Ti lascio un tesoro
Non mi capacito di quanto il tempo passi in fretta: Sofia ha già dieci anni e come ogni sera mi dirigo nella sua stanza per leggerle una storia. Lei, proprio come sua mamma da piccola, non si addormenta mai senza la favola della buonanotte. La trovo che mi aspetta rintanata sotto le coperte col suo libro preferito stretto tra le braccia: quello di Bambi, le cui pagine, ormai logorate dal tempo, restavano le preferite. Stasera però non glielo avrei letto, avevo scritto per lei un’altra storia.
Sdraiatomi sul letto, dopo averla fatta accucciare tra le mie braccia, inizio a leggere…
C’era una volta una ragazza di nome Allegra. Quando era piccola tale nome suonò per lei come uno scherzo del destino, poiché i genitori non le permisero di essere una bimba spensierata e felice. Da bambini tutti, compresi gli educatori, credevano che lei fosse muta perché non parlava mai con nessuno, se non con me. Io dei miei genitori non ho mai saputo niente. Mia madre già alla nascita mi abbandonò, lasciandomi in ospedale per la mancanza delle possibilità economiche necessarie a prendersi cura di un bambino. Allegra, invece, nacque in una famiglia violenta. Ogni volta che osava disturbare i suoi genitori riceveva urla e percosse, tutto ai loro occhi era solo un inutile capriccio. Crebbe così con il timore di emettere qualsiasi tipo di suono finché un giorno, quasi per sbaglio, gli assistenti sociali si accorsero dell’insostenibile situazione di cui la piccola era vittima.
La portarono nel mio stesso orfanotrofio che, a causa degli scarsi fondi, poteva provvedere a noi solo per l’indispensabile. Ricordo che le si poteva leggere la paura negli occhi e anche se avevo solo tre anni più di lei, mi sentivo in dovere di proteggerla e mostrarle come divertirsi.
In tutta la casa vi era una sola televisione che veniva contesa tra tutti i ragazzi ma ad Allegra tutto questo non piaceva e così, per passare il tempo, prendevo un quaderno bianco e facevo finta di leggerle delle storie. Mi faceva stare meglio vederla sognare e vivere delle fiabe che inventavo io stesso per lei, dava anche a me un po’ di speranza e ci allontanavamo per qualche minuto dalla nostra realtà.
Un giorno trovai davanti all’entrata di un supermercato dei soldi e li usai per comprarle un libro. Quando glielo diedi le si illuminarono gli occhi e da quel momento volle che lo leggessi per lei ogni giorno, ascoltandomi sempre come se fosse la prima volta. Ovunque lei andasse conduceva con sé quel piccolo ma inestimabile tesoro.
Dopo un paio di anni arrivò una famiglia che decise di adottarla. A seguito delle infinite pratiche del caso, i due nuovi genitori riuscirono a ottenere l’adozione di Allegra che un giorno, tra mille sorrisi e auguri, lasciò l’orfanotrofio. Ricordo quel momento come il più triste della mia infanzia.
Ci separarono e per dieci anni non è passato giorno in cui non mi sia chiesto dove fosse o come stesse, se si trovasse bene e se fosse al sicuro. Dopo qualche mese anche io sono stato dato in affidamento a una donna fantastica. Nonostante le sue difficoltà economiche, mi amava come un figlio e questo a me bastava.
Crescendo imparai a comportarmi in modo che le persone non si aspettassero niente da me per evitare di deluderle e io non mi aspettavo nulla da me stesso per evitare la delusione del fallimento, non avevo desideri per il futuro e quindi niente in cui impegnarmi.
Per arrotondare e aiutare a casa lavoravo in una biblioteca nonostante non mi piacesse leggere, ma stare in mezzo a scaffali pieni di libri con storie inventate o reali mi faceva sentire, in un certo qual modo, a casa.
Pensavo «se un giorno avrò la grande fortuna di avere una famiglia, la mia casa deve avere l’odore della carta e del legno che sento in biblioteca». E così è stato. Grazie a lei.
La prima volta che la rividi fu a scuola, voci di corridoio dicevano che sarebbe arrivata una nuova studentessa ma poco mi importava, io ero fedele alla mia ragazza Beatrice. Stavo andando all’unica lezione che mi interessasse e non perché filosofia fosse una bella materia, ma perché il prof. Milton era l’unico che aveva apprezzato il graffito che avevo fatto qualche mese prima sul cancello della scuola. Entrai con calma nonostante fossi in ritardo e mi diressi verso il mio solito posto in fondo alla classe. Mi accorsi solo più tardi che era già occupato da una ragazza che sembrava si stesse nascondendo dietro i suoi boccoli castani, a me tutto ciò sembrava già noto. Mi sedetti accanto a lei che si voltò per guardarmi. Non potevo crederci… Allegra!
Fu così pazzesco che ricordo ancora quelle poche parole che le dissi:
«Allegra? Sei tu?» aveva gli occhi sgranati ma non diceva nulla, era proprio lei.
«Non mi riconosci?»
«Sì».
Sì. Sì. Sì. La risposta mi risuonava nella testa. Dopo aver tentato di rivederla in ogni modo, credevo che ormai non l’avrei più incontrata.
La sua risposta fu flebile e sussurrata, non mi guardò più per tutta la lezione e al suono della campana scappò via. Non potei fare altro che rincorrerla fino al parcheggio e avvicinarmi, non avrei sopportato vederla sparire ancora dalla mia vita.
«Allegra, scappi da me? Perché te ne vai?» adesso potevo vederla.
Da piccola aveva i capelli quasi biondi invece ora erano diventati castani e mossi, risaltavano i grandi occhi verdi. Era minuta, ma con delle curve perfette. Sapevo che sarebbe diventata bellissima! Anche lei mi stava guardando e senza pensarci la strinsi a me. Tutto ciò mi sembrava un sogno, non potevo crederci.
«Non sai quanto mi sei mancata… Ho chiesto di te per giorni da quando ti hanno portata via, mi dicevano che ora avevi una nuova casa e non potevamo più stare insieme. Mi dispiace tanto, ti prego, scusami…».
Mi rispose con una convinzione che quando era piccola non aveva e mi lasciò sorpreso, parlava anche un po’ più velocemente.
«Christian devi calmarti… lo so. Dissero anche a me la stessa cosa. Tu non… non sei responsabile. È una storia passata. Scusa se sono scappata dopo la lezione, non potevo crederci. Tu… mi sei mancato».
Avevo bisogno di sentire queste parole, la strinsi così forte da sollevarla e non avrei voluto più lasciarla.
Da quel giorno quasi tutto nella mia vita cambiò e in meglio.
Iniziai a conoscere una nuova Allegra e mi raccontò tutto quello che aveva vissuto. Dopo essere stata adottata da quella deliziosa famiglia, andò da uno psicologo e seguì delle lezioni private a casa, perché non si sentiva pronta a relazionarsi con estranei. Quell’anno scelse lei stessa di provare a uscire dal guscio e andare a scuola come tutti. Parlare era ancora un problema e mi disse, però, di essere riuscita a fare amicizia con una ragazza. Lei era diversa dalla bambina che ricordavo: non correva più a nascondersi nell’armadio, ora aveva voglia di farsi sentire e si impegnava con tutta se stessa nel farlo. Aveva piani per il suo futuro e intendeva realizzarli tutti.
Dopo tanto tempo Allegra fu l’unica che mi fece sentire a mio agio, mi incoraggiava a raggiungere nuovi obbiettivi e stare assieme era naturale.
Dopo qualche mese mi sembrò giusto lasciare Beatrice, al centro dei miei pensieri c’era dell’altro. Leggere era qualcosa che mi annoiava ma Allegra adorava farlo, diceva sempre «leggere è come una medicina che ti fa affrontare momenti bui in cui tutto ti sembra uno schifo, puoi estraniarti dalla realtà attraverso le pagine di libri e essere catturata, viaggiare e volare per poi tornare alla realtà con un nuovo bagaglio e pronta per affrontare la vita con più coraggio».
Tutto questo può sembrare una banalità ed effettivamente lo pensavo anche io, lei mi fece ricredere. Passammo ore e giorni insieme mentre lei leggeva e io la ascoltavo, adoravo sentire la sua voce perché suonava preziosa e ogni parola detta era un traguardo. Mentre leggeva sembrava un’altra persona: parlava senza interrompersi, non balbettava e sembrava facesse parte lei stessa del libro come se ripetesse la sua biografia, per ogni racconto una Allegra diversa e nuova.
Al corso di comunicazione spesso il professore ci assegnava temi in cui raccontare nostre esperienze personali e chiedeva di leggerli alla classe. Si poteva percepire il disagio di Allegra che, se già non riusciva a parlare in pubblico di cose normali, figuriamoci leggere un tema personale! Ogni volta, attanagliata dal panico, svolgeva il compito fuori dall’aula sola col professore. Un giorno l’insegnante assegnò alla classe un tema libero dove dovevamo parlare di una persona per noi importante, Allegra decise di impegnarsi a portare a termine questo tema e leggerlo davanti a tutti. Tutte queste ore che passavamo assieme mentre lei leggeva, dovevano servirle per allenarsi a parlare fluentemente e ad alta voce. Leggere, ancora una volta, fu la sua cura e raggiunse il suo obiettivo.
Nel tema raccontò parte della sua storia descrivendo varie persone e focalizzandosi su una in particolare, ricordo ancora che nessuno sapeva di chi stesse parlando, solo io capivo che si trattava di me. Quel giorno fu magnifica. Riuscì a farmi capire che nella vita bisogna sperare in grande e aspettarsi il massimo da se stessi, non avere paura di sbagliare perché anche dagli errori si può imparare.
Da quel momento cambiammo entrambi: lei ricevette maggior sicurezza in sé e io capii che nessuno è perduto e anche dalle cattive esperienze si può ricavare qualcosa di bello, il passato non può essere cambiato ma può spingerci verso un futuro sempre migliore. Coinvolto da lei e dalla sua passione, anche io cominciai ad amare sempre più la letteratura e decisi di andare all’università.
Dopo aver ottenuto il diploma ci trasferimmo, seguimmo corsi, conseguimmo la laurea e al termine degli studi le chiesi di sposarmi.
Vivemmo anni fantastici nonostante i problemi che si opponevano alla nostra strada e dopo quattro anni lei rimase incinta.
La felicità della notizia non durò a lungo poiché diagnosticarono ad Allegra un tumore maligno. Lei scelse con determinazione e coraggio di proseguire la gravidanza.
Ripensavo spesso al suo tema dove scrisse «Le persone importanti della mia vita le ho classificate come costanti ovvero un valore fisso sempre presente. Non ho avuto un’infanzia felice perché non ho mai avuto dei genitori che mi accudissero e amassero. L’unica luce in tutto questo fu, ed è ancora, la constante più importante della mia vita, l’unico che sapeva ascoltare le mie parole e il mio silenzio. Mi ha salvato dall’inferno.» e il pensiero di non averla più come costante della mia vita mi sembrava una tortura.
Nonostante l’angoscia, iniziai a sorreggerla in questa decisione.
Arrivò il giorno della nascita e Allegra fece appena in tempo ad abbracciare nostra figlia prima di spegnersi.
In tutta la mia vita non sentii mai un vuoto così grande e compresi la sua scelta solo quando vidi nostra figlia e la tenni in braccio, non provai mai un’emozione più forte di quella: lei era il frutto della nostra vita che nonostante le difficoltà è andata avanti generando una bellissima creatura, Allegra l’aveva riconosciuto prima di me.
Finalmente capii che non bisogna essere essenzialmente una persona eccellente o famosa per lasciare qualcosa di buono, basta la semplicità e l’essere noi stessi e questo è il miglior regalo che possiamo fare. Allegra scelse di lasciarmi il suo amore per la lettura e mi chiese di trasmetterlo anche a nostra figlia. Mi donò questa magnifica bimba e l’occasione di mettermi in gioco impegnandomi davvero anche rischiando di sbagliare. Allegra trasformò qualcosa che può sembrare tremendo in qualcosa di speciale ancora una volta.
Oggi la bambina è vispa e allegra, ha gli occhi verdi ed espressivi ed è la miglior cosa che io abbia mai fatto.
Guardo mia figlia con le lacrime agli occhi.
«È una storia bellissima. Qual era il libro preferito di quella bambina?»
«Bambi».
Resta un attimo in silenzio, lei sa che il libro che tiene ancora tra le braccia è un prezioso ricordo che le ha lasciato la mamma. Sofia mi abbraccia forte e io le bacio dolcemente la fronte mentre penso a ciò che Allegra mi disse un giorno: «Sarai di certo un padre eccezionale. Quella costante che entrambi non abbiamo mai avuto».
Lo sarò.
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