Un’esperienza di lettura
Mi immergo nell’acqua. Sento le orecchie tapparsi e compenso. Piccole bolle d’aria scivolano lontane dalla mia bocca per fluttuare in superficie. L’acqua mi lambisce, sono completamente avvolta dal suo vivo abbraccio, che mi invita a immergermi ancora più a fondo. Mi spingo più in basso, nel blu più profondo e mi lascio cullare un istante. Mi manca l’aria, devo tornare in superficie.
Muovo le braccia e lascio volare il mio corpo che leggero si fa trasportare dalle correnti.
Vorrei restare, ma il mio respiro freme.
Vedo la luce del sole filtrare dall’alto, un’altra bracciata. E respiro.
Capita ogni volta. Ogni volta che leggo.
Il mio corpo scivola lontano, in un’altra dimensione. Quando leggo mi immergo in una vita nuova, in un nuovo mondo tutto da scoprire. Il mondo in cui rifugiarmi per sfuggire da una vita che sento non appartenermi.
Molte volte ho sognato di entrare in un libro e di vivere le avventure dei personaggi che ne fanno parte.
È sera tardi e non riesco a prendere sonno.
Apro il mio libro, ne odoro le pagine nuove. Tolgo la copertina e mi sdraio sul divanetto di fronte alla finestra.
Pagina dopo pagina, non riesco più a fermarmi.
Sento di conoscere i personaggi da sempre, in questo libro in particolare, più degli altri.
Mi immedesimo in Gemma, studentessa 24 enne che va a vivere a Sarajevo per 1 anno; è lì per rubare qualche spezzone della vita sarajevese e fotografarla per sempre in un nuovo articolo.
Ho freddo quando leggo della neve, del vento e della pioggia che le cadono addosso e vedo la sua pelle rabbrividire quando Diego la sfiora per la prima volta. Sento anche la mia pelle rabbrividire.
Amo come ama lei, non amando la stessa persona ovviamente. Non so nemmeno se esiste davvero Gemma, o una come lei ma con un altro nome. Non so nemmeno se è una storia vera o solo una storia. Ma so che quando Gemma guarda il suo Diego, come non ha mai guardato nessun altro, come se il suo cuore, la sua anima, il suo corpo le sfuggissero perché non le appartengono più ormai, appartengono al suo Diego. Io guardo lui, amo lui.
Mi emoziono e piango con lei quando nessuno la capisce tranne me, che leggo ogni suo pensiero, più intimo e nascosto. Nessuno la conosce come la conosco io, perché lei sono io.
Sorrido da sola in treno, quando leggo che Gemma e Diego si sposeranno. La gente forse, guardandomi, avrà pensato che sono pazza.
Piango, di un pianto silenzioso, quando Gemma scopre di essere rimasta incinta di un ovulo cieco. Afferro il cuscino, mi tappo la bocca con una mano premendo forte. Voglio urlare, voglio piangere, voglio arrabbiarmi. Mi porto le ginocchia al ventre e le stingo forte con le braccia. Dondolo e singhiozzo nel letto. Fuori è primavera e tutto rinasce e riaffiora. Dentro di me c’è solo il vuoto più profondo, nero come la pece che vaga nella mia malata mente.
Diego è morto. Colpito da un cecchino durante la guerra a Sarajevo. Scattava una foto a Gemma, in quel momento. Un ultimo scatto, poi…
Buio.
Sapevo già che lui sarebbe morto, già dalle prime pagine l’autore ha voluto farlo notare.
Forse è proprio per questo che fa male.
La consapevolezza che tutto ha una fine, e soprattutto, che finirà per certo.
Come quando finisce un libro. Non li butto mai via i miei libri, non li regalo, non li porto in biblioteca, non li dono nemmeno. Non posso.
È come se una parte di me non li leggesse e basta, ma scivolasse via dal mio corpo per rimanere lì: in quel sorriso, in quell’abbraccio, in quel momento. Incastrata per sempre nelle parole immobili di un libro che non cambierà mai. In quelle pagine di carta riciclata che odorano di avventura, dove l’inchiostro è immutabile ma l’aria cambia quando sei tu e solo tu a respirarla.
Solo un’altra bracciata. Respiro.
C’è un nuovo libro da leggere.
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