Hair: the tribal-love rock musical
Eccomi a teatro...
È grande, con molte poltrone rosse e un palco al centro, il sipario ancora chiuso crea in me una sensazione di attesa e allo stesso tempo di inspiegata eccitazione. Non vedo l'ora che cominci lo spettacolo.
L'attesa si fa sentire nel pubblico, gira e cattura pian piano tutti, fino a quando il lungo sipario si apre e comincia la musica. I protagonisti, sulle note di Aquarius, ballano e saltano sul palco, presi da gioia, divertimento ed entusiasmo, sentimenti dai quali è impossibile non essere subito coinvolti. E il musical continua, scena dopo scena, con un crescendo di emozioni che non sono solo vissute dai protagonisti, ma da me e da tutti coloro che si trovano ad essere lì con me. Nessuna inibizione di carattere e morale teatrale: i protagonisti cantano, ballano, urlano, si scatenano e ti travolgono con loro, camminando tra noi, sulle poltroncine e tra i corridoi.
Questo è il musical Hair: rompe ogni regola teatrale, come i suoi protagonisti, gli hippy, ruppero nel '68 ogni regola sociale.
La storia del gruppo di giovani hippy, guidati dal carismatico leader Berger, è raccontata attraverso gli occhi degli stessi protagonisti travolti da un turbine generazionale, tra amore, droga, proteste e trasgressione. Non è solo la storia di un movimento che nel '68 sconvolse l'America, ma anche un incontro tra temi di attualità: la protesta contro la guerra, l'intolleranza, la disumanizzazione della società alla quale questi giovani trovano un'alternativa di felicità, amore comune e libertà, priva di qualsiasi vincolo di legge.
Tutto questo colpisce del musical, capace di divertire, emozionare e allo stesso tempo far riflettere. Non rimane un semplice spettacolo da vedere a teatro, ma diventa una barriera da rompere, una carica di energia da trasmettere al pubblico.
I protagonisti colpiscono per le loro capacità interpretative, portate a volte all'eccesso, tra canti corali e danze: realtà diverse, in molti casi disastrose, di ragazzi lasciati allo sbando che nel loro cuore coltivano ideali di pace e libertà. Le canzoni, le parole, i gesti, riflettono il modo di vivere degli hippy, senza inibizioni né regole, che i protagonisti mostrano sul palco. Alcuni di questi, grazie alle loro capacità interpretative, sembrano davvero trasmettere a noi le loro emozioni più profonde, così che la loro storia, la loro lotta e vita diventa anche la tua, almeno per quelle due ore.
Molto attuali e coinvolgenti sono i temi presentati, che comunemente filtrano un messaggio di pace e speranza contro le ingiustizie del loro e del nostro tempo.
Era il '68 e si lottava per l'uguaglianza, la pace, la libertà e il movimento hippy di sicuro aveva trovato una via, una possibilità per protestare contro le ingiustizie: abbandonare ogni formalismo quotidiano, ogni regola e legge di Stato per condurre una vita di divertimento, pace, amore comune accompagnati dall'oblio della droga. Portavano avanti ideali giusti, ma tutto ciò non servì a fermare quella guerra che diventò la prigione per molti giovani, la guerra in Vietnam.
Nel musical, Claude è un ragazzo combattuto tra l'abbandonare la famiglia e il suo gruppo di amici hippy per andare in guerra o restare e combattere per i suoi ideali; come lui ai tempi milioni di giovani dovettero scegliere. Alcuni andarono in guerra per ideale, giusto o ingiusto che fosse andavano perché ci credevano; ma molti altri, come Claude, perché dovevano rinunciare al loro pezzo di libertà e combattere per un ideale che non era il loro?
Non si tratta di una questione del '68, perché anche oggi questo problema si ripropone in milioni di giovani, in centinaia di paesi, ogni giorno: la guerra c'è in Iraq, in Palestina, in Kenya, in Tibet e in tanti altri posti.
L'attualità di questo tema è un passaggio importante nel musical, anzi punta proprio a far riflettere sul presente attraverso gli occhi di giovani passati. I valori della patria non sono cambiati, la guerra non è cambiata, forse si è fatta solo più organizzata e per questo spietata: gli interessi sono alti e per questo vale la pena di combattere.
La scelta di Claude di andare in Vietnam per non eludere la legge ed i valori del suo Paese andava contro la scelta dei suoi compagni hippy, che preferirono diventare disertori di guerra piuttosto che recarcisi; ma Claude scelse di andare come oggi tanti giovani americani decidono di andare in Iraq. Lo stato dà loro false promesse e speranze facendo credere che il loro operato in quelle zone terrà alto il valore della patria, che porteranno la pace e che la riconoscenza nei loro confronti li appagherà nella vita...Intanto in Vietnam allora, così come in Iraq oggi, si scopre l'altra faccia della medaglia, dove milioni di innocenti e soldati muoiono a causa di una guerra che non va a portare la pace, ma solo morte e distruzione a un popolo che all'America non aveva neanche chiesto aiuto.
Così un valore nobile come la pace diventa un falso pretesto per coltivare interessi che scorrono sotto terra e fanno scorrere fiumi di sangue in superficie. Il mondo non può vivere con questi falsi ideali, non può far credere a generazioni che il potere, la violenza e la guerra siano i mezzi migliori per risolvere i problemi.
Meglio radunarsi, abbandonare ogni legge e vivere il proprio pezzo di libertà, piuttosto che combattere per ideali ingiusti. La guerra ha mezzi forti per persuadere e per distruggere, ma valori fragili da sostenere.
E il messaggio di Hair è proprio questo: nessuno preferisce la violenza all'amore, nessuno la guerra alla pace, nessuno la prigionia alla libertà eppure la forza della guerra non è ancora sconfitta. Nessun uomo dovrebbe permettere che se ne uccidano altri mille per ideali patriottici, perché tali ideali non andrebbero condivisi, ma sconfitti.
Il terrorismo ne è un altro esempio: farsi esplodere in mezzo ad una piazza, in una metropolitana, in un palazzo o albergo uccidendo centinaia di persone per difendere un ideale religioso. Questa non è religione. Eppure nascono organizzazioni segrete, gruppi terroristici e quasi ogni giorno alla Tv passano notizie di giovani kamikaze che si sono immolati per la difesa della patria e della religione musulmana.
Perché serve la violenza, perché azioni così drastiche, perché serve sacrificare la vita di un giovane e di altri mille per difendere falsi valori?
La guerra ha sempre mezzi potenti ed è in grado di spingere a creare modi di difesa quasi peggiori di quelli da essa usati: se il popolo irakeno non fosse esausto e impotente di fronte alla guerra che li assedia non ricorrerebbe ad immolarsi in nome della religione, perché la jihad non predica di combattere a tutti i costi contro gli infedeli, ma di difendere il popolo musulmano.
In Africa migliaia di bambini si trovano a imbracciare fucili ancora prima di essere capaci a sopportarne il peso, ancor prima di conoscere i motivi e gli ideali per i quali sono costretti a combattere; si chiamano bambini-soldato e il loro destino non se lo sono scelti. Spesso vengono venduti agli eserciti dalle famiglie che, spinte dalla fame, vendono i propri figli, altre volte rapiti e sottratti con la forza dagli stessi soldati.
Ma perché tutto questo? Perché non lasciare che questi bambini crescano e decidano da soli in che cosa credere?
Meglio allora radunarsi e lottare per l'amore e la libertà, per ideali giusti.
Ecco perché il musical colpisce e va dritto al cuore, perché non è solo uno spettacolo, ma un grido di libertà per noi giovani affinché ci impegniamo a costruire un mondo migliore, dove non sia presente l'individualismo, ma la ricerca di un bene comune.
Esco dal teatro e so che ora posso vedere le cose con un'altra prospettiva.
»Torna all'elenco dei testi
»Torna all'elenco delle edizioni