Un'esperienza di lettura
Stavo percorrendo le strade della mia città e più camminavo e più mi rendevo conto di quanto fosse grigia e triste, popolata da "burattini" vestiti di colori scuri che tengono in mano strane valigette rettangolari, tutti dediti al dovere, a correre, presi dai loro impegni, senza rilassarsi, senza guardare nessuno. Che vita può essere senza allegria, senza sorrisi e senza colori?
Come al solito ero in ritardo e già mi preparavo alle legittime lamentele del professore e a come giustificarmi per il mio ritardo; entrai in classe e il prof. era lì, seduto sulla solita sedia tutta rotta e cigolante, con i gomiti appoggiati sulla cattedra, intento a scrivere sul registro. Mi ricordo di lui come una persona alquanto bizzarra, da vero e proprio matematico, con occhiali così spessi che sembrava un topo di biblioteca, pochi capelli, vestito sempre con camicie e pantaloni larghi: il suo aspetto era proprio quello di uno scienziato, oserei aggiungere un po' pazzo. Nell'aula c'era silenzio, e stranamente lui non fece una piega, lasciò che io mi sedessi e prendessi parte alla lezione. La mattinata passò in fretta; come tutti i giorni tornai a casa con il solito autobus e dopo mangiato mi aspettava un pomeriggio molto impegnativo soprattutto per la preparazione al compito di fisica. Avevo un comportamento inusuale in quel periodo, frequenti sbalzi di umore e tanta voglia di viaggiare, fatto inconsueto per me, che sono sempre stata amante della casa e del riposo. L'indomani a scuola la mia attenzione fu concentrata su quel compito, a rispondere alle domande dei compagni di classe, che si passavano bigliettini ed escogitavano modi per copiare le risposte alle domande del compito. Non era stato facile il test di fisica, mi sentivo stanca, senza forze, e per di più a casa non c'era nessuno perché mia madre era andata al ritiro spirituale con mio fratello, che si preparava a fare la Comunione. Non avevo nessuna intenzione di stare sola a casa fino a tardo pomeriggio o perfino sera, così accettai di andare a pranzo in un bar vicino alla scuola con una compagna di classe. Nella strada di ritorno verso casa, mentre ero sull'autobus, avvistai un paio di pantaloni che avevo cercato ovunque e non avevo mai trovato da nessuna parte. Scesi dall'autobus e percorsi alcuni metri in direzione del negozio e finalmente acquistai quei pantaloni tanto cercati. Mi incamminai a piedi verso casa con la testa ancora immersa nella dinamica, nello studio dei moti dei corpi, quando si verificò un concreto moto dei corpi, o meglio uno scontro,che mi cambiò la vita. Aveva l'aria innocente e concentrata sui suoi pensieri tanto che quando mi urtò quasi non se ne accorse e mi porse a mala pena le sue scuse; ma c'era un "non so che" di diverso in quell'incontro, di speciale, che si vedeva dall'inizio. Entrambe restammo ferme per qualche secondo, giusto necessario per rendersi conto di quanto era successo, visto che tutte e due eravamo state tirate fuori all'improvviso dai nostri pensieri a causa di quel "moto dei corpi". Proseguii verso casa e anche nel resto della serata rimasi turbata, probabilmente la stanchezza accumulata prima e dopo quel compito cominciava a farsi sentire. Giorni dopo arrivai a scuola con una manciata di minuti di ritardo rispetto all'orario limite, ma nemmeno il professore della prima ora era arrivato, perciò presi fiato un attimo e subito Giorgia, che è sempre informata sugli avvenimenti della classe, mi fece capire che c'era una novità; mi guardai attorno, ma non mi accorsi di nulla, infine mi resi conto che c'era una compagna nuova. Era un viso che avevo già visto da qualche parte ma al momento non riuscii a capire dove; se ne stava in disparte e in silenzio e ogni tanto guardava la porta sperando che entrasse il professore. Improvvisamente mi venne un lampo in testa: era la ragazza dello scontro! Si era proprio lei, non c'era alcun dubbio. I professori fecero tutti la sua conoscenza e osservando il trattamento di riguardo che avevano per lei mi fece pensare che avesse alle spalle una situazione difficile. Si chiamava Alyssa e il suo color "cioccolato fondente" confermava la sua provenienza da un continente caldo, per esempio l'Africa. Appariva come una ragazza dall'aspetto mite, dolce, ma provato, forse quasi indifesa. La sua famiglia si trovava in Sud Africa ai tempi appena posteriori all'apartheid, e aveva vissuto tutte le recriminazioni del caso tanto da essere derubati di frequente, sopportare sgarri come la distruzione dell'automobile per ben due volte e persino ad essere privati della loro abitazione e di tutti i loro averi. Senza un soldo in tasca cercarono di ricostruirsi una vita nel cuore del continente africano, dove si può stare più a contatto con la natura e con problemi sicuramente molto distanti dalla politica e dal razzismo. È qui che Alyssa ha vissuto gli anni della sua infanzia e pre-adolescenza prima di arrivare in Italia. Ci volle un po' di tempo prima di instaurare un rapporto profondo con lei, all'inizio si fermava allo strato superficiale. Alyssa era una persona molto studiosa, dotata di un'intelligenza fine ed acuta; al pomeriggio ci vedevamo spesso per studiare, per fare compere insieme, per parlare, e con il passare del tempo il nostro rapporto diventava sempre più sincero e in me cresceva la certezza di aver trovato una spalla vera su cui appoggiarmi e a cui confidare i miei stati d'animo. Quel giorno tutta la classe si doveva fermare a scuola per una lezione di storia medievale con alcuni professori venuti apposta per noi dall'università, eravamo tutti stanchi, successe un fatto che mi ferì nel più profondo e la prima cosa che pensai fu di scomparire, avrei preferito non esistere in quel momento. Durante queste ore si sviluppò un dibattito giudicato costruttivo da tutti gli insegnanti presenti, che dava modo di aprire la nostra visuale e di vedere la storia da punti diversi; non so come la discussione si è concentrata sul razzismo e molti ragazzi che facevano parte della mia classe sostenevano che era giusto discriminare coloro che hanno un colore di pelle diverso piuttosto che gli ebrei i cinesi, gli arabi o altre razze con religioni e usanze diverse ritenuti da questi inferiori. Io mi assentai poiché mia madre mi aveva telefonato per dirmi di chiedere le chiavi al vicino, quando Alyssa fu terribilmente umiliata e posta al centro della discussione, derisa e insultata. Nessuno dei presenti aveva preso le sue difese e quando ritornai in aula la trovai profondamente addolorata, con grossi lacrimoni che le segnavano il viso, ma non capii, gli sguardi delle ragazze e di alcuni ragazzi erano persi nel vuoto, attoniti, come inebetiti; fu sempre Giorgia che dopo qualche minuto ebbe il coraggio di rompere il silenzio e di raccontarmi quanto era accaduto. Appresi il tutto e capii il grande dolore che Alyssa portava dentro di sé in quel momento, di come si sentiva inutile, china con la testa bassa ad aspettare chissà cosa, magari che qualcun altro infierisse nuovamente su di lei. La cosa che a distanza di anni non mi sono ancora perdonata e penso che non mi perdonerò mai è che non trovai le parole giuste per consolarla e farle capire quanto condividevo con lei il suo dolore, che aveva qualcuno su cui poter contare, e quanto la mia opinione fosse totalmente discorde con quegli animali, io la sua migliore amica in quella situazione non le ero di alcun aiuto, mi sembrava di essere una formichina piccola piccola di fronte al monte più alto del mondo impossibile o molto difficile da scalare. Fu una giornata ricca di avvenimenti e pensavo che le sorprese finissero lì, ma mi sbagliavo. All'uscita da scuola Alyssa fu accerchiata da una banda di teppisti e fortemente percossa. Sul suo zaino scrissero frasi infamanti come "torna da dove sei venuta" oppure "maledetta negra". Il colore indelebile di quelle scritte lampeggia ancora molto nitidamente nei miei occhi, come le voci di quei vandali. Cercai di aiutarla, togliendole di dosso le mani di quei teppisti, ma fui scaraventata a terra da uno di questi che mi diede uno schiaffo in pieno viso. Ma vedere la mia amica così mi faceva ottomila volte più male di quella sberla, perciò mi alzai e corsi a chiamare aiuto. Nel frattempo che tornai con alcune persone, i malviventi se ne erano andati lasciando Alyssa per terra agonizzante. La portammo di corsa in ospedale dove seppi che se la sarebbe cavata con tre settimane di assoluto riposo, tempo necessario per rimettere in sesto la distorsione alla caviglia e alle ferite di rimarginarsi. In quell'occasione ebbi il piacere di conoscere sua madre, che era una donna meravigliosa; capii allora perché Alyssa era nata così "diversa", speciale. Il fatto che mi stupì di più fu la forza di Alyssa nel superare questa terribile situazione, sempre con il sorriso, il più stupendo del mondo, per la sua purezza ed innocenza, per la sua sincerità. Ogni volta che andavo a trovarla mi accoglieva sempre nel migliore dei modi, era contenta di vedermi, anche se non le facevo niente di speciale. Talvolta parlavamo di avvenimenti seri e si ritornava a ricordare quanto era successo; nel corso di queste discussioni mi confidava di sentirsi come un "pesce" fuor d'acqua, e mi chiedeva se fosse colpevole di qualcosa e se sì che cosa poteva aver fatto di così grave da meritare una punizione simile. Già qual'era la colpa di Alyssa? Perché era stata prima condannata e poi processata come se si trovasse nell'arena del tribunale dell'Inquisizione senza avvocati? Non lo so. Ancora oggi non sono in grado di spiegarne il motivo, forse perché un motivo vero non c'è, non esiste. Anzi senza forse, è sicuramente così. Mi piacerebbe rivedere adesso quei ragazzi e sapere se si sono pentiti, che cosa raccontano alle loro famiglie della loro gioventù, ai loro figli che chiedono loro di raccontare fatti divertenti. Sì la colpa di Alyssa è di essere nata "di colore", con una pelle splendidamente più scura della loro, con una religione diversa, delle credenze così ingenue da essere definite persino tribali, e di aver pagato le colpe di tutti che lei non aveva, che con lei non c'entravano nulla.
Camminando per le strade della mia città mi accorgo che i suoi abitanti sono ancora vestiti di colori scuri, come se da allora non fosse cambiato niente, come se il tempo si fosse fermato. Durante l'adolescenza conoscevo tanto persone che osavo definire amici. Dopo l'incontro con Alyssa ho capito che avevo vissuto sotto una campana grigia fino a poco tempo prima; sì grigia come la mia città e i vestiti dei suoi abitanti. Mi veniva lampante in mente un paragone che ricalcava perfettamente la mia situazione: avevo vissuto in un mondo scuro, con tante conoscenze che erano soltanto pedine senza scopo nella mia vita, dei semplici rapporti superficiali; Alyssa invece mi ha dato tanto e mi ha fatto capire altrettanto, quando è arrivata ha colorato quel mondo perennemente grigio e assurdo, mi ha trasmesso il vero senso dell'amicizia. Posso solo ringraziarla ed esserle infinitamente grata ora perché mi ha permesso di avere dei valori puri quanto lei. Quando ripercorro il tratto di strada in cui è avvenuto il "moto dei corpi" mi ricordo del suo sorriso, della sua voce e di quella sua simpaticissima mania, ma non priva di significato, di vestire sempre con indumenti molto colorati. Mi diceva sempre di vedere quei colori ovunque, anche nella nebbia, negli inverni rigidi della mia città, persino nel grigiore e nella rigidità dei comportamenti dei suoi abitanti, testimoniati dal modo di vestire. Non mi chiedeva nulla di particolarmente difficile per lei, mi chiedeva di vedere dappertutto un mondo colorato anche dove non lo era, mi chiedeva di trovare sempre e in ogni luogo il senso dell'amicizia e della solidarietà.
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