Un amore in due occhi
Il suono della sveglia mi trapanò le orecchie: era il primo giorno di università. Dopo essermi preparata, sono uscita ad aspettare l’autobus alla fermata e, salitaci, notai che non era pienissimo e che, anzi, si potevano distinguere bene i passeggeri. Adocchiai subito un ragazzo, o meglio, fui attratta come una calamita dai suoi occhi azzurrissimi, più del cielo, perché colpiti da un raggio di luce mattutina. Mentre ero immersa nei miei pensieri, mi accorsi che la prossima fermata era quella della scuola e, prima di scendere, mi fermai un momento a riguardare quei magnifici occhi, che probabilmente non avrei più rivisto.
Ero matto: non avevo chiuso occhio tutta la notte per l’ansia del primo giorno della nuova facoltà di economia. Dopo una lunga e inutile serie di tisane e camomille, era ora di un caffè per affrontare la giornata. Salii sull’autobus, come da tre anni a quella parte, ormai era diventata una noiosa routine. Ma non quella mattina. Due fermate dopo entrò una ragazza che non poteva passare inosservata: aveva dei lunghi e lucenti capelli bruni, ma gli occhi erano qualcosa di mai visto, erano di un castano scuro tendente al nero, all’oblio, a qualcosa di misterioso che mi sarebbe piaciuto svelare, ma che probabilmente non avrei più rivisto.
Erano due settimane che scrutavo quel ragazzo, presumibilmente era anche per lui un tragitto quotidiano.
Erano due settimane che osservavo quella ragazza e in qualche modo dovevo avvicinarmi: quel giorno presi posto davanti a lei. Non volevo parlarci, non ora, volevo fissarla dritta negli occhi.
Quel giorno il ragazzo smise di stare in piedi come al solito e si sedette davanti a me. Pensavo fosse un’azione casuale, invece lo fece anche la giornata successiva e quella dopo ancora. Mentre ascoltavo la musica, cercai di vedere di sfuggita cosa stesse facendo e notai che la maggior parte delle volte mi guardava intensamente, in modo molto indiscreto, come se stesse cercando qualcosa dentro i miei occhi.
Passavano i giorni e mi perdevo in quell’oscurità. Ma quelle tenebre erano vivaci, erano piene di energia, così illuminate dalla sua allegria: per questo lei era particolare.
Il tempo sfilava veloce e affogavo in quelle acque. Ma era un mare tempestoso, non era un placido lago. I suoi occhi così chiari erano così bui, così spenti, diventavano anonimi.
Sentivo che eravamo troppo diversi senza neanche conoscerci, era meglio lasciar perdere per evitare ulteriori sofferenze. Aspetta, calmo, ragiona. Cosa ti costa provare? Cosa ci perdi? Preferiresti avere rimpianti? No. Tutto tranne quello. Avevo deciso: dovevo almeno tentare.
Quel giorno stava leggendo un libro che non aveva mai portato prima: Il linguaggio degli occhi. Non poteva essere stata una scelta casuale, doveva essere un segnale, o almeno ci speravo. Dopo tanto tempo, aveva forse deciso di buttarsi? In quel caso, dovevo fargli capire che avevo colto il messaggio.
Non ci credevo. Il giorno dopo si era anche lei cimentata nella lettura di un libro: Segnali d’amore. Non poteva essere stata una mossa involontaria, doveva essere un gesto in risposta al mio. Presi coraggio, le parlai.
Assurdo. Stavamo parlando solo da dieci minuti e mi sembrava che ci conoscessimo da anni. Mi sentivo perfettamente a mio agio, i silenzi imbarazzanti che tanto odiavo e temevo non si verificavano con lui. Ma dovevo scendere, ero arrivata alla mia fermata.
Passai tutto il giorno a pensare a quella conversazione. Ce l’avevo fatta, avevo vinto le mie paure. Ora non desideravo altro che riparlarci, non aspettavo altro che quel tragitto non più noioso, bensì fondamentale, per poterla rivedere.
Scoprii che avevamo molte cose in comune, mentre sotto certi aspetti eravamo l’esatto opposto. Ci confrontavamo e, nonostante mi avesse detto che non si apriva facilmente con le persone, si confidava con me e lo stesso io con lui.
Era il 25 Gennaio. Quel giorno scesi alla sua fermata. Lei, meravigliata e stupita, mi chiese il perché di quell’azione, dato che io sarei sceso due fermate dopo. Non le risposi.
Mi baciò.
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