Storia di un aborto dalla lettura di Le regole della casa del sidro di John Irving
Siccome l'aborto è illegale, le donne che ne hanno bisogno e lo vogliono non hanno alcuna scelta, in proposito, e tu - siccome - sai eseguirli non hai alcuna scelta, neanche tu. Ciò che è stato violato, qui, è la tua libertà di scelta, e anche la libertà di scelta di qualsiasi donna. John Irving
La neve cade fredda e lenta mentre la città frenetica mi passa di fianco con le sue luci e i suoi colori. Cammino piano senza sapere bene dove sto andando, un muro di vetro sembra circondare il mio corpo, tutto mi arriva attutito, spento.
Provo a concentrarmi sul nome di una via, ma le lettere si confondono davanti ai miei occhi.
Una lacrima appena nata mi si ghiaccia sulla guancia, muore al contatto col freddo.
L'odore di disinfettante mi blocca il respiro. Mi guardo intorno mentre cerco di combattere il senso di nausea che mi sta prendendo: tutto è bianco, troppo. Sento la sua mano stringere la mia: “Stai tranquilla, andrà tutto bene…”. Annuisco impercettibilmente.
L'infermiera mi guida fino a una stanza dove una donna è ricoverata con la sua bambina appena nata, poi si gira verso di lui e gli dice di rimanere fuori. Sono sola.
Dopo un paio d'ore vengono per portarmi nella stanza dove devo fare l'intervento. Sul tavolo, ben visibile, il segno che un'altra donna, poco prima, ha compiuto la mia stessa scelta.
Sento il medico che chiede di seppellirlo.
La nausea mi pervade nuovamente.
“Sono incinta.” Sono seduta sul letto, lo sguardo basso.
Si blocca di colpo.
“Com'è possibile? Abbiamo preso tutte le precauzioni…”
“Non lo so…” Non riesco a parlare, ha ragione, abbiamo fatto di tutto, eppure sono incinta.
“Cosa vuoi fare?” I suoi occhi mi guardano tristi, le sue braccia mi accompagnano lente vicino a lui.
“Non possiamo tenerlo: guardaci. Non abbiamo un lavoro, una casa… come lo manterremmo un bambino? Che vita potremmo garantirgli?!”
Sento che sto per scoppiare, la mia voce è poco più di un sussurro…
“Come vuoi… sono con te.” Mi abbraccia e le lacrime iniziano a scorrere copiose lungo le guance.
Continuo a camminare. Le macchine si fanno più rade, da una finestra chiusa arriva soffocata la voce della televisione.
Una coppia col loro bambino viene verso di me:
“Scusa, sai mica dov'è via Tabacchi?” Guardo quei riccioli scuri, gli occhi color nocciola. Il mio braccio si solleva in un gesto automatico:
“Per di là”
“Grazie.” Li guardo allontanarsi.
Non so come ma sono arrivata davanti a casa sua. Quando mi apre il suo sguardo si riempie di turbamento mentre percorre il mio viso…
“Mio padre mi ha sbattuto fuori di casa.”
“Puttana!” Il volto è viola di rabbia.
“Sei una puttana e un'assassina! Ho cresciuto una serpe!”
Mia madre si volta dall'altra parte, i fianchi sformati da cinque gravidanze e un occhio pesto: l'ideale di felice famiglia cristiana di mio padre.
Lui continua a urlare, mi prende a calci. Automaticamente mi porto una mano sul ventre, poi mi ricordo che non c'è nulla da difendere. Però la mano rimane lì, ferma.
“Esci subito da casa mia! Vattene!”
Afferro meccanicamente lo zaino, prendo un cambio e i pochi soldi che tenevo via. Una volta fuori guardo il mio riflesso in una vetrina: ho il sopracciglio spaccato e mi deve essere uscito sangue dal naso. Strano, non me n'ero neanche accorta. Imbocco la via centrale mentre la neve inizia a cadere.
Mi sveglio sudata: nelle orecchie ancora il rumore dei ferri che raschiano dentro di me. Avrei voluto urlare ma la voce rimaneva congelata da qualche parte mentre mani estranee lavoravano dentro il mio corpo.
Il campanello sta suonando. Quando vado ad aprire mi trovo davanti mia madre; non sapevo conoscesse l'indirizzo di Marco.
“Torna a casa” la sua voce è poco più di un sussurro…
“Mamma…”
“Ti prego. Se ti penti ti perdonerà. Hai commesso un peccato ma vedrai che saprà perdonare...” I suoi occhi sono gonfi di lacrime, continua a torcersi le mani.
“Perché? Sai benissimo che non è vero. Sai benissimo che non ha mai prestato ascolto a questa parte della lezione di catechismo… ma tu perché lo fai?”
Non risponde, non mi guarda neanche negli occhi. Restiamo così per un tempo interminabile.
“Posso sedermi?”. Annuisco, la casa è deserta: Marco è in università e i suoi via per una vacanza straordinaria.
“Vieni qui.” Mi siedo in braccio a lei meccanicamente.
Il suo abbraccio mi sorprende, ma mi scioglie anche per la prima volta da giorni.
“La mia bimba coraggiosa…” Mi accarezza i capelli dolcemente
“Mamma…”
“No, ascoltami… avrei voluto essere come te, trovare il coraggio... di dirglielo. Ho abortito anch'io sai? Quattro volte.”
Sorride davanti al mio silenzio sconvolto.
“Dopo che è nato Stefano. Continuava a non voler usare il preservativo, diceva che 'disperde il seme'. Non ti dico le botte quando ha scoperto che prendevo la pillola.” Mi accarezza ancora: “Avrei dovuto lasciarlo, ma come facevo? Ero da sola e avevo voi cinque”.
“Puoi farlo ora” Scuote la testa con un sorriso.
“No, è troppo tardi… però tu vivi, non commettere il mio errore… non farti chiudere in una casa.” Il suo viso, fino a questo momento sorridente, è scalfito da una lacrima.
L'abbraccio. Lei mi stringe forte, poi si stacca.
“Ora è meglio che vada” Sospira, poi si illumina di colpo: “Magari uno dei prossimi giorni potremmo andare a pranzo insieme… potresti farmi conoscere il tuo ragazzo. Mi sembra si chiami Marco, giusto?”.
Annuisco.
“Ti chiamo io”
“No, mi faccio sentire io una delle prossime mattine.” Chiaro, quando mio padre non è in casa.
Mi dà un bacio in fronte e, sorridendo, scivola piano oltre la porta.
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