Un libro, una vita
Josh Sattler aveva sempre vissuto tra cose meravigliose e perfette. Il nonno era stato un ricco petroliere e suo padre aveva ereditato il patrimonio paterno, potendosi così dedicare alla cultura. Possedeva una villa nelle pianure del Montana con diciotto ettari di territorio. A vent'anni aveva conosciuto la madre di Josh e l'aveva sposata. Quando nacque il bambino decisero di dargli la migliore vita che potessero offrirgli, anzi lo presero come un dovere. E così Josh era istruito dal più colto insegnante privato dello stato, aveva una propria biblioteca che conteneva tutti i migliori romanzi e saggi mai scritti, una stanza da letto con la volta affrescata e un'invidiabile pinacoteca.
Un giorno stava camminando per i corridoi verso la sala da pranzo. La cameriera aveva messo le solite orchidee fresche sotto il Mirò e c'era un cassetto aperto nella credenza vicino al Van Gogh: sicuramente si trovava lì quel libro del milletrecento che suo padre voleva tanto che leggesse. Magari più tardi. Girò l'angolo e vide che la lucetta sopra al Rembrandt era spenta, probabilmente fulminata. L'aveva sempre detto a suo padre di comprare le lampadine Hemmerick, ma lui insisteva che le Thunderbolt erano meglio.
I suoi passi rimbombavano tra i pannelli di legno di cedro siciliano alle pareti. Ormai conosceva quella casa come se le stanze fossero un'estensione del suo corpo. Arrivò finalmente nella sala da pranzo. Suo padre stava già cenando. Da quando era morta la moglie era diventato più freddo e distaccato nei confronti di Josh. Sembrò non accorgersi nemmeno che il figlio si era seduto a tavola e lo stava guardando in attesa di un segno di saluto. Solo dopo pochi vuoti secondi lo degnò di un breve sguardo, dopodiché si rimise a consumare la sua cena in silenzio.
A quarant'anni Josh passava la maggior parte del tempo in biblioteca. Ormai riconosceva l'anno e il posto in cui il libro era stato stampato dall'odore e dal colore delle pagine.
Una fresca sera di primavera, mentre stava leggendo, si fece vivido il ricordo di quando la madre gli leggeva delle storie prima di dormire. Improvvisamente, dalla libreria cadde un libro. Era un segno. Josh raccolse il volume polveroso e lo esaminò. Non l'aveva mai letto, se no se ne sarebbe ricordato sicuramente.
Per la prima volta dopo anni era curioso di qualcosa. Voleva scoprire come mai la madre avesse voluto che lui leggesse quel libro. Voleva scoprire se nascondeva qualcosa di divino.
Dopo poche righe staccò gli occhi dal volume quasi sopraffatto dall'emozione. Deglutì, incredulo. Le più basilari regole della simmetria sintattica erano state completamente ignorate, la grammatica era pessima, i sostantivi banali e i verbi grossolani. La mancanza della minima cura dei particolari si palesava dopo pochi vocaboli. L'incipit era disgustosamente noioso e la punteggiatura inappropriata. I periodi eccessivamente lunghi contenevano inutili giri di parole che rallentavano fastidiosamente la lettura. Quel libro era scritto inverosimilmente male.
Josh cominciò a boccheggiare. Improvvisamente tutte le cose meravigliose con cui aveva convissuto finora furono paragonate con quel mucchio d'immondizia e tutta la bellezza che aveva avuto intorno a sé gli sovvenne. Il suo volto era imperlato di sudore e si sentiva soffocare. Grazie a quell'insignificante scherzo della letteratura la sua realtà gli si manifestò, travolgendolo con un mare impetuoso di pura bellezza. E morì.
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