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19ª edizione - (2016)

Epistulae de bello germanico

«Mogontiacum – 768 ab Urbe condita. Nomen meum Quintus Vipsianus Macro.»
Con queste parole iniziava lo straordinario rotolo di papiri trovato due giorni prima a nord di Mainz. Erano un diario dall’antica Roma, pensò subito Philip, l’archeologo che li aveva scoperti. Era la scoperta più sorprendente che si fosse mai fatta in quella zona: un diario proveniente dalle campagne di Germanico contro i Germani come si poteva dedurre dalla data. Philip avrebbe potuto finalmente conoscere il punto di vista di un soldato romano e non solo quello degli storici come Tacito. Affascinato dal ritrovamento corse nel suo studio. Presa carta penna e vocabolario, qualora servisse, iniziò a tradurre il testo, entrando nel mondo dei valorosi soldati delle legioni romane.

Epistula I
Sono il Tribuno anziano della V Legio Alaudae. Scrivo queste cose per raccontare di queste avventure ai miei cari a Roma nel caso non tornassi vivo, ma anche per cercare, come fece il Divo Cesare, di raccontare le mie imprese. Siamo tutti in ansia qui al forte a causa della nostra ardua missione: recuperare le Aquile perse sei anni fa da quell’incapace di Publio Quintilio Varo, l’ex governatore di questa landa desolata che noi chiamiamo Germania. Il nostro generale, Germanico, abile stratega ma a mio avviso troppo impulsivo, non ci dà sosta: preparare i viveri, caricare i carri, sistemare le armi e gli armamenti. Siamo già sfiniti prima di iniziare la marcia. Tra gli ausiliari che ci accompagnano, un’accozzaglia di barbari incapaci, sono già sorte delle risse perché non vogliono partire e considerano l’impresa folle. Stolti! Ma loro sono barbari non possono capire. L’Aquila, devi sapere Publio figlio caro, non è solo un pezzo d’oro è molto di più per noi soldati che serviamo l’impero: è Roma stessa! Dovunque andiamo, ogni vittoria, ogni impresa, lei è lì e ci guida. È necessario quindi che noi riusciamo a riconquistarle, sconfiggendo quei barbari guidati dal traditore di Arminio, capo dei Cherusci. E credimi Publio le riconquisteremo tutte e tre! Adesso devo andare, il Legato mi chiama, dovrò decidere i turni di notte.

Epistula II
Sono passati alcuni giorni dalla mia ultima lettera. Siamo partiti dall’accampamento all’alba. Un esercito immenso: quattro legioni e otto coorti ausiliarie. Il morale è finalmente alto anche se in fondo siamo tutti preoccupati per la missione. La Germania, dovete sapere, è una delle peggiori provincie dell’Impero, anche se mi hanno raccontato che non è niente in confronto alla Britannia. Numerose foreste e paludi coprono gran parte della terra. Ci sono grandi e ampi fiumi come il Reno. I raccolti sono abbastanza abbondanti. Gli inverni freddi e piovosi con fitte nebbie e abbondanti nevicate che bloccano i carri. I popoli, indipendentemente che siano nostri socii o meno, sono incivili, sporchi e bellicosi, con scarse conoscenze tecniche. Ci sono poche risorse ricavabili dalla terra a parte animali e schiavi, utili solo per i ludi gladiatori. Gli uomini sono energumeni robusti e muscolosi con folte barbe bionde o rosse. Sono abili guerrieri, molto coraggiosi ma privi, come tutti i barbari, di organizzazione. Le donne sono anch’esse forti e robuste e non hanno nulla a che fare con la tua raffinata bellezza, mia adorata Clodia! Clodia, amore mio, mi manchi non passa giorno che non pensi a te e vorrei che questa campagna fosse già finita per poter tornare da voi nella nostra casa presso Roma. Ma ora sto divagando, sarà meglio che vada a dormire, domani sarà una dura giornata.

Epistula III
Sono giorni che marciamo e a oggi da segnalare solo qualche sporadico scontro con i Germani. Sono ormai quasi due anni che prima Tiberio e ora Germanico cercano di attuare questa impresa senza successo: recuperare le tre gloriose Aquile. Solo scontri non decisivi e inutili massacri punitivi come quello contro i Marsi. Siamo anche arrivati al punto in cui tutto rischiava di essere mandato all’aria da quell’imbecille di Cecina, il luogotenente del Generale, che stava per essere sopraffatto da Arminio come Varo. Ma quando capiranno i nostri generali che nelle foreste siamo come un cinghiale in trappola e che lì possiamo essere abbattuti più facilmente? Fortunatamente sono arrivati i rinforzi dai Germani che sono contro i Chelusci, come il fratello dello stesso Arminio: Segeste, e ora i Cauci del nord. Speriamo che non ci tradiscano come in passato.

Epistula IV
Che Giove sia lodato! Che notizia! Finalmente una buona nuova che ci ha resi veramente felici. Oggi gli ausiliari mandati contro i Bructeri sono tornati vincitori e, cosa più importante, hanno recuperato l’Aquila della XIX Legione. Non riesco a trattenere la gioia. Non è stato tutto vano. I ragazzi sono al settimo cielo e dopo tanto tempo la loro tristezza e il malcontento dei giorni passati sembrano essere spariti e ora sono motivati e pronti a combattere.

Epistula V
Con il morale alto per la vittoria siamo andati avanti e siamo giunti nella Selva Teutoburgense. Un luogo più spaventoso non l’ho mai visto in tutta la mia vita. Ossa umane e di animali. Armature ovunque, teschi impalati e resti di corpi appesi agli alberi. Si vedevano ancora i luoghi e gli altari dove i Germani avevano sacrificato ai loro dei gli ufficiali e i centurioni catturati strappando loro il cuore. Mostri! Dicono dei Druidi Celti ma coloro che hanno fatto ciò non sono da considerarsi uomini ma animali. Vedendo questa tremenda scena il nostro Generale ci ha fatto fermare e seppellire tutti i ragazzi che erano morti e rimasti insepolti. Non finivamo più, erano tantissimi. A fine giornata, tornato stravolto nella mia tenda, mi sono messo a piangere come un neonato per il dolore. Dopo questa triste e macabra visione in tutti noi il dolore si è trasformato in desiderio di vendicare i caduti cercando con tutte le nostre forze di stanare Arminio e i suoi uomini. Volgo allora il pensiero a voi mie cari, mi mancate. Spero che Publio e la piccola Giulia non ti facciano disperare mia cara. A presto.

Epistula VI
Abbiamo ripreso la marcia desiderosi di vendicarci. Germanico ha mandato numerosi gruppi di esploratori a cavallo per cercare l’esercito nemico, che a quanto pare sembra essere nei paraggi. Foreste, foreste solo foreste. Alberi, sentieri erbosi difficili da percorrere sia per i nostri carri, con i sempre più scarsi viveri, che per gli uomini già gravati del peso delle loriche e della furca. Non è un caso che siamo stati soprannominati «muli», probabilmente da qualche ricco patrizio effemminato che passa il suo tempo a leggere i filosofi greci. Stai attento ai greci ti dico Publio! Sono gente strana e pericolosa che ha già corroso i nostri valori. Chissà cosa faranno in futuro?
Giunti in una landa piana e verdeggiante abbiamo iniziato a costruire il castra temporaneo per la notte, accompagnati da una leggera pioggerellina e da un vento gelido. Alla riunione serale il Generale ci ha informato che gli esploratori avevano scovato Arminio a poca distanza. Bene! Finalmente combatteremo e stermineremo tutti quei barbari incivili.

Epistula VII
È giunto il giorno! Arminio e i suoi sono scesi in campo per combattere. Marte, dio guerriero, proteggi me e i miei uomini e rendici vittoriosi. Siamo scesi in battaglia, noi della Quinta eravamo in prima linea. Il timido sole del mattino faceva brillare i nostri elmi piumati come le saette di Giove Ottimo Massimo. Caricano! Un’immensa fiumana di energumeni assetati di sangue ci è venuta incontro. Prontamente abbiamo lanciato i pila che con le loro punte di ferro hanno fatto sfacelo tra le file nemiche. Sfoderati i gladii è iniziato il corpo a corpo. Un unico muro di scudi rossi si muoveva perfettamente in sincronia. Respingi. Attacca. Avanza. Numerosi ne abbiamo uccisi ma molti ne abbiamo persi. A fine giornata, quando i Cherusci si sono ritirati, la terra era rossa e l’aria pregna dell’odore di sangue, morte e escrementi. Giunta la sera, abbiamo festeggiato anche se sapevamo che non era stata una vittoria per nessuno dei due schieramenti.

Epistula VIII
È ormai più di un mese che non scrivo e sono successe molte cose. Siamo tornati agli hibernia di Mogontiacum poiché è giunto l’inverno e abbiamo dovuto interrompere la nostra caccia ad Arminio. Qui Germanico ha premiato i soldati più valorosi. Tra questi c’era anche il sottoscritto: e per il mio coraggio in battaglia ho ricevuto due Armillae. Purtroppo non potrò partecipare alla prossima campagna poiché congedato a seguito di una ferita al braccio destro durante l’ultimo scontro con quei barbari mentre attraversavamo il Reno. Non ti allarmare mia adorata Clodia, il braccio è ancora integro solo che è inadatto a usare il gladio. Sarò da voi entro pochi giorni e poi grazie alla mia ricompensa potremo comprarci la tenuta che desideravi a Capua dove cresceremo insiemi i nostri figli. A presto tuo Quintus.

Un forte fascio di luce e l’odore del pane appena sfornato dalla panetteria sottostante ridestarono Philip. Si era addormentato pensò, arrabbiandosi con sé stesso per la sua negligenza. Riprese gli appunti e riguardò le otto pergamene di Quintus. C’era qualcosa di troppo familiare in loro ma non sapeva cosa. Come se avesse sempre conosciuto il loro contenuto, come se fosse stato lui l’artefice di quelle imprese.
Il potere della lettura, che ti porta in un’altra dimensione con dei semplici segni scritti, non importa che sia di duemila anni fa, ti cattura comunque.
Ancora stordito, Philip aprì la finestra e l’aria fredda del ventoso mattino lo colpì con tale forza da sembrare un nugolo di frecce. Proprio in quel momento gli sembrò di vedere un tribuno romano con un braccio ferito che abbracciava la sua famiglia… e sorrise.


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Ultimo aggiornamento: 16 gennaio 2010