Un'esperienza di lettura
Ho sempre letto. Con questo non intendo che mi piace leggere un buon libro ogni tanto ma piuttosto che non ricordo un periodo della mia vita, lungo o breve che fosse, in cui non fossi impegnato in una qualche lettura; tant'è che questa mia passione è divenuta quasi proverbiale nella mia famiglia. Pochi Salgari mi sono sfuggiti, ed anche Dumas è stato ormai esaurito (dopo la tormentatissima ricerca che ancora ricordo con affanno della terza parte della sua celebre trilogia, Il Visconte di Bragelonne, allora quasi introvabile). Mi vanto anche di essere stato uno dei pochi audaci miei coetanei capaci di misurarsi, per libera scelta con capolavori quali Guerra e Pace, Anna Karenina o addirittura I Miserabili e posso assicurare che più di una volta le imponenti digressioni trattatistiche del Tolstoy o le interminabili divagazioni di Hugo hanno messo a dura prova la mia tenacia, aiutata certo notevolmente dall'incredibile splendore di quei romanzi. Mi ritengo dunque un buon lettore, almeno in quanto dalla lettura traggo un enorme piacere, cosa che la rende una delle mie occupazioni favorite.
La prima volta che tentai di leggere il libro cui dedico questo mio scritto, avevo dieci anni. Dico tentai, perché in effetti non ressi a quella mole enorme e rinunciai dopo pochi capitoli: fresco di Salgari, una lettura abbastanza agevole anche per un bambino, non riuscivo a mettermi a leggere un libro che non riuscivo nemmeno a tenere sollevato in mano data la mole del volume. Ma, come ho già detto, sono molto tenace. Due anni dopo ricominciai di buona lena. Finii in due mesi e mezzo (scolastici) Un libro di circa 1300 pagine. Ma il merito, devo riconoscerlo, non fu solo della mia tenacia. La verità è che non riuscivo a staccare gli occhi dalle pagine, come magnetizzato da quella storia. E qualunque lettore concorderà che niente è più bello di un libro capace di coinvolgere in questo modo. Il libro in questione, non è annoverato fra i grandi classici della. letteratura, nessun professore di liceo lo farà mai leggere ai suoi alunni, perché per quanto meraviglioso, è solo del genere fantasy. Ma se mi viene chiesto quale romanzo ha risvegliato in me più sensazioni, quale romanzo mi faceva attendere con trepidazione un po' di tempo libero per continuare la storia, la mia scelta non può che cadere sul Signore degli Anelli, di J.R.R. Tolkien, per quanto strano ciò possa sembrare. Certo ci si dirà che questa passione era solo quella che ha un bambino per una bella fiaba; e così ho pensato io fino a quattro mesi fa. Per caso me lo ritrovai fra le mani, ne rilessi per divertimento le prime facciate, e non riuscii più a distoglierne gli occhi. Terminai l'eroica impresa in solo un mese. E per quanto a conti fatti si trattasse solo di una splendida favola, provai un così sincero piacere a rileggerlo, che, sebbene abitualmente non apprezzi gli altri scrittori fantasy, questo libro riacquistò a pieno titolo quel primo posto fra le mie letture che aveva perso a vantaggio di Guerra e Pace anni prima.
Ma al di là dell'indiscutibile fascino che esercitava su di me questa storia, credo che il motivo di una simile passione sia stato un altro. Ritengo che questo libro, come tutte le opere di Tolkien sia così splendido e conservi così bene la sua bellezza nel tempo perché dà al lettore un qualcosa di particolare, che pochi libri a ben guardare danno: si tratta del vero e proprio piacere della lettura. Proprio per il fatto di non costituire una lettura impegnativa, ma solo un divertimento, Il Signore degli Anelli permette al lettore di calarsi completamente in esse. Per leggerlo non serve alcun sostrato culturale, non c'è bisogno di aver studiato la storia né qualsiasi altra cosa; Il Signore degli Anelli non ha in sé né gli eventi storici che fanno da scenario a Guerra e Pace, né le tensioni sociali de I Miserabili. E proprio perché manca di questi elementi, ti incanta. Il motivo di questa sua bellezza è che Il Signore degli Anelli non viene letto, ma "vissuto". Cercherò di spiegare cosa intendo. Tolkien, innanzitutto, non ci presenta un mondo distaccato e lontano, tanto cronologicamente quanto idealmente, come fa un Dumas: egli ci fa entrare nel suo mondo e lo rende anche nostro. E i personaggi di Tolkien (nonostante la loro inconsistenza) sono, ritengo, molto più vicini a noi di quanto non lo siano il principe Vronskij, Nicolaj Rostov o Marius. Non che i profili di questi personaggi tra i più celebri della letteratura mondiale, e nel contempo fra i più amati da me stesso, manchino di profondità o di umanità (non potrei che apparire ridicolo affermando una cosa simile), ma a mio parere sono a tal punto uomini dei XIX secolo, come d'altro canto lo erano i loro creatori, che non sono del tutto comprensibili dal lettore contemporaneo. Invece, proprio per il fatto che i loro comportamenti sono legati a una morale ed a un'etica completamente inventate e completamente fuori del tempo e dello spazio (e per di più completamente fornite dal libro), i personaggi di Tolkien sono di gran lunga più accessibili al lettore, che viene fornito di tutti gli elementi per stare al gioco dell'autore: entrare nella storia, immedesimarsi in un personaggio, anche in uno hobbit, calarsi in un'altra realtà completamente diversa e completa in se stessa. E mi permetto di pensare che se non viene data la giusta importanza all'opera di Tolkien è proprio per l'incapacità che molti hanno di estraniarsi dal proprio mondo, di separarsi dalla propria realtà, di accettare insomma la lettura anche come puro divertimento, e non solo come indagine dell'animo umano o della società. Eppure Tolkien, col suo mondo tanto accuratamente costruito da sembrare plausibile (basta dare una scorsa alle appendici da lui stesso poste alla fine del libro per rendersi conto di quanto fosse fervida l'immaginazione e la creatività dello scrittore) ce ne dà la possibilità. Anzi credo fosse proprio questo il suo intento. Parecchi commentatori sono giunti ad attribuire all'opera significati tanto profondi quanto eccessivi. Con quell'anelito interpretativo che ho visto e ho ammirato sinceramente nei critici danteschi, coloro che si sono ingegnati in questo senso hanno trasformato la storia del viaggio di Frodo chi in una critica della società, chi in una rivolta contro i valori tradizionali dell'epoca, chi ancora in un rifiuto dei canoni letterari moderni; so anche di una recente lettura che fa dell'autore un teorico della pura razza, e dunque di una posizione politica estremistica. Io parlo solo sulla base della lettura del testo in questione, non ho strumenti di analisi critica, ma credo sinceramente che tali teorie siano tanto belle quanto fuorvianti: credo che sia sbagliato sforzarsi di interpretare e di proiettare nel nostro mondo un fantasy, e soprattutto un fantasy come Il Signore degli Anelli. Perché esso è quanto vi si legge, niente di più. Frodo è costretto per il bene del suo mondo a compiere con un gruppo di compagni una missione suicida, fra incantesimi, mostri, incontri e battaglie: questo è quanto ho ricavato dal libro, e non credo fosse necessario ricavarne di più. Non credo che chiunque ami la lettura possa trovare tale affermazione riduttiva.
Insomma, non voglio essere critico nei confronti di quella letteratura impegnata che io stesso adoro: in questo mio breve scritto ho semplicemente voluto spezzare una lancia in favore di una diversa concezione della lettura: concezione elementare e forse da me eccessivamente esaltata, ma che sono convinto che chi come me e Sofia ama la lettura in ogni sua accezione non potrà che condividere. Leggere per il piacere di leggere, per potersi estraniare, per poter fermare il tempo, trasferendo le proprie emozioni su un personaggio di carta in un mondo di inchiostro che diventano, almeno per un po', il nostro personaggio e il nostro mondo.
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