Premio letterario SofiaPremio letterario SofiaPremio letterario Sofia
20ª edizione - (2017)

Un racconto lacaniano
di Carlo Navalesi
Primo premio

«Ring ring it’s seven a.m., move yourself».
La sveglia suonò alle 7 e 08 con un motivetto funky; lo snooze gli avrebbe concesso altri 5 minuti di sonno.
Uno psicanalista francese voleva litigare con lui: lo insultava, gli sputava addosso. Arrivò Carmelo Bene che urlava ubriaco: «Dillo a Lacan, dillo ai lacaniani, dillo all’intelligenza».
Non capiva. Iniziavano a colpirlo; gli stavano facendo male. «Infami, siete due contro uno». Ma quelli continuavano.
Steso a terra, col volto insanguinato, faticava a respirare e non riusciva ad aprire l’occhio destro. Allora l’attore gli leccò un orecchio e sussurrò: «Il vero trauma è il linguaggio, mio caro». Poi una suola di scarpa gli oscurava la visuale. Tutto nero.
Aprì gli occhi. L’orologio diceva 8.15, merda, la scuola aveva chiuso i cancelli cinque minuti prima.
Entrò in classe alle 8 e 20 e, contando che in bici da casa sua erano dieci minuti, il Sottosegretario quella volta doveva averlo aiutato.
– Longoni! sei in ritardo.
– Ho sognato Lacan e Carmelo Bene che mi picchiavano.
– Prego?
– Niente.
– Cosa vuol dire niente Longoni ti sembra il modo di rispondere?
– Vado a sedermi.
– Dove stai andando?
– A sedermi.
– Sei in ritardo ed è già il terzo della settimana.
– Ma oggi è martedì.
– Che giorno è oggi non mi interessa, esci interrogato.
Italiano gli piaceva, solo lui non piaceva alla proff. di italiano… Bizzarra l’autorità!
– Parlami di Machiavelli.
– Beh, Machiavelli è sicuramente uno dei maggiori poeti della storia italiana. Nasce a Bosisio, in Brianza e si trasferisce a Mi… o forse quello era Parini?
– Longoni, mi stai prendendo in giro?
– Scusi, ho un piccolo vuoto di memoria; posso consultare un attimo il manuale?
– Vai a posto! 4 e mezzo.
Poteva andare peggio, 4 e mezzo è quasi 5 che è quasi 5 e mezzo, che è uguale a 6… con un po’ di fantasia la sufficienza l’ho presa.
Era tutta colpa di Maurizio Costanzo: la sera prima aveva fatto tardi per vedere una vecchia puntata del suo show in cui il pubblico dialogava con Carmelo Bene; in realtà era più che altro un monologo in cui l’attore pugliese diceva cose sconnesse a giornalisti irascibili. Nonostante ciò, dal muro l’orologio rotto lo fissava sprezzante. Lo diceva anche Sartre che le tre di pomeriggio sono troppo presto o troppo tardi per fare qualsiasi cosa. Nella sua classe erano sempre le tre di pomeriggio: si appisolò.
Passano le ore, tutte uguali…
Diciotto anni e mezzo di vita trascorsi confusamente. Un terno al lotto, in cui non si vinceva mai e comunque ci guadagnava lo Stato, con tutto il tabacco che fumava.
«Proff. vado in bagno».
«Vai dove ti pare».
La sua proff. di matematica era una simpatica vecchietta con la barba e i denti marci. Aveva un profumo caratteristico, di deodorante al catrame. Fumava sigarette lunghe e bianche: probabilmente nei momenti di lussuria si mangiava i filtri, golosa. Di buono c’era che le sue lezioni erano a frequenza libera, quindi si poteva anche non stare in aula.
Il corridoio si estendeva per una decina di chilometri sulla coordinata X e pure sulla coordinata Y, approssimativamente. Nel suo liceo lo spazio-tempo era un concetto del tutto arbitrario. Ma chi è che arbitrava? Più volte aveva pensato al Sottosegretario, il potentissimo Sottosegretario allo spazio-tempo, che di sicuro tramava contro di lui.
All’angolo lo aspettava una bidella: Teresa, in posa da cowboy, con gli speroni degli stivali poggiati alla parete. Semi-analfabeta, strabica, con i capelli neri tinti e due belle dita di ricrescita. Parlava un dialetto incomprensibile, a metà tra il salernitano e il latino antico, ma antichissimo, quasi aramaico, quasi una lingua che magari anche esiste, ma non si capisce. Vedendolo arrivare, con l’occhio buono lo guardò storto: un allineamento planetario per nulla scontato.
– C’agg’ fai qui, Francè?
– Oè Terè, so’ venuto a pisciare fuori dal water e fumare una paglia, vuoi favorire?
– Statt’ buono uagliò, statt’ buono.
In realtà era andato lì per un motivo preciso. Spesso le lezioni di matematica le passava al cesso. Al cesso? Si, a leggere: tirò fuori da sotto la maglietta Viaggio al termine della notte e si sedette: Celine, Gadda, Hemingway, Pavese. Quello era il suo mondo, lontano dalla monotonia aziendalistico-nozionistica delle ore in classe. Lì viveva veramente, libero di naufragare nelle parole, nelle immagini, nei pensieri, di immedesimarsi nei luoghi e nei personaggi. Alcuni lo facevano impazzire: il dottor Ciccio Ingravallo ad esempio, col suo parrucchino e la parlata del sud, gli ricordava Teresa, anzi, era Teresa, decisamente.
Poi c’era Vinicio Capossela che dialogava con Pavese: Anguilla e Guarramon, persi nella saudade, vittime innocenti del progresso: nostalgia, per qualcosa che non esisteva più, per una realtà mitica e magica, sconfitta dal materialismo storico e dal taylorismo-fordismo.
E Tabucchi… Ah Tabucchi! Il primo libro soprattutto: un succedersi di eventi improbabili e uomini inquieti di nome Garibaldo; un’Odissea pisana, un viaggio nel mondo sottoproletario, nella resistenza, su un mappamondo grande dalla Toscana settentrionale all’Argentina. E il prete socialista-ingegnere che progettò la macchina idraulica dell’uguaglianza? E i quattro neonati di nome Imberto, figli di un errore del telegrafista? E la luna collaborazionista?
Bardamù era invece la violenza, il cinismo subito e rigettato al tempo stesso. Ironico, arrabbiato, era la cattiveria verso l’uomo meschino e moderno; la volontà di in-potenza: la sconfitta pari al venire corroso, avrebbe detto Mishima.
Cazzo –scusatemi – quelle erano cose interessanti, pace all’anima di Machiavelli e della trigonometria. La vita è da un’altra parte, non sui manuali: nei libri, nei parchi al sole, nei cani – quanto gli piacevano i cani! – nell’amare la propria ragazza, o, per le ragazze… insomma ci siamo capiti!
Aveva ormai scoperto le carte, poteva anche smetterla di parlare alla terza persona: il personaggio sono proprio io, F. L.
Questa è la mia sgangherata adolescenza, fatta di rabbia e stile, insofferenza e vena artistica.
Quindi, se mai doveste incontrare uno che sul cesso di un bar legge un libro con gli occhi spiritati, non giudicatemi, vi prego… È che sulla tazza mi concentro meglio!


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Ultimo aggiornamento: 16 gennaio 2010