Premio letterario SofiaPremio letterario SofiaPremio letterario Sofia
20ª edizione - (2017)

Un’esperienza di lettura

Un’esperienza di lettura è come un salto di ginnastica artistica, la mia grande passione.
Tuffarsi, e per un momento poter volare; avere la capacità di liberarsi di ogni àncora, ogni maschera perché in quel momento sei solo, veramente. Perdere la cognizione del tempo e di ciò che ti circonda, essere improvvisamente nessuno e ognuno dei personaggi che all’interno del libro possono prendere davvero vita. E poi ancora librarsi in un turbinio di emozioni che, come farfalle, riportano ancora più in alto.
Le emozioni non sono custodite dentro ogni libro.
Di bei libri, ne esistono tanti; tanti libri sono scritti bene ma quelli davvero belli sono quelli che cambiano la vita. Quei libri da cui ti senti capita, quei libri che si fondono con le tue emozioni, con i tuoi pensieri, diventando parte di te. Non c’è una soglia che segna l’ abisso che c’è fra i libri scritti bene e quelli che ti entrano dentro, dipende tutto dalle emozioni che trasmettono, poiché la vita è fatta di emozioni.
Una vita senza emozioni è vuota. Certo, le emozioni possono essere negative e soprattutto controproducenti; come l’ansia che ti attanaglia lo stomaco prima dell’interrogazione, che manda in fumo i tuoi propositi di svolgere una buona verifica.
Fra tutti i libri che ho letto pochi mi hanno dato l’emozione che cercavo. Ho letto entrambi i miei due libri preferiti poche settimane prima dell’inizio della scuola superiore, un periodo di grande tensione. Le domande che mi ponevo erano tante e purtroppo non potevo rispondere a nessuna di esse. Il primo libro è Cose che nessuno sa di Alessandro D’Avenia.
Questo libro ha significato molto per me, leggendo le sue pagine potevo vivere gli eventi della vita di Margherita, la protagonista. Potevo vivere con lei il primo giorno di scuola, che tanto mi spaventava, ma in modo positivo; come quando hai paura di un incognita, che più che un incognita è un buco nero ma, a quattordici anni siamo attratti dai buchi neri, dal futuro.
È nel futuro che sono intrappolati i nostri sogni, quelli veri, che non ti fanno dormire la notte, per la voglia matta che hai di strapparli al futuro, per portarli finalmente al presente. Capivo ciò che pensava Margherita e sentivo i suoi pensieri talmente miei, da sentirmi, leggendo il libro, come avvolta in un abbraccio.
Il secondo è il libro che ho scelto per l’esposizione: Il cacciatore di aquiloni di Khaled Hosseini. In questo libro non mi sentivo rappresentata dagli eventi che viveva Amir, il protagonista, ma mi sentivo all’interno delle sue emozioni.
La fragilità, la codardia sono sensazioni che detesto, ma spesso ci cado, mi attraggono e non posso resistere loro; per questo mi fanno paura, che è peggio dell’odio. L’odio è esterno, la paura è dentro di te, si àncora nel tuo profondo.
Il libro l’ho letto velocemente, l’ho divorato ma il titolo mi innervosiva; non lo capivo. Cosa significa cacciatore di aquiloni? Un cacciatore di aquiloni è l’unione di due mondi opposti. La caccia, materiale e primitiva fa parte del mondo, è il mondo. Sopravvivenza del più forte. Vita e morte. Gli aquiloni invece non sono vita, gli aquiloni sono fuga. La fuga disperata di chi non può fare altro che fuggire per sopravvivere, di chi come Amir si ritrova nella condizione dell’aquilone, che è fragile, ma la fragilità a volte è l’unica via d’uscita; per farsi trasportare dal vento.
Quindi chi è un cacciatore di aquiloni? Come si può racchiudere la forza, la lotta e la debolezza, la passività in un unico individuo. Come si può cacciare scappando, inseguire sospinti dal vento, che trasporta ma non ascolta, sordo a ogni tipo di indicazione. Amir non è solo un cacciatore, è un naufrago, continuamente sommerso dall’acqua dei sensi di colpa, che lo blocca; lo bracca. La sua mente è crudele con lui, è la mente di un bambino, che veramente bambino non è mai stato.
Costretto a crescere troppo in fretta, costruendosi addosso una pelle colma di smagliature. Non ha la spontaneità di Hassan, che bambino lo è troppo. Di chi riesce a mantenere una visione del mondo pura, anche se sommerso dalle macchie. L’amore, quello vero è l’amore che un bambino prova verso il mondo, perché amore non è dare per avere. Amore significa volere il bene dell’altro più del proprio.
Amir, a differenza di Hassan, è un adolescente che al mondo chiede, vuole prendere i suoi sogni, strapparli al futuro se necessario. È intelligente, ma la sua intelligenza è anche un freno, pensa, conosce fin troppo bene il significato delle sue azioni. È disposto a sacrificare Hassan per il suo futuro, per l’affetto di Baba. Un padre assente, impermeabile a ogni richiesta d’affetto del figlio. Un figlio diverso da lui: se lui è un leone, forte: un vero capo, Amir è la sua preda, che assiste passivamente al futuro. Amir ha valori che Baba non considera neanche tali inizialmente.
La mia frase preferita è: «Esiste un modo per tornare a essere buoni», chiave dell’intero romanzo.
Un messaggio di speranza ma allo stesso tempo di condanna, che aleggia sulla storia dall’inizio del libro, come un oscuro presagio.
Io mi rispecchio in Amir, è più difficile essere puri, la fragilità mi terrorizza, eppure vive in me. Per quanto cerchi di evitarla resta sempre ancorata, rintanata nei miei difetti, un riparo sicuro, perché i difetti sono i più difficili da estirpare. Spesso i difetti prendono il sopravvento, ci bloccano, come le paure di Amir. Se degenerano i difetti diventano catene, ci tolgono la possibilità di cambiare, di diventare migliori. Quando i difetti ti attanagliano, neanche il vento può portarti via, se non arriva qualcuno ad aiutarti, a proteggerti dalle paure, ad alleviare il dolore del rimorso.
Il ritorno di Amir in Pakistan, la telefonata di Rahim Khan sono state le mani amiche che lo hanno aiutato a tornare cacciatore di aquiloni, a riprendere il volo. Forse è vero, il passato non si può dimenticare, ma possiamo rimediare agli errori compiuti in passato. La via di fuga di Amir è diventare nuovamente bambino, ed esserlo, per la prima volta nella sua totalità.
Come possiamo arrampicarci verso il futuro senza una base da cui partire. Nella nostra vita di funamboli, continuamente in bilico verso l’abisso è difficile essere completi.
Le maschere che indossiamo, diverse in base alla circostanza, sono l’unica cosa che ci permette di rimanere uniti. La verità è che senza le maschere andiamo in pezzi. Nonostante tutte le crepe e le smagliature si trova sempre il modo di tornare a essere cacciatore di aquiloni.


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Ultimo aggiornamento: 16 gennaio 2010