Un Polifemo diverso
«Terra!» gridai, e tutti i miei compagni gioirono insieme a me. Eravamo contentissimi di aver abbandonato per sempre i Lotofagi, ma non sapevamo ancora cosa ci sarebbe accaduto in quell'isola.
Eravamo arrivati sull'Isola delle Capre, terra dei Ciclopi. Approdammo di notte, era una notte cupa, tutta buia, e la luna si intravedeva appena tra la fitta nebbia che ricopriva l'isola. Stanchi, riposammo.
Il mattino seguente, al risveglio, restammo abbagliati dalla bellezza e dalla prosperità dell'isola: era rigogliosa, fertile, adatta all'agricoltura, ricca di buoni approdi, di acque dolci e soprattutto di selvaggina. Banchettammo tutto il giorno per festeggiare il nostro arrivo e il mattino successivo decidemmo di inoltrarci nell'isola dopo aver recuperato un poco di vino, nelle stive della nave, come dono ospitale.
Trovammo una caverna e vi entrammo. Restammo meravigliati dalla sua enormità e ampiezza e da tutto quello che conteneva all'interno. Dai muri pendevano formaggi di ogni tipo ricavati dal latte di agnelli, capretti e grasse greggi che erano custodite nei recinti all'interno della spelonca. Aspettammo gli abitanti dell'isola con una grande paura nella mente, accendendo un focolare e mangiando un po' di tutto quel formaggio, temendo che i Ciclopi, esseri giganteschi dall'unico occhio, ci avrebbero divorato senza porsi il problema di chi fossimo.
Quando il Ciclope rincasò, restammo stupiti del suo comportamento. Appena ci vide intorno al fuoco con ancora del formaggio in bocca, tutti impauriti, si comportò amichevolmente offrendoci addirittura del candido latte appena munto per dissetarci, senza neanche chiedersi chi fossimo. I miei compagni e io ci trovavamo tutti intorno a un focolare quando entrò il Ciclope: una figura enorme, paurosa, con un unico grande occhio giallo posto in mezzo alla fronte, in una testa piuttosto allungata. A ogni suo passo la legna, accantonata in un angolo dell'enorme caverna, traballava. Appena varcò la soglia, l'enorme grotta fu ricoperta dal buio più totale anche perché una folata di vento aveva spento il nostro fuoco.
Ci guardò un po' stordito e dopo qualche istante ci rivolse delle domande: "Chi siete voi? Siete esseri strani, da dove venite?"; allora presi la parola e risposi con tutta calma, mentre la gambe ancora mi traballavano un poco: "N-noi siamo umani, abitanti di Itaca, una città della Grecia. Siamo di ritorno da una grande guerra e per mare stiamo vagando ormai da dieci anni in cerca della giusta rotta che ci porti a casa". Il Ciclope rispose: "Io sono Polifemo, il ciclope più anziano di quest'isola. Permettetemi di ospitarvi come meglio mi è possibile, offrendovi tutto quello di buono e genuino che possiedo".
Il Ciclope sacrificò un bell'agnello e, dopo averlo ben cotto, lo pose su un grande vassoio accompagnato da molto formaggi e latte fresco fresco. Il Ciclope rimase impressionato dalla nostra fame insaziabile e, sorridendo, versò ancora del latte nei nostri calici, che oramai traboccavano. Dopo questo enorme e saziante banchetto, tirai fuori l'otre che conteneva il vino delle nostre stive e ci ubriacammo facendo festa tutti insieme. Dopo, un sonno lungo e profondo colpì tutti quanti noi.
Al nostro risveglio trovammo la tavola ben imbandita, ricolma di formaggi di tutti i tipi e molte tazze che traboccavano di latte caldo, mentre il ciclope era andato a far pascolare il suo grande gregge.
Al rientro nella dimora, spinse il gregge nello smisurato recinto fatto da imponenti tronchi di legno ben lavorati e si sedette di fianco a noi ancora storditi a causa della grande festa della notte precedente.
Dopo aver discusso a lungo con i miei compagni di viaggio, decidemmo che era ora di tornare sulla nave per riprendere il viaggio di ritorno a Itaca. Quindi salutammo con i dovuti e abbondanti ringraziamenti il ciclope Polifemo e donammo a tutte le famiglie che abitavano in quell'isola il vino rimasto nelle stive della nave. Poi, abbandonando l'isola, tornammo in mare.
Era un pomeriggio asciutto e molto caldo: il sole splendeva come non mai alto nel cielo e le poche candide nuvolette ornavano l'azzurro intenso della volta celeste.
Il viaggio sembrava procedere alla perfezione senza la minima difficoltà, fino a quando, come dal nulla, si sollevò una grande e burrascosa tempesta.
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