Un'esperienza di lettura
La mia anima è rimasta appallottolata per molto tempo. Silenziosi e veloci come formicai, sorsero nella mia testa dei muri, dei grattacieli. E io, triste ripicca di consolazione a un desiderio frustrato, "odiavo" il Sole, il vento e i fiori. Appallottolata e coperta di peli, la mia anima si rinchiudeva in uno "spleen" grigiastro, lontana e dimentica delle cascate bionde al fianco delle quali avevo corso, un tempo. Percepiva demoni e ragnatele, la sua stessa ombra era viscida e terrificante, e un coro mormorava che nulla ha senso, che è meglio morire, perché la vita è dolore e la Natura cattiva, e l'uomo fragile, inutile e limitato. Ma venne un fulmine a spolverare la mia tristezza.
Squillando variopinto come un corno di Carnevale, danzando il canto della Primavera, Nietzsche riuscì ad abbattere i muri, i grattacieli e a sciogliere l'intrico filamentoso che mi intrappolava. Il Sole ricominciò a giocare di rimbalzi, il mare a spruzzare sghignazzi, gli alberi intonarono vibranti canoni con voce profonda.
Alla luce del Sole i demoni erano folletti, elfi verdi cattivi ma ammiccanti, che mi trascinavano nella corsa fra i rami degli alberi, a sbirciare il Sole tra le foglie.
Dicevano ancora che la vita è dolore, ma aggiungevano ghignando "Siamo asini da soma; l'uomo nulla ha in comune con la rosa che cade per la rugiada; e la vita è il continuo superamento di se stessa".
Riguardo poi alla mia ombra untuosa, alla quale guardavo con timore dicevano ridendo "Impara a ridere, impara a danzare, a saltare al di là della tua stessa ombra - nel Tuo Sole".
In quei giorni capii che la vita non è una palude di pianto nebbioso, un perenne autunno della gioia. Mi apparve una danza multiforme di suoni, di pensieri, di foreste brulicanti di colori, di tramonti grigi come le lacrime. Quel giorno mi apparve anche un cavallo, violento e immobile. Era il destriero del Divenire. Uno dei suoi nomi era Conoscenza, ma ho sentito la luna chiamarlo Vita.
Montai sul cavallo e da allora non si è mai fermato. Mi obbedisce solo apparentemente e lo fa per oscure ragioni sue personali, a me ignote.
Mi trascina, mi squarta sotto gli zoccoli d'acciaio, mi strazia senza mai fermarsi. Ogni tanto mi guarda con gli occhi fiammeggianti come la risata del profondo Enigma.
Di solito però guarda avanti. Attraverso il Sole, attraverso l'abisso.
Un giorno questa cavalcata selvaggia e variopinta finirà.
Altri cavalcheranno il destriero lucente, fra pianure brumose e rupi di stelle.
Io diventerò allora un albero, sintesi di fermezza e fragilità, di silenzio e canto. L'Albero che respira la luce e beve la terra nera. Come l'albero tenderò al Sole, innalzandomi abbarbicata al cranio del Demonio.
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