Sulla guerra di Troia
Era l'ultima ora di sabato e la nostra prof stava spiegando l'Iliade. Un mio compagno aveva appena finito di leggere a voce alta come il cavallo di legno fosse mandato a Troia. Io intanto sentivo le palpebre pesanti. Quella notte non avevo dormito, perché il cane del vicino aveva abbaiato ininterrottamente. La prof stava parlando sempre più lentamente, i rumori in classe si confondevano e io caddi con la testa sul banco.
La botta mi risvegliò, ma non ero più in classe: ero al centro di una piazza all'interno di una enorme città dalle mura altissime.
Era notte e attorno a me giacevano molti uomini addormentati, alcuni avevano ancora in mano bottiglie vuote o quasi che emanavano un forte odore di vino.
Al centro della piazza i resti di un enorme falò si stavano consumando al vento che portava un odore di salsedine. Alla mia sinistra vidi l'imponente figura di un cavallo che a prima vista sembrava di legno. Allora capii che per quanto fosse impossibile io mi trovavo a Troia ed ero anche in un mare di guai. Se ciò che aveva scritto Omero era realmente accaduto significava che gli uomini dentro il cavallo stavano per uccidere tutti coloro che dormivano attorno a me e che io avrei potuto non fare una bella fine.
Mi venne in mente l'idea più geniale di tutta la mia vita: nascondermi!
Bagnai una coperta che trovai su un uomo lì vicino e mi nascosi tra le braci. Forse era pericoloso ma almeno nessuno mi avrebbe cercato lì. Non cercai neanche di svegliare quelle persone addormentate perché erano ubriachi e non si sarebbero comunque riusciti a difendere.
Rimasi nascosto in attesa. Forse mi ero sbagliato. Forse Omero si era sbagliato...
No, aveva ragione. Quando le ultime braci si furono completamente spente un ingranaggio lento ma silenzioso fece aprire una porta nascosta alla base del cavallo dalla quale uscirono centinaia di uomini, silenziosi come fantasmi, che brandendo delle spade, uccidevano uomini, donne e bambini. Tutti coloro che dormivano nella piazza non furono risparmiati. Poi, una volta terminato questo massacro, caricarono gli archi con delle frecce non appuntite ma aventi alla propria estremità un panno che grondava una sostanza maleodorante. Diedero fuoco a quei panni che capii essere imbevuti nella pece e scoccarono i dardi infuocati in tutte le direzioni. In breve Troia bruciava.
All'alba i guerrieri situati nell'accampamento più esterno alla città accorsero dando inizio a una feroce battaglia. Un uomo morì a pochi centimetri da me e la sua spada cadde sulla mia mano sinistra tagliando la coperta, fermandosi al primo strato di pelle. Il taglio non era profondo, ma non riuscii a trattenere un gemito. Un soldato dall'armatura lucente mi sentì. Si avvicinò piano mentre la paura in me cresceva. Venne distratto da una freccia lanciata da un uomo in lontananza che si conficco tra noi. Egli si voltò e io presi la freccia e la conficcai nel suo tallone.
Non riuscivo a riflettere lucidamente, mi misi a correre e basta verso le porte della città. In lontananza vedevo delle enormi navi che pensai essere degli Achei. La mia corsa finì quando, senza fiato, mi accasciai sulla spiaggia. Dalla città mi arrivavano le urla dei Greci che avevano vinto la guerra. Ormai ero salvo.
Ripensai a ciò che era successo sapendo che nessuno mi avrebbe creduto. Rimpiansi di non essere riuscito a conoscere nessuno dei leggendari eroi come Odisseo, Achille o Paride.
Non ero neanche riuscito a vedere se effettivamente quest'ultimo avesse ucciso Achille con una freccia ma non mi importava granché. Ormai il pensiero di come tornare a casa era l'unica cosa che mi affliggeva.
Però la brezza del mare era così fresca e il sole diffondeva un caldo tepore. Chiusi gli occhi e sentii una voce che ripeteva il mio nome.
Li riaprii e mi trovai di nuovo nella mia classe con la professoressa in piedi di fronte a me che cercava di svegliarmi.
Dopo aver ripreso il mio diario e letto la lunga nota che la prof mi aveva scritto mi convinsi che era stato solo un sogno. Tuttavia era stato così reale e vivido nella mia mente... Ricordavo ogni particolare e ricordavo di aver provato un dolore lancinante alla mano quando la lama della spada era penetrata nella carne. Istintivamente portai la mano destra sul dorso di quella sinistra e notai una sottile cicatrice che non riuscii mai a spiegarmi.
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