L'infinito
Sono quasi le tre del pomeriggio. Fa caldo. Del resto è il ventinove luglio e la piazza è completamente al sole. Abbiamo perso la nonna alla biblioteca di Leopardi e adesso stiamo aspettando mio padre che è andato a recuperarla. Siamo in visita turistica a Recanati, paese di nascita del poeta di A Silvia, Alla luna, Il sabato del villaggio e di tante altre note poesie.
Finalmente torna mio padre trionfante, con mia nonna che gli trotterella dietro con quell'aria innocente che spesso hanno le nonne come per dire: "Non è colpa mia! Io sono cresciuta in mezzo ai campi, non sono abituata a queste cose!". Dopo questo piccolo intoppo, il nostro giro turistico può continuare. La prossima tappa è il famoso colle de L'infinito. Prendiamo una stradina sterrata e in poco tempo giungiamo a destinazione.
Ci troviamo di fronte a un meraviglioso giardino pieno di cespugli, roseti e alberi da frutto. In fondo, dritto davanti a noi c'è un muro ricoperto di edera che mi impedisce di vedere che cosa ci sia al di là di esso. Alla nostra sinistra c'è una targa. Ci avviciniamo e leggiamo: Qui è dove il poeta Giacomo Leopardi compose la nota poesia L'infinito…
Dopo qualche momento di silenzio e contemplazione del luogo, la mia mamma estrae dalla sua borsetta il dépliant preso poco prima alla biblioteca, lo guarda, lo gira e lo rigira tra le mani e poi esclama: "Eccola! L'infinito di Giacomo Leopardi". La nonna si avvicina incuriosita, inforca gli occhiali e si mette a declamare la poesia come se fosse un uno scoop di un giornale di pettegolezzi, non tenendo minimamente conto del ritmo e degli accenti. Io mi allontano inorridita da mia nonna che, convinta, continua a leggere la poesia.
"Povero Leopardi" penso "dopo questa terribile interpretazione di mia nonna si rivolterà nella tomba!..." Raggiungo un posticino appartato e lontano dagli altri turisti (e soprattutto da mia nonna!). A questo punto prendo anch'io il mio dépliant e cerco L'infinito. In realtà, l'ho studiata a memoria in terza media e dovrei ancora ricordarmela, però preferisco leggerla per non rischiare di sbagliare o di impiantarmi a un certo punto perché non ricordo una parola. La trovo e comincio a leggerla sottovoce.
Sempre caro mi fu quest'ermo colle,
E questa siepe, che da tanta parte
Dell'ultimo orizzonte il guardo esclude.
Silenzio. Di siepi non ne vedo… Ma quel muro! Là, dritto davanti a me. Il muro che ho visto appena arrivata, quello ricoperto di edera! [...] da tanta parte dell'ultimo orizzonte il guardo esclude [...]. Cosa c'è al di là del muro? Non lo so. Comincio a capire perché così tante persone ci avevano consigliato di visitare quel luogo e curiosa vado avanti a leggere la poesia.
Ma sedendo e mirando, interminati
Spazi di là da quella e sovrumani
Silenzi e profondissima quiete
Io nel pensier mi fingo; ove per poco
Il cor non si spaura.
Silenzio. Mi siedo. Chiudo gli occhi. Per fortuna mi sono allontanata abbastanza da mia nonna e riesco a sentirlo, quel sovrumano silenzio; la percepisco quella quiete che intende Leopardi e anche se ho gli occhi chiusi vedo ancora quel muro (la mia siepe) e immagino che cosa possa esserci al di là… Riapro gli occhi e torno alla mia poesia.
E come il vento
Odo stormir tra queste piante, io quello
Infinito silenzio a questa voce
Vo comparando
L'aria estiva fruscia tra gli alberi e si mischia lievemente al mio infinito. Continuo a leggere; ho come il presentimento che questa poesia mi stia rivelando un segreto.
e mi sovvien l'eterno,
E le morte stagioni, e la presente
E viva, e il suon di lei.
Leopardi ricorda la sua vita, le morte stagioni: il tempo passato. Provo anch'io a ricordare, ma tutto ciò che è accaduto fuori da questo giardino mi sembra molto lontano, quasi fosse un'altra vita. Mi sembra che sia passata un'eternità persino da quando, usciti dalla biblioteca ci siamo accorti che non c'era più la nonna. Silenzio. Vado avanti a leggere e finisco la poesia.
Così tra questa
Immensità s'annega il pensier mio:
E il naufragar m'è dolce in questo mare.
Chiudo di nuovo gli occhi. Non penso a nulla. Navigo nel silenzio in quella situazione. Mi riecheggiano in testa le parole, i versi appena letti. Silenzio.
"Caterina!" È la mia mamma. Apro di colpo gli occhi e con un balzo ritorno alla realtà. Mi volto. Il papà, la mamma e la nonna mi raggiungono. "Dov'eri finita?" mi chiede mio padre e, senza neanche lasciarmi il tempo di rispondere, aggiunge: "Dai che dobbiamo ancora andare a vedere la casa di Leopardi!". I tre s'incamminano verso l'uscita del giardino e io, dopo un ultimo sguardo alla mia siepe, li seguo.
Sono quasi le dieci e mezza di sera del ventinove luglio. Io sono nel mio letto. Mia nonna dorme di fianco a me da una buona mezz'ora. Io fisso la luce della luna che penetra dalla finestra e crea sul soffitto un rettangolo di luce più chiara. Ripenso alla mia giornata e non posso fare a meno di soffermarmi su L'infinito. Che strana sensazione questo pomeriggio! Non capisco. Attendo nel letto, non riesco a dormire. Tutto d'un tratto mi viene un pensiero: oggi sul colle de L'infinito non ero io. Non ero la Caterina Martini di sempre, no, ero un'altra persona: ero Giacomo Leopardi.
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