The Blue Rose
Sono il vampiro Lestat. Ho una storia da raccontarvi. Una storia su qualcosa che mi è accaduto, e che credo abbia segnato la mia eterna non vita futura per tutti i secoli in cui essa continuerà ad addentrarsi.
Tic.. tac.. tic.. tac
Il sordo e regolare ticchettio della pendola scandiva l'inesorabile passare dei secondi, del tempo che ormai non mi teneva più soggiogato alle sue leggi e che mi passava addosso come acqua sorgiva, lasciandomi immutato nel corpo e più forte nello spirito.
Ebbene, sedevo tranquillo nella poltrona dello studio, in mano una copia del Faust, e mi rilassavo nella leggera brezza notturna di Parigi che s'intrufolava nello spiraglio tra le due ante della finestra.
Alzai un occhio dalla lettura e vidi un giovane ricambiare lo sguardo dallo specchio all'altro lato della stanza: capelli biondi molto folti che arrivavan quasi alle spalle e che incorniciavano un viso dalla carnagione scura, quasi abbronzata, segno di una piccola sfida intrapresa tempo prima in un momento che i mortali potrebbero definire "depressione".
Due occhi grigi brillavano nella semi oscurità, simili a laghi che riflettevano la luce lunare e una bocca molto sensuale si distese in un sorriso compiaciuto.
Soddisfatto, riportai la mia attenzione sul libro. Ero un ragazzo di bell'aspetto e questo non faceva altro che facilitare i contatti con le persone.
Ormai la sete era andata scemando e non ne rimaneva che un sottile bisbiglio che di rado veniva ad infastidirmi... quindi da molto tempo la mia avvenenza non serviva a procurarmi il cibo quanto a trovar contatti con il mondo moderno.
Era tutto così diverso da quando ero un giovinotto pieno di soldi e vino che cercava fortuna nella Parigi pre-rivoluzionaria. Esso era pieno d'affascinanti misteri, d'intelletti incompresi e sublimi, di fini e delicate scoperte.
Perso nei mie pensieri, ci misi qualche secondo a capire che qualcosa era cambiato nell'aria...
Chiusi di scatto il libro e rimasi in ascolto...
La brezza era cambiata, non era più impregnata di conversazioni e risate, ma in essa veleggiava leggera una melodia dolce... ammaliatrice.
Rimasi incantato da quel suono che risvegliava in me così tante emozioni che stentavo a riconoscerle tutte.
Lentamente la musica cessò, lasciandomi tremante e scosso. Mi avvicinai alla finestra e la spalancai del tutto, affacciandomi in cerca del suonatore.
Gli occhi capaci di scovar un topo in un vicolo buio a metri di distanza passaron frenetici da un alto all'altro della piazza... del fiume... ma fu tutto vano.
D'un tratto il canto che avevo capito esser d'un violino tornò e il mio cuore, per quanto fermo da secoli, sobbalzò nel petto. Chiusi gli occhi, rapito, e mi persi in un fiume di note, catturato nella corrente e parve che questa mi prendesse per mano, desiderosa di mostrarmi il luogo dal quale traeva forza... del quale narrava la storia.
Un lago... vidi un immenso lago di montagna in cui galleggiava pigramente un gruppo di cigni... si spostavano su quello specchio liquido come ballerine su ghiaccio.
Nulla sembrava poter turbarli, ma non era così. Iniziarono a lanciar il loro verso, che stonava assai con l'aspetto principesco, e in pochi secondi dei piccoli angeli si stagliaron sullo sfondo nero del cielo notturno.
Al loro posto un giovine cigno dal nero piumaggio allungava il collo verso i compagni fuggiaschi, desideroso di poter raggiungerlo ma consapevole di non poterlo fare.
La sua bellezza era dannata e questa l'avrebbe per sempre tenuto lontano dai suoi simili... dal calore dell'amicizia... dall'esperienza dell'amore.
Arcuò il collo flessuoso fino a far poggiar il capo dagli occhi scarlatti sul morbido piumino del petto e rimase immobile, come una statua d'ossidiana finemente intagliata. A lui andava bene così... poter almeno osservare i suoi fratelli da lontano e sapere che loro erano felici.
Mi sentii partecipe della sua tristezza, e mossi un passo per avvicinarmi...
La musica si fermò bruscamente e io fui ricatapultato nel mio corpo con dolorosa violenza.
Stordito, riaprii gli occhi e mi sentii come svuotato...
M'infilai la giacca di raso ed uscii animato da un fuoco interiore. Avrei continuato a vagare per la città finché non avessi trovato la fonte di quella melodia... anche se alla fine sarei finito in cenere ai suoi piedi a causa del sole rovente, anche se dubitavo che l'astro sarebbe mai più riuscito a farmi una cosa del genere.
Le porte dell'ascensore si aprirono, ed io venni accolto nel grembo della notte pregna d'odori e suoni... ma priva dell'oggetto della mia ricerca.
Camminai per le vie di Parigi, i passi che cadenzavan l'andare dei miei pensieri... Chissà se Loui sarebbe stato d'accordo con me... andar alla ricerca di un anonimo suonatore capace di rapire mente e anima non era di certo cosa sensata ma di certo anche lui sapeva che le mie azioni non eran dettate dalla ragione ma dalla passione. Una nota s'insinuò nella mia mente, riportandomi al mondo sensibile... altre note si unirono ad essa, formando come una strada verso la sua genesi.
Comincia a seguire quel Requiem, dapprima lentamente, poi trovandomi perso nella corsa innaturale di noi immortali che ci rendeva letali ed invisibili...
Non so per quanto andai avanti ma alla fine seppi di esser giunto dal violinista.
Mi fermai, avvolto in quel velo musicale, e rimasi senza fiato nel vederla. Stava appoggiata alla ringhiera che la separava dal placido e perpetuo movimento della Senna, a dividerci solo una strada deserta.
Carpii subito la sua natura ultraterrena... era una vampira, una viaggiatrice dei secoli come me.
Il fisico snello era delicatamente sostenuto dalla struttura intrecciata, sulla spalla un violino di mogano sapientemente pizzicato dall'archetto, guidato dalla mano esperta. Una cascata di capelli corvini le copriva il pallido viso, dolcemente inclinato verso lo strumento.
Somigliava al cigno della melodia... stessa bellezza e stesso alone di tristezza. Ad aumentare la mimesis v'era il vestito da lei indossato: un abito da sera con lunghe maniche attillate di un delicato nero vellutato che s'apriva ai suoi piedi come un fiore in sboccio. Un alto colletto di piume d'ombra le avvolgeva le esili spalle, scendendo in una scollatura a "v" che rivelava con raffinatezza i piccoli seni.
Sicuramente sapeva già della mia presenza ma parve prenderne atto solo in quel momento. La mano rallentò il suo moto, scemando fino a scomparire, una madre che termina di cantare la ninna nanna al bimbo addormentato. Rialzò il capo e dischiuse gli occhi.
Venni trafitto da lame di ghiaccio, scrutato nel più profondo dell'essere...
Mai nei secoli mi ero sentito inerme, spogliato d'ogni maschera, d'ogni dignità... ero come nudo di fronte a lei.
Il mondo pareva immobile e mi ricordai di quella volta in cui Memnoch era venuto a parlarmi, portandomi in una specie di pausa fra passato presente e futuro... ora vi ero di nuovo insieme alla dama del violino.
Non riuscivo a spostare lo sguardo neppure volendo e forse in realtà non era quella la mia volontà. Quegli occhi magnetici erano di un azzurro così chiaro da rasentare il bianco e il taglio affusolato conferiva a loro un'aria misteriosa e ammaliatrice.
Rimase ferma, solo l'abito e la chioma mossi dal vento e io mi limitai ad assorbirne la maestosità, indeciso sul da farsi... dopotutto mi aveva chiamato, n'ero sicuro... ma allora perché taceva?
Come ad esaudire la mia muta richiesta la vampira sorrise e disse: "Bonne soirée Lestat de Lioncurt... da tempo ormai speravo incontrarla...".
La voce, giovanile quanto il corpo, rivelava però un immensa saggezza.
- Voleva incontrami Mademoiselle? - chiesi cordialmente.
- Certamente... da molto ormai cammino su codesta terra ed ero desiderosa di veder nuovamente il volto d'un fratello degno di questo nome... un vampiro della mia stessa epoca... - rispose, riponendo l'amato strumento dentro la sua custodia.
- Vuole affermare che lei è nata nel secolo decimottavo? - chiesi visibilmente sconcertato.
Aveva la mia stessa età eppure mi appariva contornata da un aria d'antichità.
- Nel 1730 questa meravigliosa città mi vide nascere alla luce del sole... e nel 1780, durante la Rivoluzione, osservò inerme mentre la notte mi legava a lei con i vincoli della non-morte... -
Il suo viso s'oscurò e le stelle parvero imitarlo.
Nella mano le comparve una rosa blu i cui petali vennero sfiorati dalle labbra sensuali della mia interlocutrice.
Un moto d'invidia mi attraversò la mente e volli essere al posto di quel bel fiore. Restavo lì ad osservarla, incapace di eseguire qualunque azione, anche la più semplice. Io, Lestat, il vampiro più irrequieto del mondo, colui che era passato attraverso luce e fiamme, che aveva scambiato il proprio corpo, che aveva affrontato il diavolo in persona ora, si sentiva intimorito da quella ragazza.
Era un angelo in spoglie di demone e sapevo che, anche se non lo ammettevo, mi aveva già rubato il cuore e in qualche arcano modo era riuscito a ridargli vita... solo quello poteva spiegare il calore che provavo. Me ne stavo innamorando... e non potevo più tornare indietro.
Ogni momento di più mi sentivo struggere da quella lontananza, anche se minima, ed ogni particolare celato era come una pugnalata al petto.
Cominciavo ad essere disperato ma non l'avrei dato a vedere... piuttosto mi piantavo un paletto da solo.
- Mademoiselle, vorreste rendermi partecipe del vostro nome? - domandai, accennando un cortese inchino.
Nel suo viso s'accese un sorriso, un sorriso degno di quel nome, e finalmente vidi la sua natura celestiale.
Per quanto dannata dal Dono Tenebroso portava in sé la ragazza che era stata e già questa era azione degna di lode.
- Je m'apelle Ardelia De la Rose, angelo caduto che copre con le sue nere ali la vita dei mortali, condannata a rubarla per poter proseguire la propria. Io sono la Rosa Blu, la rosa della redenzione... -.
La voce rimase ferma ma da quegli zaffiri che avea come occhi scese un'unica lacrima iridescente, subito catturata da un esile dito.
Ardelia la osservò, rapita dai mille riflessi conferitogli dalla luce lunare.
- Molti fanno follie per possedere oro, gioielli e denaro... ma il mio tesoro più grande è proprio questo.. - disse.
La mia confusione dovette essere palese perché lei precisò: "La lacrima. Quel tesoro può essere più importante... una cosa rara e bellissima non fabbricabile se non con le pene del cuore... Una lacrima come una perla di tristezza...".
Aveva appena finito di parlare quando una vibrazione attraversò l'aria e la bolla che ci circondava s'infranse.
Intravidi il suo viso allo stesso tempo sorpreso e addolorato per un ultima volta. Un camion attraversò la strada e mi tolse la visuale... pochi secondi, e d'Ardelia nessuna traccia.
Preoccupato, attraversai senza badare al traffico e mi ritrovai ove si ergeva la dama. Solo la rosa cobalto per terra, come abbandonata di fretta.
La raccolsi, stando attento a non sciupare neppure il più piccolo petalo, e mi accorsi di un bagliore su uno di essi.
Era la lacrima ceduta dalla mia ninfa, solo che ora era veramente ciò che lei la definiva... una perla d'inestimabile valore.
Mi portai il fiore alle labbra e guardai solenne la luna. Avrei scoperto chi ci aveva interrotto e gliela avrei fatta pagare.
Ma soprattutto avrei ritrovato la dolce fanciulla che aveva per sempre sfatato il mito del vampiro sanguinario. Mi sarei ricongiunto a lei a qualsiasi costo perché solamente adesso ero sicuro di non essere solo e certamente con lei al mio fianco, no, non lo sarei stato mai più.
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