La cultura č ciņ che rimane dopo aver dimenticato
La cultura è ciò che rimane dopo aver dimenticato.
Ma dopo aver dimenticato cosa?
Dopo aver dimenticato di essere uomini.
Dopo aver dimenticato la propria identità, la propria vita, il proprio scopo. Dopo essersi lasciati avviluppare dalla banalità che impedisce a ogni essere umano di apparire unico.
Ci sono situazioni in cui un uomo è costretto a soffocare se stesso, il suo complesso e intricato sistema emotivo-esistenziale in una palude di reticenza e dimenticanza.
È l'odio.
L'odio porta alla stanchezza nei confronti della vita e la conseguenza più catastrofica che si può ripercuotere sull'uomo è dimenticare.
L'odio, che è figlio dell'ignoranza.
Ignoranza, che annebbia i sensi e converte la realtà in un pericoloso ciclo meccanicistico di distruzione.
C'è chi soccombe. E c'è chi reagisce.
L'ultimo alone di forza si scatena in un cumulo reattivo di potenza interiore che può rivoluzionare la condizione dell'uomo che, finalmente, dopo aver dimenticato di esistere, fa ricorso alla sua cultura, indagando negli anditi più reconditi del proprio cuore e rispolverandola e portandola a galla, mano a mano che riaffiora alla sua mente.
Perché la cultura è l'unica cosa che non corre il rischio di essere dimenticata.
Non entra a far parte della mente, che viene distorta dall'odio; non tocca la razionalità, che è la capacità umana più labile e vulnerabile; non sfiora nemmeno con un alito leggero della sua brezza immacolata la memoria, che si può rivelare inaffidabile, effimera, ineccepibilmente delicata e divoratrice di ricordi a cui un uomo rischia di non poter più accedere proprio nel momento in cui ne avrebbe maggior necessità. La cultura, invece, penetra e si nasconde in una nicchia appartata dell'anima, pronta a soccorrere l'uomo non appena venga smossa e interrogata da un dubbio o da un forte appello, ultimo, disperato alla sopravvivenza.
È una verità incontrastabile.
Le esperienze di uomini, in questo senso, sono molte; una è quella di Primo Levi, chimico ebreo italiano, deportato ad Auschwitz durante il genocidio della seconda guerra mondiale.
Proprio quando l'odio dei nazisti arrivava quasi a compiere il suo obiettivo finale, quello di cancellare dalla memoria dell'umanità, quest'uomo, se così si può ancora definire quello che era ormai divenuto spettro della sua anima, viene invaso da un bagliore di speranza, mentre si trova accanto a un giovanissimo francese condannato alla stessa sorte.
Fa rivivere Ulisse attraverso le parole di Dante, insegue in modo incalzante i versi di quel canto dell'Inferno che si sono risvegliati in lui come per incanto, che lo salvano, lo allontanano dalla macabra spirale di desolazione da cui viene irrimediabilmente attratto, in bilico, in procinto di lasciar dissolvere la sua anima prima che venga dissolto il suo corpo e regalato al vento.
Quando non può più fare affidamento sulla memoria di una vita che non gli sembra di aver mai posseduto, si abbandona all'impeto travolgente di questo fiume in piena di parole che gli sgorgano dalla bocca in modo irruente e che finalmente riesce a comprendere.
…Ma misi me per l'alto mare aperto…
La sua cultura, nascosta, ma quiescente per anni, si risveglia per fare ritrovare all'uomo la sua adesione a un mondo terreno, a una sofferenza reale, per risvegliarlo dalla culla di morte in cui si stava adagiando.
A questo punto è incredibile quale sia la forza della cultura che, quasi come dotata di vita propria, si presenta nei suoi aspetti fondamentali, idonei alla situazione.
Come se la cultura di Primo Levi sapesse che quest'uomo non ha molto tempo per ritrovare se stesso, e allora seleziona per lui quanto c'è di più indispensabile.
E trova Ulisse. Solo alcuni versi.
….Acciò che l'uom più oltre non si metta…
Catturato dalla riscoperta di essere uomo, gli si presenta tanto palese la sua condizione e tanto tangibile la sua affinità con Ulisse che prende a parlare in modo incontrollato, più che altro per rendersi conto e assicurarsi che quello che dice sia vero, e anche perché ormai la forza della cultura, che prende il sopravvento sulla dimenticanza, è straordinaria e totale.
….Tre volte il fè girar con tutte l'acque,
alla quarta levar la poppo in suso
e la prora ire in giù, come altrui piacque.
A ogni parola una rivelazione, come se questo suo eterno bagaglio di conoscenze gli si presentasse per la prima volta dinnanzi agli occhi.
Qualcosa di immenso che lui stesso vede soltanto ora, nell'intuizione di un attimo, forse il perché del loro destino.
E allora, solo allora, lontano dai libri e dai banchi di scuola, capisce a fondo il pericolo dell'ignoranza, la condanna dell'oblio, che cancellano la natura dell'uomo.
Fatti non foste a viver come bruti,
ma per seguir virtute e conoscenza.
Poi, la fiamma ardente che si era accesa in lui viene mascherata e allontanata dal ritorno all'Inferno vero, quello della distruzione delle memorie che viene operato nei lager come in tutti gli altri luoghi pervasi dall'odio.
Ma questa fiamma non si spegnerà più. Ormai il meccanismo è stato innescato.
Primo Levi non è destinato a soccombere.
…infin che 'l mar fu sopra noi richiuso.
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