Premio letterario SofiaPremio letterario SofiaPremio letterario Sofia
9ª edizione - (2006)

Pensieri di un sedicenne - Quella sera di settembre

Come desideravo che quella sera arrivasse.
Lo bramavo con tutto me stesso, od almeno questo credevo...
Ora invece ritengo che fosse il mio orgoglio a desiderare che quella sera di settembre arrivasse, associato alla mia virilità, sempre che a sedici anni di virilità si possa parlare. Ora come ora la definirei più stupidità ormonale.
Mi ero prefissato un preciso obiettivo, aiutato e sostenuto dai miei sedicenti amici; amici gelosi e scontenti; amici che non si erano mai accontentati di quello che ero; amici che si fingevano tali solo per interesse o compassione; amici che volevano cambiarmi. Nonostante dentro di me sapessi quanto ipocriti fossero questi miei amici, li avevo ascoltati, come spesso capita ai più, per essere da loro accettato, cosa a cui tutti noi, più o meno inconsciamente, teniamo molto; li ascoltai e mi prefissai questo insano traguardo che nessuno avrebbe potuto impedirmi di superare; nessuno, neppure mio padre.
Mio padre... il padre che tanto mi ama e che io tanto amo... lo stesso che ora non riesco più a guardare in faccia senza che i sensi di colpa mi invadano e che l'imbarazzo mi infiammi. Il padre che ormai finge che io non esista; il padre che io vedo chiaramente di aver deluso, cosa che mi affligge più di qualsiasi rimprovero o di qualsiasi indifferenza da parte sua, poiché l'ultima cosa che desideravo al mondo era deludere mio padre.
Come allora desideravo con tutto me stesso che quella sera arrivasse, adesso invece vorrei tanto che non fosse mai arrivata, che nulla di tutto questo fosse successo e che l'inferno nel quale sono sprofondato ora sia solo un incubo dal quale mi risveglierò domani mattina, sobbalzando forse, ma che mi farà poi tirare un sospiro di sollievo, permettendomi di dire la liberatoria frase: "Era solo un sogno".
Invece so fin troppo bene che questo non è un sogno, bensì la dura realtà, che mi è crollata addosso tutta in una volta con una potenza impressionante, risvegliandomi come da una sorta di torpore nel quale vegetavo fin dalla nascita, scuotendomi profondamente e privandomi bruscamente della mia adolescenza, nonché della mia innocenza. Ora che entrambe mi sono state tolte, provo un'immensa nostalgia e darei qualsiasi cosa per riaverle indietro: ciò che un tempo disprezzavo e desideravo superare il più in fretta possibile, ora è diventato per me il tesoro più prezioso ed irraggiungibile, irreperibile, irrecuperabile. Non riavrò mai indietro ciò che mi è stato tolto.
Io e mio padre abbiamo litigato tanto quando lui è venuto a sapere quello che era accaduto. Le frasi terribili che ci scambiammo ora mi rimbombano nella mente, provocando un'eco insopportabile che risveglia il mio senso di colpa.
Ma sono troppo orgoglioso per chiedere scusa a mio padre, perciò i rimorsi mi tormentano ininterrottamente.
Ora fatichiamo a parlarci ed io è da almeno un mese che non oso guardare mio padre negli occhi per paura che lui possa vedere dentro i miei e scoprirvi un'innocenza sfiorita, un'adolescenza affrettata, cose dalle quali lui aveva sempre cercato di proteggermi, di salvaguardarmi con i suoi ammonimenti. Quando mi parlava di certe cose, io non lo ascoltavo, oppure mi spazientivo, asserendo che non ci fosse bisogno di affrontare certi discorsi, poiché "lo sapevo già". Lui allora mi guardava sospirando e se ne andava scrollando il capo in segno di diniego, gesto che mi irritava ancor di più, poiché ai miei occhi appariva come un'offesa alla mia presunta maturità.
È incredibile a volte come tutto possa cambiare in una sola serata, in pochi attimi. Un momento ti senti maturo, responsabile, in grado di gestire da solo la tua vita, e l'attimo dopo tutto ti crolla addosso con una potenza che la fisica non è in grado di spiegare, né di descrivere, poiché nessuna formula potrà mai contenere in sé gli effetti devastanti di questi cambiamenti.
Ebbene, questo è quanto è successo a me. Tutto ad un tratto, i problemi che una volta mi sembravano abnormi, irrisolvibili ed insormontabili, sono diventati piccoli e sciocchi, quasi privi di importanza. Inoltre dentro di me è per sempre crollato un mito: il mio. Io che mi ero sempre detto maturo e responsabile, in grado di decidere da solo cosa fare della mia vita, solo ora mi rendo conto di quanto fossi, e di quanto sia stato, stupido.
Adesso, nella mia mente, le immagini di quanto è successo appaiono sfuocate, confuse, ed io non ho mai fatto particolari sforzi per renderle più nitide, ma ho anzi sempre cercato di dimenticare; dimenticare quanto più possibile, in modo da alleggerirmi la coscienza.
Ricordo invece molto bene ciò che accadde dopo, quando io e Laura tornammo a casa: faticai a guardarla negli occhi mentre camminavo affianco a lei per la buia strada asfaltata, che aveva lo stesso colore del mio umore.
In più di un'occasione, lei cercò di prendermi la mano, ma io abilmente evitavo che questo succedesse.
La casa di Laura non era eccessivamente lontana dalla mia, ma quel giorno la distanza sembrava essere raddoppiata ed il tragitto fu poco piacevole.
Quando fu arrivata, mi guardò intensamente negli occhi e mi chiese, con i suoi modi dolci ed affabili che sempre mi imbarazzavano, poiché accrescevano in me la sensazione di essere un bambino rispetto a lei, se fossi sicuro di aver fatto la scelta giusta.
Rendendomi conto solo in quel mentre del comportamento che avevo inconsciamente adottato, cercai di recuperare. Risposi con un'ostentazione di falsa sicurezza e tranquillità, di essere più che sicuro di aver fatto la scelta giusta e, detto questo, la baciai con violenza, quasi contro la mia volontà. Non so se lo feci per darmi una maggior sicurezza o solo per nasconderle il mio imbarazzo; fatto sta che lei parve soddisfatta e rientrò in casa con un sorriso sul volto.
Pochi giorni dopo questa esperienza, Laura venne da me e disse di volermi lasciare. Non mi fornì una spiegazione particolare ed io, troppo scosso da quella richiesta, non gliela chiesi.
Alcuni giorni fa, Laura si è presentata a casa mia, dopo mesi trascorsi senza vederci, con una strana espressione; che non mi piacque per nulla. Mi disse con voce tremante di volermi parlare con urgenza; nei suoi occhi scorsi uno sguardo di profonda tristezza.
Per parecchio tempo, nessuno dei due parlò; quel silenzio mi spaventò, ma non riuscii a fare niente per romperlo. Solo dopo lunghi attimi di silenzio, Laura parlò.
Con velocità impressionante, quasi senza mai prendere fiato, mi ricordò, con imbarazzo che le imporporò leggermente le guance diafane, quella sera di settembre.
Sentendo quelle parole, fui come riportato in vita: me ne ero quasi dimenticato, o forse avevo voluto dimenticare.
Annuii lentamente.
Quando le ebbi fatto intendere che avevo ascoltato, lei mi vomitò in faccia tutta la verità, lasciandomi tramortito: mi disse di essere incinta di mio figlio.
Ci misi un poco per comprendere fino in fondo il significato di quelle parole. Mi sembrava impossibile, assurdo. Io che, da adolescente quale ero, mi sentivo immortale, intoccabile, ora ero più vulnerabile di un uccello ferito.
Se avevo creduto che la vita potesse passarmi davanti come un film del quale io non facevo parte, in quel momento mi ricredetti, trovandomi davanti alla crudele realtà.
Non ascoltai una sola parola del seguente discorso che mi fece Laura: sebbene sentissi un ronzio di sottofondo, parecchio somigliante alla voce di lei, ero troppo immerso nei meandri della mia mente, della mia coscienza e dei miei sensi di colpa per ascoltare.
Mi riscossi solo quando sentii la parola "genitori", pronunciata con un accento interrogativo forte che mi ridestò.
Confuso, le domandai cosa avesse detto, allora lei mi ripeté la domanda. Voleva sapere quando lo avrei detto ai miei genitori.
Mi spaventai: voleva che dicessi tutto ai miei genitori; non poteva volere che io dicessi tutto ai miei genitori; non potevo dire tutto ai miei genitori; non volevo dire tutto ai miei genitori.
Rimasi immobile, quasi paralizzato da questa richiesta, alle mie orecchie così inconcepibile, così assurda.
Infine, dopo parecchi minuti trascorsi nel più totale silenzio, parlai per la prima volta, ma ciò che dissi non fu nulla di più interessante del monosillabo atono più noto ed usato: "no". Parve non capire, ma io non avevo recuperato ancora del tutto l'uso della parola, perciò non fui in grado di aggiungere altro; mi limitai a scuotere lentamente la testa, con gli occhi socchiusi.
La notizia mi aveva sconvolto così profondamente che Laura si sentì in colpa: scoppiò a piangere di nuovo, bisbigliando fra i singhiozzi che le dispiaceva.
Le dispiaceva?!
Mi sentii un verme: lei era dispiaciuta, quando ero stato io a metterla incinta; io le avevo rovinato la vita. Per causa mia, avrebbe dovuto rinunciare agli studi che si era prefissata di portare a termine con tanto entusiasmo; avrebbe dovuto lavorare il doppio e guadagnare neanche un quarto del denaro che il mantenimento di un neonato richiede... inoltre, non sarebbe stato più possibile per lei abortire, poiché erano già passati più di novanta giorni dal concepimento.
Non riuscii a parlare, né a rassicurarla, facendola andare via in lacrime.
Con quella rivelazione, la mia adolescenza se ne era andata, seguita dalla mia innocenza.
Da un giorno all'altro, ero diventato un ragazzo padre.
Fu difficile per me tenermi dentro quel segreto e, in breve tempo, i miei genitori lo vennero a sapere, poiché se me lo fossi tenuto dentro ancora a lungo, sarei esploso.
Non rammento neanche più il mio approccio, ho scordato le parole che utilizzai, ma ricordo perfettamente che mio padre scattò in piedi e mi guardò stralunato, incredulo, mentre mia madre si portava una mano davanti alla bocca.
Dopo quell'attimo di apparente smarrimento, mio padre esplose, inveendo contro di me, perfino insultandomi, reazione quella dettata dalla rabbia, dalla delusione e dalla paura: sì, perché anche lui, ne sono sicuro, ha avuto paura. Le sue imprecazioni mi investirono con violenza: mi disse che ero un'irresponsabile, un adolescente immaturo e che gli ormoni mi avevano dato al cervello. Mi chiese con ira se avessi pensato mai alle conseguenze che questo mio gesto avrebbe potuto portare, alle malattie che avrei potuto prendere, ed alla responsabilità che mi sarei dovuto assumere.
La risposta era semplice: no, non ci avevo pensato. Nonostante mi fosse stato abbondantemente ripetuto, ed io avessi sempre risposto, indispettito, che lo sapevo benissimo, non ci avevo pensato nel momento più opportuno...
Quando ebbi subito abbastanza rimproveri ed umiliazioni da parte dei miei genitori, trovai finalmente dentro di me la forza di reagire. Tentai di giustificarmi, di difendermi, ma ci misi meno impeto di quanto non volessi adoperarne, perciò fallii.
Ora viviamo da estranei nella stessa casa: evitiamo di parlarci e di vederci.
Adesso sono seduto qui, sul letto estraneo di questa casa estranea. La verità mi opprime, mi divora assieme al mio rimorso, ma io ormai li affronto entrambi con freddezza.
Pensandoci bene ora, questa esperienza, avendomi tolto qualche cosa, me ne ha date delle altre; la capacità di raziocinio che possiedo adesso, la freddezza, tanto simile a quella di mia madre, la capacità di assumermi finalmente le mie responsabilità, sono tutte doti che non possedevo.
La mia adolescenza è sfiorita per lasciare spazio ad una maturità acerba, ottenuta passando attraverso sofferenze che mai avrei immaginato di poter provare.
Chissà se, un giorno, ciò che mi ha procurato tanti dolori, non possa darmi altrettanta gioia?
Solo ora comincio a pensare alla creatura che dimora nel ventre di Laura come a mio figlio. Il mio egoismo me lo aveva impedito, ma ora riesco penso a guardare a quella creaturina anche con un certo affetto.
Come desideravo che quella sera arrivasse.
Quando arrivò, bramai con tutto me stesso che non fosse mai arrivata.
Può darsi però che riesca a trarre felicità anche da un errore; accettando il fatto di essere un ragazzo padre.


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Ultimo aggiornamento: 16 gennaio 2010