo sai che è tutto il contrario?".
"E allora fa' così" - dice Erissimaco - "se vuoi: fa un elogio di Socrate".
"Che dici?" - riprese Alcibiade - "tu credi che dovrei...".
"Che ti passa per la testa?" - dice Socrate- "perché mai vuoi fare il mio elogio? Per prendermi in giro?".
"Voglio solo dire la verità: a te accettare o meno".
"La verità? Benissimo, allora accetto. Anzi ti chiedo io di dirla".
"Presto fatto" - dice Alcibiade - "quanto a te, ti assegno un compito: se dico qualche cosa che non è vera, tronca a metà le mie parole, se vuoi, e dimmi che su quella cosa lì io mento, perché io volontariamente non racconterò certo delle balle. Però mescolerò un po' tutto nel mio discorso, e tu non meravigliarti, perché tu sei proprio un bel tipo e non è certo facile nello stato in cui sono, ricordare con ordine proprio tutto.
Per fare l'elogio di Socrate, amici, ricorrerò a delle immagini. Sono sicuro che lui penserà che voglia scherzare, e invece sono serissimo, perché voglio dire la verità. Io dichiaro dunque che Socrate è in tutto simile a quelle statuette dei sileni che si vedono nelle botteghe degli scultori, con in mano zampogne e flauti. Se si aprono, dentro si vede che c'è la statua di un dio. E aggiungo che ha tutta l'aria di Marsia, il satiro.
Ma, si dirà, Socrate è forse un suonatore di flauto? Sì, e ben più bravo di Marsia. Lui incantava tutti con quel che riusciva a fare col flauto, tanto che ancora oggi chi vuol suonare le sue arie deve imitarlo. Anche le musiche di Olimpo, io dico che erano di Marsia, il suo maestro. Le sue arie, suonate da un grande artista o da una ragazzina alle prime armi, sono sempre le sole capaci di incantarci, di farci sentire quanto bisogno abbiamo degli dei: ci viene voglia di essere iniziati ai misteri, perché quelle musiche sono divine. Tu, Socrate, sei diverso da Marsia solo in questo, che non hai affatto bisogno di strumenti musicali per ottenere gli stessi risultati: ti bastano le parole. Una cosa è certa e dobbiamo dirla: quando ascoltiamo un altro oratore, il suo discorso non interessa quasi nessuno. Ma ascoltando te, o un altro - per mediocre che sia - che riporta le tue parole, tutti, ma proprio tutti, uomini, donne, ragazzi, siamo colpiti al cuore: qualcosa che non ci fa stare tranquilli si impadronisce di noi.
Quanto a me, amici, non vorrei sembrarvi del tutto ubriaco, ma bisogna che vi dica - come se fossi sotto giuramento - quale impressione ho avuto nel passato, ed ho ancora, ad ascoltare i suoi discorsi. Quando lo sento parlare, il mio cuore si mette a battere più forte di quello dei Coribanti in delirio e mi emoziono sino alle lacrime: e ne ho vista di gente provare le stesse emozioni. Ora, ascoltando Pericle ed altri grandi oratori, mi accorgevo certo che parlavano bene, ma non provavo niente di simile: la mia anima non era travolta. E ancora adesso, lo so benissimo, se accettassi di prestare ascolto alle sue parole, non potrei farne a meno: proverei le stesse emozioni. Devo quindi fare violenza a me stesso, tapparmi le orecchie come se dovessi fuggire dalle Sirene, devo andar via per evitare di passare con lui il resto dei miei giorni. Ci sono volte che non vorrei più vederlo al mondo, ma se questo accadesse so che sarei infelicissimo. Così, io non so proprio che cosa fare con quest'uomo! Ecco l'effetto delle sue arie da flauto, su di me e su tanti altri: ecco cosa questo satiro ci fa subire. Ma ascoltate ancora: voglio proprio mostrarvi come somigli alle statuette a cui l'ho già paragonato, e come il suo potere sia straordinario. Sappiatelo per certo: nessuno di voi lo conosce davvero e io, siccome ho già cominciato, voglio mostrarvelo sino in fondo. Guardatelo: Socrate ha un debole per i bei ragazzi, non smette mai di girare loro attorno, perde la testa per loro. D'altra parte lui ignora tutto, non sa mai niente - questa almeno è l'immagine che vuol dare. Non è questa la maniera di fare di un sileno? Sì certo, perché questa è l'immagine esterna, come quella della statuetta di sileno. Ma all'interno? Una volta aperta la statuetta, avete idea della saggezza che nasconde? Amici miei, sappiatelo: che uno sia bello, a lui non interessa affatto, non se ne accorge neppure e lo stesso accade se uno è ricco o ha tutto quello che la gente ritiene invidiabile avere. Per lui, tutto questo non ha alcun valore, e noi non siamo niente ai suoi occhi, ve lo assicuro. Passa tutta la sua giornata a fare il sornione, trattando con ironia un po' tutti. Ma quando diventa serio e la statuetta si apre, io non so se avete mai visto che immagini affascinanti contiene. Io le ho viste, simili agli dei, preziose, perfette e belle, straordinarie: e così mi sono sentito schiavo della sua volontà. Una volta allontanai i miei amici - di solito ce n'era sempre qualcuno quando vedevo Socrate, e non eravamo mai soli - e così restai da solo con lui. Eccomi dunque con lui, amici, da soli. Io credevo che avrebbe ben presto cominciato a parlare, e ne ero felice, invece non fa assolutamente niente, come sempre... Insomma, completamente schiavo di quest'uomo gli giravo vanamente attorno.
Molti altri aspetti del carattere di Socrate potrebbero essere oggetti di un elogio, perché sono veramente ammirevoli. Riguardo a queste cose, però, anche altri uomini probabilmente meritano gli stessi elogi. C'è qualcosa in Socrate, invece, che lo rende meravigliosamente unico, assolutamente diverso da tutti gli altri uomini del passato e del presente. C'è una cosa che ho dimenticato di precisare: anche i suoi discorsi sono simili alle statuette dei sileni che si aprono.
Infatti, se si ascolta quel che dice Socrate, a prima vista le sue parole possono sembrare quasi comiche, tutte intrecciate con strani discorsi. Parla di asini da soma; di fabbri, di sellai, di conciatori di pelli, ed ha sempre l'aria di dire le stesse cose con le stesse parole. Chi non sa o è poco attento, c'è caso che rida dei suoi discorsi. Ma se li apri e li osservi bene, penetrandone il senso, scopri che solo le sue parole hanno un loro senso profondo. Chi lo ascolta è guidato a tenere sempre davanti gli occhi tutto quel che è necessario per diventare un uomo che vale.
Ecco, amici, il mio elogio di Socrate. Quanto ai rimproveri che ho da fargli, li ho mescolati al racconto di quel che mi ha combinato. Del resto non sono il solo che ha trattato in questo modo: ha fatto lo stesso con Carmide, il figlio di Glaucone, con Eutidemo, il figlio di Dioele, tutta gente che ha ingannato con la sua aria da innamorato, con la conseguenza che furono loro ad innamorarsi di lui
".
Quando Alcibiade ebbe parlato così, l'ilarità fu generale, anche perché s'era capito ch'era ancora innamorato di Socrate.
E così Socrate gli disse: "Tu non hai affatto l'aria d'aver bevuto, Alcibiade. Altrimenti non avresti fatto un discorso così sottile, tutto fatto per nascondere il tuo vero obiettivo, che è venuto fuori solo alla fine: ne hai parlato come se fosse una cosa secondaria, e invece tu hai fatto tutto un lungo discorso solo per cercare di guastare l'amicizia tra Agatone e me. E tutto perché sei convinto che io debba amare solo te, nessun altro che te".
"Per Zeus" - disse Alcibiade - "quante me ne fa passare quest'uomo! Pensa sempre come fare per aver l'ultima parola con me. Socrate, sei proprio straordinario!".

Era stremato, Alcibiade; stremato e umiliato.
Affranto.
Il momento, l'inizio della fine o l'inizio dell'inizio, era dunque giunto.
Ora, avrebbe messo nelle mani di Socrate il suo cuore; gli avrebbe svenduto quel po' di dignità che (forse) gli rimaneva. Così, nella speranza di avere tutto e nella paura di non ottenere nulla e pregando tutti gli dei dell'Olimpo perché Socrate gli parlasse con vera sincerità, disse: "Mio caro Socrate... mio adorato Socrate... credi, davvero, per me è difficile dirti questo... ma io ti ho amato, più di ogni altro, e più di ogni altro tu mi hai inflitto sofferenze e inimmaginabili tormenti. Ho pensato molto, infinitamente, a tutto ciò che è stato tra noi. Ho passato tante di quelle notti consumandomi di pianto e lacerandomi l'anima che ormai, non riesco più a contarle. E ora, sono qui, con una determinazione e una forza che non so neanch'io da dove nascono, a dirti che per quel che mi riguarda, sia ben chiaro, io non ho detto niente che non penso.
A te, adesso, decidere ciò che è meglio per noi.
A te, adesso, l'ultima parola.
A te, adesso, scegliere di amarmi o di odiarmi... perché non ci sono vie di mezzo, Socrate. Non con me.
Ti lascio libero, se è questo che desideri, vedi?
Se scegli di restare, però, non accetterò più il tuo concederti a metà, il tuo mostrare solo la parte migliore. Io voglio tutto: tutto l'amore che hai, tutto l'amore che c'è, tutti i tuoi difetti insieme ai pregi...
Ora vado, è già l'alba... le cene, a parer mio, durano davvero troppo a lungo alcune volte... che bello questo cielo così rosa, così cristallino. Mette di buon umore e fa credere che tutto sia possibile...".
Ciò detto si voltò e prese la strada per tornare a casa.

Alcibiade, ma questo a Socrate non lo disse, considerava il suo discorso come l'ultimo tentativo di chiarimento di una lunga serie.
Poi, non avrebbe fatto più nulla, se non attendere, per qualche tempo (anche se la pazienza non era davvero il suo forte) che Socrate si decidesse a parlare.
Alcibiade troppe volte, da troppe persone aveva troppo a lungo atteso risposte che, alla fine, non erano mai arrivate.
Francamente, pensò, sono stanco di rincorrere chi amo.
Lui sapeva, certo, che sarebbe rimasto, sempre e comunque, allievo di Socrate; proprio per questo gli avrebbe portato il rispetto che gli doveva indipendentemente da ciò che il suo maestro avrebbe deciso per loro due; si sarebbe comportato in modo corretto, facendo forza su se stesso e avrebbe rispettato, anche se non le capiva, le regole imposte dai differenti ruoli.
Poi... poi si fece largo il solito, vecchio, eterno dubbio di Alcibiade: erano quelle regole, o piuttosto il volere di Socrate, a mettere tra loro quel muro, freddo come soltanto gli inverni a Potidea sapevano essere?
Chiaramente Alcibiade sperava che Socrate potesse avere il desiderio, il tempo e la possibilità per divenire sua guida, fratello ed amico, una luce in luoghi oscuri quando ogni altra luce si spegne, ma Alcibiade sapeva anche di preferire mille volte il nero al grigio, il niente nel niente piuttosto che un mezzo qualcosa.
All'inizio o alla fine di un rapporto vi è, come base, la volontà. Non è il tempo o il caso a decidere, ma la volontà. Non si sceglie chi amare, è vero.
Si può scegliere, in ogni caso, la verità; nel bene o nel male.

Nessuno, mai, aveva fatto versare una lacrima a Socrate.
Nessuno, mai, l'aveva fatto dubitare di sé stesso o della sua correttezza nell'agire.
Ma era questo che ora stava accadendo.
Il grande maestro si trovava spiazzato come un bimbo al suo primo schiaffo. Cos'era accaduto? Che aveva cambiato in lui quell'Alcibiade?!
Sì, d'accordo erano stati amanti, amici e perfino compagni di guerra, laggiù a Potidea... ma quanti amanti e amici e compagni di guerra aveva già perso Socrate senza curarsene?
Cosa c'era di differente in quest'uomo che pretendeva, con una sicurezza che a tratti mutava in arroganza, di conoscerlo, e a fondo per giunta!
"Pazzo! Pazzo! Vuole trasformare in ossessione per la vita l'avventura di una notte... mi parla di mille pianti che gli hanno consumato gli occhi e questo dovrebbe spingere anche me a consumare i miei?! Per lui? Per noi? È pazzo... vi dico... e stupido io, qui, a camminare senza posa, avanti e indietro per questa stanza, dandomi tanta pena per un affare tanto stupido...".
Che grande mentitore, che grande ingannatore di menti era Socrate! Così abile ed astuto da riuscire a truffare perfino sé stesso.
"Cosa si crede quel... quel... quell'idiota?! Vuole forse... non so... CHE VUOLE DA ME! PER ZEUS! Non sono io a sbagliare. Da me non avrà altra risposta all'infuori di un duraturo silenzio. Io vedo bene la verità, oggi come ieri, e il giorno prima, e quello prima ancora.
Adesso basta. Ho già sprecato troppo del mio prezioso tempo su questa vicenda che con oggi termina. Basta
".

...E Alcibiade, dopo aver atteso diversi giorni, capì che quel silenzio era un no, un addio; capì che non avrebbe mai più rivisto Socrate; capì che era finita, finita davvero.
Ci mise molte ore, ma infine, grazie anche all'aiuto di alcuni servi, sette grossi e pesanti bauli giacevano davanti alla porta, chiusa, di casa sua; al termine della via lo attendevano tre carri e al porto una nave, pronta a salpare verso il tramonto e la Numidia.
Seduto, le gambe raccolte tra le braccia, Alcibiade sobbalzava a ritmo del carro che lo portava dal passato al futuro. Alzò lo sguardo e tese il collo per poter scorgere, l'ultima volta, tra le fronde dei cipressi, la casa del maestro. Vide quel muro candido che conosceva così bene in ogni suo centimetro, scaldato appena di amaranto dal sole che stava per andare a dormire; vide, andando verso il suo destino, tutti i luoghi che gli erano stati cari; e vide anche il tempietto dedicato a Venere, dea dell'amore (che caso strano questo...) dove aveva incontrato Socrate la prima volta, molti anni prima, e... sorrise.
Sorrise.
Non di rimpianti, di nostalgia o di tristezza.
Sorrise di comprensione e di speranza.
Comprensione per quell'uomo che amava e non era riuscito a cambiare.
Speranza perché ora andava verso una nuova vita, risoluto nell'intento di viverla.
Speranza perché in fondo all'anima credeva, o meglio, sapeva di essere ricambiato nonostante tutto.
Con l'anima leggera in un modo che non credeva più possibile, Alcibiade salì sulla nave; andò verso la balaustra del ponte di prua e vi appoggiò le mani, scrutando l'orizzonte infinito; una leggera brezza gli scompigliò un poco i capelli; e fu così che la nave salpò.


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Ultimo aggiornamento: 16 gennaio 2010