Uno scatto
Penso che tutto si possa in qualche modo leggere. Le persone, gli oggetti, i paesaggi, ovviamente i libri.
Piove. È da due giorni che piove ininterrottamente. Dalle finestre si vedono solo gocce grigie e nuvoloni. Sembra che il tempo si sia fermato, le giornate scorrono monotone e tristi. Guardo verso il parco, come sarebbe bello se ci fosse il sole, a quest'ora si potrebbe vederlo tramontare, l'aria si dipingerebbe di quell'arancione intenso e potrei fotografarlo. Ma oggi proprio nulla. Zero. E va be', aspetterò.
“Pallaaaa!” Un pomeriggio caldo, molto caldo. Il sole lassù guarda, chissà, forse ride. Alcuni sono sdraiati, per essere baciati dall'enorme tondo giallo, altri giocano, altri corrono, pieni di quell'energia e quella spensieratezza che contraddistingue i ragazzi, di sottofondo la chitarra regala un'atmosfera così contagiosa, così allegra. Il prato è un rettangolo circondato da alberi, alti e sottili pioppi verdi. Tutto quanto è verde, tranne un triangolo di lavanda, laggiù, che emana un profumo intenso.
Apro gli occhi. In realtà sono ancora qui. I vetri sono pieni di goccioline. Uffa, questo giovedì sembra eterno.
È come se tutto fosse in questa stanza. Sento il caldo, l'odore dell'erba, il ronzio delle mosche e delle api, le grida e le risate. L'erba è verde, di un verde acceso, fresco. Cammino senza scarpe, se le sono tolte tutti. Al contatto i fili si piegano morbidamente, alzo il piede e loro si rialzano, come se nulla fosse accaduto. Mi lascio cadere, quasi ubriaca di divertimento. Sorrido, libera di tutti quei problemi che solitamente mi assillano durante l'anno. Non c'è più nulla di cui preoccuparsi.
E in un momento, quel rettangolo diventa una piccola ancora di salvezza, un puntino in mezzo all'immensità, il ritrovo di noi spensierati. Diventa tutto più semplice, la paura, no, quella è volata via. Distesa, noto ancora di più il cielo. È puro, non una nuvola, non una scia di aerei, profondo e distante, anche se ora mi sembra quasi di poterlo toccare. Guardo intorno, e mi sento ancora più felice perché anche loro lo sono, come me forse, sono liberi, intendo i loro occhi, quegli sguardi che mi accompagnano sempre, che mi rimproverano e mi incoraggiano.
Ah, che bella foto. La migliore dell'anno scorso penso, pur essendo un po' sfuocata, e un po' rovinata sui bordi. La contemplo ancora un po'. Eh sì, piove ancora. È una piramide, una piccola piramide formata da nove ragazzi, scherzosi e affaticati, a fine di un giorno memorabile per ciascuno, solo nove perché era tardi, gli altri erano dovuti tornare prima, richiesti a gran voce dai propri genitori. Sullo sfondo tre alberi, alcuni cespugli, uno particolarmente violetto, formato da gambi fini, accanto un agglomerato di zaini e magliette stese al sole ad asciugare. Sono tutti arrossati sui volti, il sole era molto forte quel giorno.
“Hai finito di studiare, ché è pronta la cena?” “Sì, mamma, ho quasi finito...e comunque non stavo studiando...”
Rimetto la foto nel cassetto, la sistemo bene altrimenti si piega. All'esterno ora il cielo è ancora grigio, ma almeno è terminata la pioggia.
È strano ma contemporaneamente affascinante come un singolo scatto possa rievocare così tanti ricordi, indelebili nella mia mente, che qualche volta, quando ci si sente un po' sperduti, è bello rileggere.
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