23 dicembre 2015
Mancano due giorni a Natale, oggi è martedì e domani non si va a scuola, è chiusa per le vacanze. Stasera si festeggia, ma cosa fare? Milano ormai è mezza vuota, è fredda, piovosa, nessuno ha voglia di uscire, però nessuno rimarrà a casa. Cavolo, oggi è vacanza, tutti si vogliono divertire. Ieri la madre di Teo è andata a Genova, dalla famiglia. Tutti gli anni passano il Natale lì con i nonni e la zia. Quest’anno sarà un po’ strano però, manca il nonno. Teo è rimasto a Milano, raggiunge sua madre domani, stasera si vuole divertire e ha trovato la soluzione al freddo e alla pioggia: ha casa libera. Fa qualche chiamata e così la sera Teo si ritrova con sei amici. Sono cose che hanno già fatto a casa sua, qualche festicciola, così per rilassarsi un po’, per divertirsi. Tutti si vogliono divertire stasera. Quando arrivano gli amici, Teo ha già preparato tutto: chiuso le porte che non si devono aprire, comprato qualche bottiglia di birra e spostato il computer in sala per la musica. La serata va bene, si beve un po’, si fa girare qualche canna e ci si diverte, l’intento è questo e Teo ci riesce molto bene, come sempre.
È mezzanotte ormai, sono tutti euforici, un po’ per la birra un po’ per l’erba è un po’ perché, cavolo, è finalmente festa. Decidono di uscire a fare un giro per bere qualcos’altro. Sono scesi per strada e camminano in una Milano vuota, silenziosa, fredda. Presto l’aria si riscalderà, almeno in via Fatuo. I cinque ragazzi camminano ridendo, scherzando. Si spingono, cantando canzoni a caso, quelle che si possono cantare anche senza conoscerle. Sono fuori da più di mezz’ora; è incredibile come il tempo possa dilatarsi dentro alle nostre menti nonostante sia l’unica cosa sicura, certa di questo mondo, dell’universo: più c’è calore più quello accelera, più sei sotto una forza di gravità più va veloce. Lui scorre comunque, a patto di non essere a -273 gradi Kelvin. Il tempo è il vero e unico Dio delle nostre vite. I ragazzi sono fuori da più di mezz’ora e Teo riceve una chiamata. Un cellulare che squilla nel buio, il suono rompe il silenzio della notte e la compagnia quasi si spaventa. Il ragazzo non capisce chi possa chiamarlo a quell’ora. Tira fuori il cellulare dalla tasca, è sua madre. Si spaventa, se così si può dire. La madre, Elena, non sa che sono stati a casa sua a divertirsi, pensa che sia dal padre a dormire. Quindi Teo si agita e come ogni volta che viene beccato a fare qualcosa di sbagliato gli sale quel vuoto allo stomaco. Il ragazzo non capisce perché sta ricevendo quella chiamata, Elena è lontana e per di più è quasi l’una ormai. Inizialmente decide di non rispondere ma forse questo la farebbe arrabbiare solo di più. Perché sa che è arrabbiata, altrimenti non lo chiamerebbe in quella circostanza. Il ragazzo ha un cellulare Nokia di quelli vecchi, con i tasti, quindi preme il tastino in alto a sinistra con il simbolo del telefono verde. La chiamata inizia, si porta il cellulare all’orecchio e quello che sente non solo non gli piace, non se lo aspettava. Dall’altra parte del cellulare, a Genova, a più di trecento chilometri di distanza, una voce disperata grida, piange, si agita. Teo riconosce subito la voce di sua madre ma non così in fretta riesce a capire cosa sta succedendo. Poi la donna si tranquillizza: non è morto suo figlio, che però non ha ancora capito cosa succede e ora è lui che inizia a essere agitato. Poi capisce, le parole di sua madre, scandite, gli entrano in testa, con calma, una alla volta. Il concetto non è difficile da apprendere, sono tre parole, tre parole che non aveva mai sentito dire insieme.
Teo ora corre, non è lontano da casa e pensa che non possa essere vero, non può capitare a lui una cosa del genere. Sono cose che succedono nei film queste, o al massimo a quello che abita in fondo alla via. Nella sua vita non possono succedere, così pensa. Sono pensieri confusi, veloci, tristi. Teo ora corre e piange. Arriva all’inizio della sua via e vede subito le luci rosse e blu, la strada bloccata e tante persone che guardano verso l’alto. Piange molto, è disperato, non capisce. Arriva sotto casa sua e realizza tutto. In un lampo tutti i pensieri si organizzano precisi, limpidi nella sua testa: la casa in cui fino a mezz’ora prima viveva ora sta bruciando. È dalla parte opposta della strada, guarda verso l’alto e vede le fiamme che escono dalla veranda, sono grosse, alte, inesorabili.
Le parole di sua madre erano: «casa sta bruciando».
Un appartamento brucia, una vita intera. Una vita di oggetti, ricordi, pensieri, parole, idee, emozioni, sentimenti, brucia. Il tempo della creazione non è minimamente paragonabile al tempo della distruzione. Per creare ci possono volere anni, decenni. Per creare si accumulano idee su idee, ricordi su ricordi. E pensieri, quelli stessi che ci tornano in mente perché intrinsechi agli oggetti di tutti i giorni. Quel libro, ah che ricordo, quella foto, che emozione. Anni di vita ed esperienze, anni di tempo per creare quello che sei. Per quanto tu voglia distaccarti dai beni materiali esistono, anche quelli. E tu stesso sei fatto di quelli oggetti, che per quanto inutili, ti formano ti ricordano ti creano. Serve tempo per essere, ma basta un secondo per cessare di esserlo. Ti pieghi giorno dopo giorno, fatichi e lavori per creare la tua vita, le tue abitudini, le tue usanze. Ci puoi impiegare una vita intera ma poi ci sarà qualcosa che è troppo forte e che non puoi controllare. Qualcosa che in un lasso di tempo minimo distrugge, quello che hai creato, le tue usanze, le tue abitudini, la tua vita. E cosa di più azzeccato se non il fuoco, le fiamme, il calore. Quattro sono gli elementi che vanno a creare la Terra, tre di loro danno la vita, l’altro la distrugge. In tre per creare, uno solo per annientare. Cosa di più devastante di questo? La morte? No, è liberazione quella, assenza di dolore, pace. No, la morte non lascia nulla, il fuoco sì. Lascia disperazione, rabbia, dolore, odio. Sentimenti neri e rotti come ciò che ha avuto la sfortuna di incontrare le fiamme. Solo oggetti devastati, ricordi interrotti, pensieri persi, parole troppo fredde, idee dimenticate, emozioni e sentimenti ormai inutili. Questa è la distruzione, dieci minuti dura e dopo più nulla. Poi, bisogna solo ricominciare da capo.
In quel momento però Teo non pensa a ricominciare. Un mare di pensieri si agita nella sua testa. Nessuno può calmarlo, non lui. Prima pensa a cosa c’è lì di sopra, al quarto piano di quel palazzo, poi inizia a rendersi conto che non sa cosa farà, dove andrà, come si risolverà. Capisce di non sapere più nulla, tutto quello su cui poteva contare, ora non c’è più. Ora Teo è lì che guarda e non può agire. I pensieri adesso cambiano, peggiorano, come è successo? Cosa e chi a fatto partire l’incendio? Era lì fino a qualche minuto prima, in quel rogo viveva la sua vita fino a qualche minuto prima. Poi, mentre la vicina grida che al piano di sopra c’è il suo gatto che dorme, Teo si rende conto che è stato lui. Capisce che se non fosse stato lì con i suoi amici non sarebbe successo.
Teo è sulla strada, in mezzo alla gente, ai vicini, ai condomini, ai pompieri. Una ragazza del 118 gli chiede le chiavi di casa, non sono ancora riusciti ad aprire la porta mentre il fuoco avanza. Il rumore delle fiamme si sente fino a terra, per strada c’è una gran casino. Teo avrà fatto svegliare tutta la via ma lui ora è avvolto dal silenzio. Non sente niente e, come spesso fa per scappare dal presente, inizia a pensare. Teo pensa al tempo. Quello che ci impiegherà a sistemare tutto, quello che butterà via per un po’ di divertimento. Pensa a cosa sia il tempo. Capisce che esso è l’unico padrone delle nostre vite, ma che è stato inventato da noi e che quindi noi siamo i soli e unici padroni delle nostre vite, non c’entra niente Dio o chissà chi, siamo solo noi. Ogni cosa va avanti. Quello che è stato fatto non si può cambiare. La cosa importante è pensare al presente, viverlo, e passare al prossimo presente. Il futuro è incerto e senza pensare a esso la vita sarà più stabile. Teo ora ha capito diverse cose in un attimo e torna a vivere il presente, il rumore, le fiamme, l’acqua. Ora per sa cosa fare. Non è finito niente, lui si voleva divertire e tornerà a divertirsi. Basta solo ricominciare.
Pensarla così anche il giorno dopo però è più difficile. Dopo qualche ora di dormita a casa del padre Teo torna in via Fatuo. Sul pavimento di casa ci sono venti centimetri di cenere e acqua, ancora fumanti. La sua stanza, subito a sinistra, non c’è più, scoprirà che si sono cotte anche le pareti e vanno buttate giù. La sala è un ammasso di roba nera, sciolta, accatastata contro le pareti. Tante pagine di libri, tantissime, avevano molti libri in casa. Il bagno è completamente nero, c’era poco da bruciare e le fiamme non sono praticamente entrate ma è completamente rivestito da uno strato di fuliggine. L’acqua l’attacca alle pareti e non viene più via, né il nero né l’odore. Teo si siede su una sedia che miracolosamente è ancora in piedi. Chiude gli occhi, pensa che è tutto un sogno che è tutto finto come alla televisione, come in un film. Pensa di non poterci credere. Va alla finestra tenendo le palpebre chiuse, si affaccia. Apre gli occhi e nel mondo è tutto come prima, tutto storto e all’apparenza tutto uguale.
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