Neve e piombo
Un grido lo fece sussultare. Nathan volse lo sguardo nella direzione delle urla e i suoi occhi abbracciarono l'insegna luminescente di un tavola calda in cui andava spesso, appena al di fuori del parcheggio del grattacielo. L'insegna, con i suoi neon tremolanti rendeva fluorescente, per il riverbero, la neve accantonata ai bordi del marciapiede che brillava nella fredda notte di Richmond. La neve bianca, incorniciava la piccola tettoia dell'ingresso e le finestre, come in uno sfarzoso presepe moderno a grandezza naturale. Nathan proseguiva a fatica nella neve, rischiando più volte di scivolare sui tombini ghiacciati, odiava non sentire la terra sotto le suole ed essere incerto ad ogni passo, non avere aderenza, la sua andatura nella neve era meno spedita e disinvolta del solito, pareva un uomo insicuro, ed odiava apparire insicuro. Da lontano riusciva a scorgere l'ingresso del locale. La serranda era stata forzata e scardinata dalle cerniere di metallo, il passaggio creato era abbastanza alto per permettere il passaggio di un uomo di corporatura media. Un grido lo fece trasalire. Era una voce di donna, implorava aiuto.
"Per favore qualcuno mi aiuti!! ... La prego mi lasci andare! ... Le darò tutto quello che vuole...".
Nathan giunse in prossimità del locale, aprì con un gesto rapido la fondina ed estrasse la Glock calibro 35 e si eccitò alla sensazione del metallo sotto i suoi palmi, tenne l'arma a due mani, per avere una mira più precisa. Con una spallata abbatté del tutto la serranda scardinata ed entrò nel locale. Un barbone, coperto di stracci e con addosso un logoro giubbotto di pelle con il bavero, rubato quasi sicuramente da uno dei camion delle missioni, era in piedi al centro della stanza, tra le sue mani un oggetto metallico brillava nelle luci soffuse del locale, Nathan intuì immediatamente che si trattava di una pistola. Il barbone si era accorto dell'entrata di Nathan e la sua faccia pallida ed emaciata per il freddo era tesa in una smorfia di terrore. Margareth, la cameriera, poco più che maggiorenne, tremava dietro al bancone. Il viso pallido e deformato dalla paura era rivolto verso Nathan, le braccia magre e bianche erano tese in aria, sopra la nuca e sembravano fendere l'atmosfera tesa. L'uomo avrà avuto sì e no una sessantina d'anni, pallido e scavato in viso, aveva una folta barba grigia piena di fuliggine e di sporco, al centro del viso brillavano due occhi scuri e tristi, il giubbotto era sporco di olio di motore e umido, come se avesse appena dormito nella neve, all'aperto. In un gesto di rabbia, scatenato dalla paura puntò l'arma in direzione di Nathan che teneva la sua Glock calibro 35 con due mani e mirava alla testa.
"Fermo stronzo!".
"Sei della polizia vero?" gridò l'uomo. Biascicava le parole, segno che non era lucido, molto probabilmente doveva essere sbronzo.
Nathan tenne la pistola mirata alle tempie dell'uomo e chiese con gentilezza alla ragazza: "Tutto bene Margareth?... Sei ferita?".
La ragazza con voce tremante rispose: "Sì... Ti prego Nathan... aiutami!".
Ma Nathan mantenne il suo sangue freddo e degnò di uno sguardo il malvivente.
"Allora chi cazzo sei?...eh?" domandò il barbone.
"Sei ubriaco, vai a casa e io dimenticherò tutto... e anche lei" ribatté Nathan freddamente.
"Sbirro di merda!!! Se ce l'avessi una casa!... Non ho soldi e devo bere se mi voglio scaldare!" gracchiò l'uomo. Nathan notò che al petto stringeva due bottiglie di Brandy di qualità scadente.
"C'è un ricovero per Clochard sulla 5° Avenue... ti ci posso accompagnare, sono in auto" il tono di Nathan era diventato più dolce e meno affilato.
"Clochard! Mi stai dando del barbone! A me! A Gordon Steward! Tu non sai chi sono!".
"E chi saresti?". Quel nome non diceva niente a Nathan, per quanto ne sapeva avrebbe potuto essere falso.
"Ero proprietario di una catena di ristoranti, qui a Richmond. E quei bastardi dell'ufficio di igiene mi hanno messo con le spalle al muro! Mi hanno levato tutto! Bastardi! Bastardi figli di puttana come te!".
Puntò la pistola verso Nathan. Era arrugginita, forse nemmeno in grado di sparare, l'uomo l'avrà trovata quasi sicuramente rovistando in un cassonetto. In caso di omicidi passionali o di regolamenti di conti tra bande capitava spesso che le armi incriminanti fossero semplicemente buttate nei cassonetti. Gran parte della spazzatura di Richmond finiva negli inceneritori, senza nemmeno essere differenziata.
Gordon fece scattare la sicura, la pistola era carica. Piccole gocce di sudore bagnarono la fronte di Nathan.
"Gordon parliamone!.. posso aiutarti, lavoro per l'FBI, posso forniti soldi, protezione, ho molti agganci ai piani alti, facciamo finta che non sia successo niente, cancelliamo la lavagna!". Nathan cercò di essere convincente nonostante fosse obbligato a rimanere il più generico possibile sul suo lavoro, non erano concesse fughe di informazioni, non doveva esporsi troppo.
"Di che cazzo parliamo! Chi cazzo sei sbirro dei miei stivali? Cosa mi trattiene dal farti un bel tatuaggio in fronte?" sorrise l'uomo con odio.
"Ti prenderanno, non puoi sfuggire" Nathan ora era cupo.
"E se ammazzassi lei? ... Eh? Cosa cambia! Io non ho più nulla! Se ammazzassi lei, sbirro, che faresti?". L'uomo gesticolava con la pistola, scandiva le parole a voce alta perché Nathan potesse sentirle. Si avvicinò alla ragazza che tremava come una foglia e le puntò la pistola alla tempia.
"Sei un bravo sbirro, getta l'arma..." gli occhi dell'uomo erano iniettati di odio, si muoveva lentamente, era sicuro di sé, forse la morte per lui sarebbe stata una liberazione.
"Getta l'arma o questa notte quando tornerai a casa da tua moglie e dai tuoi figli non avrai il coraggio di stenderti sopra di lei e di scopartela..." disse con odio il Barbone.
Nathan si sentì ribollire il sangue nelle vene.
"Getta la pistola figlio di puttana o ti ammazzo!!" gridò Nathan con tutto il fiato che aveva in gola.
"Potrei farlo ragazzo mio... Non ho nulla da perdere ormai" ribatté Gordon assumendo un tono paterno, quasi a prendersi gioco di Nathan, facendo perno sulla sua età.
Gordon Steward era stato a capo di una catena di fast food. Aveva vinto la concorrenza grazie a legami con la malavita locale, ma la polizia non era riuscita a inchiodarlo per mancanza di prove e per questo motivo l'ufficio d'igiene aveva ottenuto un mandato per un'ispezione sanitaria.
Steward si era preparato a tale evenienza, ma l'ufficio di igiene e la polizia erano giunti a conoscenza dell'importazione di carne illegale proveniente dalla Corea. Tale carne, non essendo stata sottoposta a nessun tipo di controllo, poteva essere portatrice di pandemie. Il Procuratore distrettuale Benton Righter aveva fatto pressioni sulla squadra investigativa e alla fine a Steward fu imposta una penale talmente alta da richiedere l'espropriazione di ogni suo bene, sbattendolo in mezzo alla strada. Ai piani alti si vociferava che il procuratore Righter fosse stato comprato dai concorrenti di Steward, che vedevano nella sua disfatta l'unico modo per riappropriarsi della clientela.
"Non sei una vittima Steward, ma un malvivente! Non risolverai nulla facendo così! Getta l'arma!" urlò Nathan intimando l'uomo a gettare la pistola.
"Fottiti sbirro!" Gordon premette il grilletto. Margareth gridò.
In una frazione di secondo Nathan si gettò in avanti sull'uomo, ma non riuscì a fermarlo, era troppo lontano, urtò un tavolo con il ginocchio e urlò di dolore. Cadde in avanti e la pistola gli cadde dalle mani, finendo oltre una fila di tavoli. L'uomo rise fragorosamente. Gli occhi di Nathan si mossero dall'uomo alla ragazza. Margareth aveva gli occhi chiusi, non vi erano tracce di sangue sui vestiti e sul viso, si accorse che era semplicemente svenuta. Riuscì a cogliere il leggero movimento ritmico dei polmoni, al di sotto del grembiule, la ragazza respirava. Era viva. Gordon colse l'incredulità negli occhi dell'uomo e rise ancora più forte...
"Era una vita che sognavo di farlo! Non ho riempito tutto il tamburo, il primo colpo era a vuoto! Ma gli altri 5 no." ghignò il barbone. "Vuoi verificare tu stesso?". Lasciò andare la ragazza che cadde a terra come in coma e puntò la pistola alla tempia di Nathan, che era ancora disteso a terra.
"non aspettavo di meglio" sussurrò Nathan e facendo perno sulle braccia si lanciò in avanti, rotolando, cogliendo impreparato l'uomo. Gordon si alzò repentinamente e puntò la pistola verso Nathan ma non fece in tempo a prendere la mira, perché Nathan lanciò uno sgabello di metallo nella direzione dell'uomo, era troppo tardi, perché uno sparo riecheggiò nel locale. Il proiettile colpì Nathan alla spalla sinistra, appena sopra la clavicola, ma venne deviato e penetrò appena al di sotto di essa, per poi fuoriuscire. Nathan gridò di dolore e di rabbia, per togliersi dalla traiettoria si era gettato a terra, ma il proiettile l'aveva colpito alla spalla e gli faceva un male cane.
Gordon era a terra, il pesante sgabello l'aveva colpito in testa.
Si avvicinò all'uomo, era svenuto. Gli premette due dita sulla giugulare, il cuore batteva regolarmente, era solo privo di conoscenza, aveva un grosso ematoma con escoriazioni sopra il sopracciglio destro, il sangue fluiva copioso. Nathan prese uno straccio pulito dal bancone e fasciò la testa dell'uomo. Corse in bagno, appena dietro alla cassa e miracolosamente trovò un armadietto del pronto soccorso e si medicò meglio che poté. Uscì dal bagno, la ragazza stava riprendendo conoscenza, la tenne tra le sue braccia, per tenerle sollevata la testa.
Margareth riaprì gli occhi. "Oh... oddio cosa è successo!" disse in preda al terrore. "Ora ricordo... Quel barbone! Cosa è successo... voleva uccidermi!" disse singhiozzando, mentre le lacrime le rigavano le guance. La ragazza volse lo sguardo nella direzione dell'uomo steso sul pavimento... E tremando violentemente come in preda a convulsioni disse: "Oddio è morto? Nathan l'hai ucciso?".
"No Meg tranquilla... è solo privo di conoscenza. Non agitarti... Sei sotto shock" le disse con dolcezza Nathan. Margareth si sentiva sicura tra le braccia di quell'uomo del quale conosceva solo il nome e nulla più, ma per il quale provava un affetto irrazionale. Ogni qualvolta riuscivano a parlare, a ora tarda, dopo la chiusura, lui era sempre evasivo e non rispondeva alle sue domande, non le raccontava niente della sua vita, tutto quel che sapeva l'aveva letto in quegli occhi tristi, verdi e bellissimi. Lei invece gli raccontava ogni più piccolo particolare della sua giornata noiosa, trascorsa in quel locale: suo padre era vecchio e malato e per questo era costretto a letto e lei e la madre dovevano mandare avanti tutto da sole, alle volte era difficile, ma quando compariva Nathan la giornata di Margareth s'illuminava.
"Meg ascoltami... Quell'uomo ha bisogno di un ambulanza... e anche tu". Riuscì a scorgere la preoccupazione negli occhi dell'uomo. Margareth, troppo scossa per parlare, si limitava ad annuire.
"Non dire chi è stato a ferirlo, digli che sei stata tu, che ti ha aggredito e ti sei difesa..." era cupo in volto. "Non pronunciare il mio nome, non dire niente, non devono riconoscermi" disse Nathan.
"Perché...? Mi hai salvato la vita" disse infine Margareth.
"Lavoro per il governo... non posso dirti altro, ma il mio nome deve rimanere segreto...". Poi con un sospiro aggiunse: "Se non avessi visto che la tua vita era in pericolo non mi sarei esposto tanto... Mi sei stata vicina Margareth... Non ho molti amici..." e si voltò verso l'ingresso. La neve cadeva fitta. Si alzarono in piedi, nella penombra del locale, illuminata dai neon rossi. Nathan l'aiutò ad alzarsi e per un attimo le loro mani si incontrarono. Nella penombra, Margareth si allungò verso di lui, posò una mano sulla sua guancia. Era ruvida.
"Ti amo Nathan..." sussurrò Margareth. Si allungò per baciarlo, ma lui si scostò.
"Mi dispiace..." Disse Nathan sottovoce. "Cercavo solo qualcuno con cui parlare, nulla più... sei una brava ragazza Margareth... Scusami... non posso".
Si allontanò silenziosamente da lei e raccolse un oggetto dal pavimento, era di metallo e brillava. Era una pistola. La infilò nella fondina sotto la giacca, Margareth notò che aveva la camicia sporca di sangue.
"Sei ferito!" gli gridò agitandosi.
"Non preoccuparti, non è grave, il proiettile è già uscito... Non posso farmi trovare qui" disse Nathan guardando l'uomo disteso sul pavimento.
Nella penombra appariva come una sagoma scura, l'unica cosa a risaltare era la benda bianca che aveva in fronte, sulla quale la macchia di sangue si espandeva rapidamente.
"Presto Meg chiama l'ambulanza... Non so se ci rivedremo... Grazie di tutto". E così dicendo, così come all'improvviso era entrato nella sua vita, tanto velocemente ne uscì. Scomparve nella notte immacolata, simile a un fantasma, uscendo di corsa dalla serranda scardinata. Margareth sapeva che non l'avrebbe mai più rivisto. Corse al bancone e chiamò l'ambulanza. Nella penombra del locale si sentiva sola. Mentre componeva freneticamente il numero, la tastiera del telefono si bagnò delle sue lacrime, piccole gocce salate e silenziose, simili alla rugiada della mattina, pianto silenzioso quanto la neve che ovattava ogni suono e dava parvenza di sogno alla realtà. Richmond dormiva silenziosa sotto la sua coperta bianca.
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