Cardano, il tragico genio
Girolamo Cardano (Pavia 1501 - Roma 1576) medico, matematico, filosofo neoplatonico, esperto di scienze occulte e di numerose altre dottrine è la figura che, a mio avviso, meglio riassume il fascino del mago rinascimentale. Al contempo estimatore delle proprie abilità fino all'eccesso e ricercatore di spunti autocritici, è un biografo sincero, caldo, appassionato. Quanto più è aspro nell'espressione nei trattati filosofici e politici, come il "Prosseneta", e rigoroso in quelli astronomici, come "La genitura di Cristo", tanto più è scorrevole e piacevolmente intrigante nel "De Vita propria Libri": personalmente, sento d'aver stabilito un rapporto particolare con questo personaggio dall'intelletto seducente, dal carattere bizzarro e attraente, sì, e dal suo intimo stile che subito travolge, oltre che dal finissimo acume e dalle doti eccezionali.
Morto! Morto, son morto finalmente!
Non che abbandonare quegli ameni,
freschi, e persin dolci, luoghi terreni
fosse proposito della mia mente,
ma l'indole, in vero, viene attratta
dalla nera voragine siffatta.
Fui scienziato, così amai l'astronomia,
mi dissero pregiato oniromante,
ed indovino, oscuro negromante,
speculatore anche di filosofia.
Scrissi volumi, fui fine oratore,
delle arti estroso professore.
Mi occupai della matematica;
in medicina le varie scoperte
alle infermità tanto sofferte
diedero cura, mentre la fisica
mi arrecò fortuna ed onore.
Ah, quanto studio finché resse il cuore!
In vita mi trovai in tal travagli
Che il dolore ardente compagno
Si rivelò, calando in un bagno
Di pene l'animo privo di sbagli
- ma non di peccati, né aspri difetti -:
intuizion e pensieri furono perfetti.
Tragico evento segnò la mia nascita:
la cara madre negarmi la luce
voleva, quasi rea di gesto truce,
ma in quel suo tentativo fallita,
fece di me prole illegittima
- e di discrimine povera vittima -.
Ricordo il bruciante, durissimo,
rifiuto dal collegio di medici
in Milano, e di quanti maléfici
insulti fui bersaglio in infimo
modo: i dubbi natali m'aprirono la via,
nel sedicesimo secol a Pavia.
Brillai nella città per intelletto
come anche in Padova bel paese
ove presi - e in cattedra bolognese -
posto desiderato a buon verdetto
in medicina e nella Grand'Arte
sebben quei dottor fossero di parte!
Ma proprio questo continuo cambiare
causai per gli accaniti nemici
- e molti a me sconosciuti - mentre amici
pochi e tendenti spesso a ingannare.
Ahi, se fu pungente l'offesa subita
quando gente peggior fu preferita!
Inimicizie sorsero dall'invidia,
specie dei miei colleghi che, coscienti
d'estro e di capacità, ma impotenti
per la vergogna, usaron la perfidia.
E presero a sezionar nobili corpi
lontan da me nel dar giudizi storpi!
Fu ragion comprensibile per tema
reverenziale e ferita d'orgoglio
ma ostilità trassero - e dir lo voglio -
origine da un mio personal problema:
non ebbi bel carattere davvero,
e in questo son al massimo sincero.
Fui eccessivamente irascibile,
poi dedito ai piaceri della carne,
e litigi: fu difficile evitarne!
Brama di vendetta insaziabile
ebbi, ma smisurata, con durezza
e ostinazion; peccai d'avventatezza.
Ma il vizio che più mi rese odioso
fu il seguente: godevo nel
dire proprio quel che era sgradevole udire,
perseverando in modo morboso
e cosciente, nonostante lo evitassi
a benefattori e potenti per prassi.
Fui di temperamento passionale,
ma personalità ebbi eccelsa
- e lo affermo avverso ad ogni falsa
menzogna -, mi elevai a eccezionale
statura. Ciò che ancora impersono?
Il gran genio di tutti i geni io sono.
Da maniacale ossession di gloria
venni sempre turbato, ben sicuro
di meritare destino non oscuro
e deciso a ottener cara vittoria.
L'uomo supremo fui della mia epoca
e di ogn'altra, e simil mente fu ben poca.
Per tal ragione sostengo appieno
che strenuamente i posteri lodarmi
debbano, abilità vera onorarmi
- e infinita sapienza non di meno -.
Venni fregiato da soddisfazioni,
ma non mancaron mortificazioni.
Svelo che dalla prima giovinezza
nessuno seppi trovare capace
di battermi, benché fosse loquace,
e certo non uno alla mia altezza:
nella disputa e nella discussione
fui l'assoluto, globale campione.
Quanto, poi, al mio modo di insegnare
ancor di più d'ammirazion oggetto
divenni grazie a quel mestier perfetto
tanto che giunsi sin a superare
degli oratori il migliore: me stesso.
Chiaro il motivo di tanto successo.
Malignità non mancaron, offese
e vili progetti di turpitudini
i cari colleghi, densi di acredini,
contro mi volsero con ree pretese.
Minar la fama di un uomo di mente
risulta cosa ben poco conveniente!
Mi allontanaron i diletti alunni
dalle lezioni da me presiedute
- e con gran dolore da essi perdute -:
fu l'avversario costume in quegli anni
bolognesi al fine di uno scherno
per la carenza forzata in eterno.
Malvagi, infatti, in cuore e da crudele
intenzion affetti son gli esperti
di perfidie e menzogne, solo aperti
al male e ricchi in corpo d'amara fiele.
Vera coscienza li spinge ad azione
e trovan diletto per detta cagione.
Or vi racconterò di un equivoco
Che mi costò fama d'ingannatore,
pesanti accuse d'approfittatore
e una difesa sdegnosa d'univoco
parere: la Grand'Arte fu coinvolta
in quel che fu un'originale svolta.
Lontanamente attribuita a Scipione
dal Ferro fu la soluzion perigliosa
- ma da me ottenuta per via tortuosa -
di quello che è la cubica equazione.
Richiese giorni e notti di fatica,
ma l'ingegnosità ben mi fu amica!
Il Tartaglia, però, volle immischiarsi,
arrogandosi in toto quel diritto
che suo non era, ma che non dritto
e furbo giudizio, d'onor a fregiarsi
mirava. Eppur gli attribuii i debiti
dovuti, senz'intenzion mai di debiti.
Ma scatenò la celebre disputa
che i grandi studiosi ancor confonde.
Se della formula il bel nome - onde
conosco vittoria - la mente ospita,
dubbio non vi è, né domanda impostata:
cardanica, infatti è chiamata.
Io solamente le oscure terzine
interpretai a fondo, del quarto grado
discussi tributando non di rado
a Ludovico Ferrari, con il fine
storico e nobile di divulgare
la vera scienza a chi può interessare.
L'algebrica soluzion non bastò
al facoltoso mio lume mentale:
seppe persino - ma per me è normale -
porre quella numerica. E funzionò.
A testimon vi è la regola Auréa,
che di goder di stima divien rea.
Di gradi nessun resistermi volle
- i numeri sempre mi furon amici -
per non parlare poi delle radici
ch'estrassi mediante un azzardo ben folle:
metodo di parti proporzionali
è il nome d'innovazion senza eguali.
Svelerò, sì, la ricetta preziosa
per sciogliere a fondo tutti i problemi,
il più apprezzato dei var sistemi,
che applicai agli studi senza mai posa:
avvicinar le radici volute
mediante operazioni ripetute.
Son io detto lo spirto più bizzarro
di tutto l'italiano Cinquecento,
spiccai per spessore - e in questo non mento -
oltre al passar del mio funebre carro:
sincerità ebbi, fui cinico e schietto
nel presentar ogni minimo aspetto.
Ma tant'acume non fu sufficiente
ad assicurarmi una vita serena;
da qui quel che chiamano in giro vena
di pessimismo o, più forte, latente
follia, ma bello è esser pazzo - eccome -
se Girolamo Cardano è il tuo nome.
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