Lei
Driiin!
La dolce melodia della sveglia, più acuta del solito, scioglie i sogni dai miei capelli facendomi tornare alla realtà; sono le 06:30 del 15 marzo 2030.
Impiego qualche minuto a connettere la mente. Allungo il braccio verso il comodino afferrando il bracciale a cui sono tanto legata, con sopra inciso Lively, un nomignolo che mi accompagna fin da piccola.
Mi alzo, mi dirigo in cucina dove ad aspettarmi trovo mia madre e una tazza di caffè: «Buongiorno Greta!», ricambio il suo saluto con un rapido bacio e bevo il mio caffè; avverto una nota amarognola in quel che era sempre stato un caffè troppo zuccherato per i miei gusti, ma non gli do troppa importanza. Volgo lo sguardo verso la finestra e mi accorgo che il cielo non promette nulla di piacevole. Mi vesto, mi lavo i denti con discrezione mentre sento un gran frastuono nella mente; cerco di distogliere i pensieri e mi concentro su ciò che devo fare. Mi affretto a uscire di casa per raggiungere la fermata dell’autobus. Noto nell’aria uno strano sapore, il tempo è più cupo del solito, la città è avvolta da nuvole plumbee e si iniziano già a sentire fievoli gocce d’acqua. Ripercorro la solita strada ogni mattina, ma stavolta ha un non so che di nuovo; l’insegna del Green’s Bar è sempre illuminata per metà, gli alberi cresciuti tra l’asfalto e il marciapiede sono sempre al loro posto e la mia vicina, la signora Rensi, annaffia le piante puntuale come ogni mattina, nonostante stia per piovere; è tutto uguale agli altri giorni eppure sento qualcosa di diverso, qualcosa di impercettibile; l’atmosfera è monotona, noiosa.
È una mattina come tutte le altre eppure sembra diversa da tutte le altre.
Arrivo alla fermata in orario e l’autobus pochi secondi dopo di me. Salgo e mi siedo al solito posto sperando che lei ci sia anche oggi. Passano i minuti, le fermate, e il posto di fianco al mio continua a essere vuoto. Quando ormai le mie speranze sono perse la vedo entrare, si siede accanto a me. I lunghi capelli biondi le cadono sulle spalle, i suoi occhi color pioggia brillano incrociando il riflesso della luce.
La solita routine fila liscia, come tutte le mattine, eppure continuo ad avvertire qualcosa di insolito.
Paiono passati pochi secondi quando lei si alza diretta a raggiungere le porte d’uscita; la guardo ammirata, sembra diventare sempre più bella a ogni suo respiro. Ha un modo di fare così semplice tale da scatenare furore nella mia anima.
La sua bellezza mi colpisce profondamente, come se una freccia lanciata nel vento colpisse una nuvola.
L’autobus si ferma e improvvisamente mi rendo conto di essermi incantata nel vuoto, lei non c’è più. Il mio occhio cade sul sedile accanto al mio e mi stupisco nell’accorgermi che la ragazza dal fascino magnetico ha dimenticato un diario; decido di prenderlo così da riconsegnarlo il giorno successivo.
Il tragitto verso la scuola pare angosciante. Arrivo in classe e mi siedo, anche in aula avverto una strana tensione. Il professore recita il solito appello.
«Viviani Greta».
«Presente», rispondo.
Le lezioni proseguono, l’atmosfera continua a essere aspra.
Esco da scuola, mi rendo conto di essere in ritardo e di aver perso l’autobus. Mi avvio a piedi, imbocco il viale che conduce a casa mia e continuo a pensare costantemente al diario che porto con me, che appartiene a colei che mi manda in estasi, pensieri ora macabri, ora sublimi, esattamente come l’andamento di questa turbolente giornata.
L’indomani rivivo la mattina come il replay di un vecchio videogioco, fino al mio arrivo sull’autobus. Passano i minuti, sento l’ansia divorarmi sempre di più, per la prima volta dopo mesi arrivo a fine corsa senza avere visto salire lei, la ragazza delle stelle. Ciò accade anche il giorno dopo e quello dopo ancora, una settimana senza alcuna traccia di lei.
Le mie speranze di poterle restituire il diario sono ormai infondate, mi abbandono alla certezza di non rivederla più. Non so per quale assurdo motivo, ma questo mio dispiacere viene subito rimpiazzato dalla curiosità di scoprire cosa nascondono quelle pagine.
Arrivo a casa, e impaziente, apro una pagina a caso.
Roma, 10 marzo 2030
Caro diario,
l’andamento di questa giornata non è stato dei migliori; il senso di inadeguatezza si è impossessato di me. Il mio caffè, solitamente dolce, si è rivelato essere amaro così come il resto della giornata.
Puntuale come sempre, esco di casa per recarmi a lavoro e noto una strana asprezza nell’aria.
Arrivo alla fermata dell’autobus impeccabilmente puntuale e dopo pochi attimi dalla mia salita la vedo, affascinante come ogni giorno.
La sua bellezza mi colpisce profondamente, come se una freccia lanciata nel vento colpisse una nuvola.
Resto pietrificata nel leggere queste parole, per quanto esse mi sembrano familiari, quasi fossero mie. Proseguo nella lettura, pervasa da un’irrefrenabile sete di curiosità spasmodica.
In breve tempo divoro gran parte del diario; noto uno strano particolare sulle pagine finali del diario, una specie di rigonfiamento. Arrivo in fondo e, sconcertata, in corrispondenza del giorno del mio compleanno trovo un bracciale, un bracciale identico a quello che indosso sul quale è inciso: Lively.
Ora è tutto chiaro, eppure così difficile da capire.
Lei.
»Torna all'elenco dei testi
»Torna all'elenco delle edizioni