Ulisse e Polifemo
Quella sera stavo pascolando il gregge; al calar del sole riunii pecore e caproni, e ritornai alla grotta, carico di legna da ardere. Come sempre mi apprestai a mungere la mie adorate bestiole, e sotto ogni pecora spinsi dolcemente un tenero agnello, come deve fare un vero pastore.
Parte del latte lo raccolsi in canestri di vimini: ne avrei fatto un ottimo cacio; il rimanente l'avrei bevuto a cena. Avevo una fame…
Quando però accesi il fuoco mi accorsi che, oltre ai miei teneri animali, c'erano altre presenze: degli uomini. Ero incuriosito, ma anche stupito della loro ignoranza: non sapevano chi fossi? Costoro, esseri sciocchi e stolti, mi raccontarono che erano stranieri e che, per il volere del Cronide Zeus, avrei dovuto accoglierli e ospitarli. Ma noi Ciclopi non abbiamo regole e i voleri di Zeus e degli altri dei non ci riguardano! Questo però gli umani forse non lo sapevano, e ciò sarebbe stata la loro rovina.
Cercai di capire dove avevano attraccato la nave, perché avrebbero potuto usarla per fuggire. La fortuna era però dalla mia parte: l'uomo che prima aveva parlato mi informò che non avevano più nave, a causa di una violenta tempesta scatenata da mio padre. Non esitai: ne presi due, i più robusti e forti, e li divorai.
Mi addormentai con il ventre pieno, come una capra che da tempo non viene munta. La mattina dopo mi svegliai alla solita ora, ma gli uomini erano ancora nella grotta terrorizzati dalla paura. Nonostante ciò ripetei il pasto della sera prima; i due uomini che mangiai erano però più saporiti dei precedenti.
Chiusi poi la porta della grotta, in modo che non potessero scappare, e uscii con le mie adorate bestiole. La giornata passò in fretta: avevo voglia di carne fresca!
Quando tornai mi accorsi che gli uomini erano ancora più spaventati del giorno prima. Malgrado ciò, saziai nuovamente la mia fame. Nonostante avessi già divorato sei dei suoi compagni, l'uomo che finora aveva parlato mi porse del vino; era buonissimo, più di quello da me prodotto annualmente. Incuriosito, ne chiesi ancora due boccali… aveva un eccellente sapore: sembrava il nettare di ambrosia degli dei.
Chiesi all'uomo, così esperto nella produzione di vino, quale fosse il suo nome, e dovetti anche promettergli che l'avrei mangiato per ultimo. Disse di chiamarsi Nessuno, strano nome per un umano. Poi il vino fece il suo corso, provocandomi un sonno da caprone. Mi svegliarono dei lievi sussurri e lo scalpiccio di passi frettolosi: gli uomini stavano bruciando e lavorando qualcosa.
Molti pensano che i Ciclopi siano esseri stupidi e ignoranti, ma non è così; siamo molto più furbi di quanto gli altri credano. Attesi pazientemente che gli umani mostrassero il motivo di tanto lavoro e, intanto, finsi di essere ancora preso dal sonno. Quando vidi la trave infuocata a costoro, capeggiati da Nessuno, avvicinarsi con essa verso di me, mi alzai. Improvvisamente, ruppi la trave e ingoiai gli uomini uno ad uno. Lo spuntino notturno mi fece bene: la mattina mi alzai come sempre, a pascolare il gregge.
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