Premio letterario SofiaPremio letterario SofiaPremio letterario Sofia
10ª edizione - (2007)

Jazz in passion (Un racconto)

Il locale era appena stato inaugurato. Millenoteclub. Scritto al neon blu. Occupava tutta una parete di mattoni rossi a vista. Era l'unico nel raggio di chilometri ad avere una delle rosse più buone alla spina. Era l'unico nel raggio di chilometri a far suonare la musica senza spartiti. L'articolo diceva cerchiamo chitarrista. E io lo ero. Chitarrista. Diceva capace di improvvisare. E io improvvisavo. Su tutto. Diceva per jazz band da avviare al Millenoteclub. E io amavo il jazz. Diceva via Pascoli, Gornate. E io non sapevo proprio dove fosse via Pascoli. Ma neanche Gornate. Lo trovai lo stesso.
Mi ci presentai all'ora e al giorno indicato. Era il giorno sbagliato. Mi ci presentai con la mia più bella chitarra acustica elettrificata. Mi ci ero venduto anche la macchina per quella chitarra. L'articolo diceva paga buona. E io ne avevo bisogno di soldi.
Entrai nel locale e al tipo grasso al bancone dissi che ero lì per il provino. Che ero chitarrista. Dissi che sapevo improvvisare. Dissi che amavo il jazz. e mentre lo dicevo mi sentivo nudo.
Avevo suonato in giro per il mondo. Avevo suonato per chiunque volesse una canzone. Avevo suonato solo per me. Avevo suonato con gente che a casa, appesa alla parete più illuminata, aveva un disco d'oro. Avevo suonato con chi la musica l'aveva nel sangue.
"Fratello, hai sbagliato giorno. I provini erano due settimane fa." E glielo dissi che avevo letto l'inserzione il giorno prima. E c'era scritto giovedì. e glielo dissi che era giovedì.
"Sì, ma giovedì di due settimane fa."
Sconsolato girai le spalle al bancone e presi l'uscita. Dietro l'uomo mi chiamava: "Ehi! Fratello! Aspetta! A tutti quelli che si sono presentati al provino abbiamo offerto una birra. Quindi prenditi questa rossa e goditi la musica!". Birra e musica non si rifiutano. Mai. Mi sedetti a un tavolino all'angolo. In penombra. Solo. Come sempre. Sul palchetto in legno c'erano gli strumenti. E i musicisti. Quello con la tromba si avvicinò al microfono. "Benvenuti al Millenoteclub. Stasera sarà jazz allo stato puro. Stasera entreremo nella miniera del jazz." E la tromba attaccò a suonare. Il suono era buono, ma mancava un po' di grinta. La tromba era l'unica a metterci l'anima. Lui forse era uno dei più grandi. Ma era come se fosse legato / ingabbiato.
La banda non lo aiutava. La chitarra ci provava a uscire con qualche assolo. Il chitarrista suonava del rock. E il jazz non è rock. Il jazz ha un'anima nera fosforescente e blu.
Suonarono così per due ore. Era arrivato il momento di chiudere. Ultima canzone e buonanotte a tutti i suonatori. Io lì ormai c'ero arrivato e potevano ammazzarmi anche, ma una nota. Anche solo una. L'avrei suonata. Come è vero Iddio.
Estrassi la chitarra. Senza farmi vedere. senza farmi sentire. La canzone attaccò. Al primo stacco della tromba azzardai qualche nota. Alzai il tono di quattro ottave. Aggiunsi qualche rigoletto. Nella mia testa le vedevo mettersi in linea le note. Le vedevo come punti e virgole. Le vedevo marchiarsi come lettere. Mi stava prendendo la mano. Di colpo ci fu silenzio. Avevo tutti gli occhi puntati su di me. Tutti erano immobili. Trattenevano il respiro. Mi guardavano come se fossi un blasfemo.
Fissai la tromba. Dritto negli occhi. Esclamai: "Il jazz, boy, è improvvisazione".
Lui abbozzò un sorriso. Impugnò la tromba e iniziò a suonare. Stavolta per davvero. Con l'anima. Era magnifico quel suono ora. Correva su e giù per le note come una rondine appena arriva la primavera. Lui era il più grande. La batteria e il contrabbasso iniziarono a tenere il ritmo. L'anima era di nuovo nel jazz. E il jazz era di nuovo nell'anima.
Do/ sol/ Mi minore/
Re maggiore/
Fa diesis/ Si bemolle/
Do Maggiore/ La /
Dal mio angolino seguivo il ritmo. La mano mi scivolava sulla tastiera della chitarra senza che il cervello dicesse cosa fare. L'altra prendeva singolarmente le corde con la precisione di un chirurgo. Cera un pianoforte appoggiato alla parete. Anche lui prese parte alla jam. Sullo sgabello c'era il barista. Andammo avanti a suonare a ritmi che si faceva fatica a seguire. Per quei pochi secondi tutto il locale era come sospeso in aria. Appeso a delle corde invisibili. Inebriati dalla musica pura che veniva prodotta. Quelle corde invisibili se ti fermavi a guardarle bene. Se le osservavi con gli occhi ingenui di un pischello di appena cinque anni. Avresti giurato di vederci in mezzo le note che uscivano dagli strumenti. Ma a volte certe cose ci si dimentica come si guardano.
Ora siamo la jazz band più famosa di Gornate. Che ancora non so dove cazzo sia.


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Ultimo aggiornamento: 16 gennaio 2010