Un viaggio
Comincio ad avere qualche anno, tante esperienze sulle spalle; molte positive, altre meno, che ho portato a pagare caro prezzo, ma tutt’ora se qualcuno mi invita a parlare, raccontare un viaggio, quello che mi viene subito alla mente è quello con mio padre.
Avrei desiderato e forse riuscirò ancora a vivere l’avventura di terre, cieli e genti diverse, ma quel piccolo, piccolo, viaggio mi è rimasto nel cuore.
Diciannove anni, maturità appena conseguita. Come regalo un viaggio, da soli, ma non in barca.
Io e mio padre a conoscere un piccolo paradiso del Sud Italia: Isole Tremiti, Gargano, Foresta Umbra.
Non esisteva l’autostrada allora e la SS 16 Adriatica attraversava tutti i paesi e le città; velocità bassa di media crociera, spesso rallentata da camion. Il paesaggio nel proprio cambiamento. Colline e montagne verdi, pianure e campagne di terra scura, auto e biciclette, carri trainati da asini, distributori di carburante sempre più rari, mare di raro splendore.
Conosco un padre diverso, nuovo: sa tante cose, me le spiega, con passione.
Ci imbarchiamo a Rodi Garganico, per San Domino.
È la prima volta che salgo su un traghetto, l’odore forte dei macchinari e di tutte le strutture oleose non mi dà fastidio, anzi mi elettrizza. Mi perdo a guardare la scia, le onde e gli spruzzi sollevati dalla prua, tante piccole pietruzze lucenti che mi rimandano odore e sapore, sale e piccoli arcobaleni.
Sbarchiamo e la prima cosa che mi colpisce la ricordo benissimo, è l’odore dei pini, il profumo intenso d’Aleppo, che insieme a tante altre piante della macchia mediterranea accompagna l’isola.
Lentisco, oleastro, corbezzolo, rosmarino, mirto, mio padre.
La pensione è semplice, ma bellissima. Partiamo, naturalmente a piedi, attraverso sentieri che ci portano intorno all’isola. Boschetti, cale dove il mare la fa da padrone, uccelli, anemoni, pomodori di mare. Papà racconta la storia di 3,05 km quadrati, dove il vento e l’acqua modellano incessantemente la roccia e le pietre.
Egli spiega e io sono felice.
L’indomani isola di San Nicola, un po’ di storia, egli spiega e io sono felice.
Si rientra a Rodi Garganico, e il terzo giorno è davvero una sorpresa inaspettata. Egli non spiega e io sono felice.
Ci addentriamo nello sperone d’Italia, il Gargano. La strada segue la conformazione del terreno, prima dolci colline, poi via via colli sempre più aspri; si sale ripidamente ma anche rapidamente.
La vegetazione cambia, ai coltivi si sostituisce spesso il bosco. Ed è un foresta, La Foresta Umbra!
Incredibile, si chiama così perché è talmente fitta che il sottobosco è sempre in ombra. Agli aceri si susseguono ontani, frassini, faggi, secolari abeti. È silenzio e pace, il blu del cielo brilla tra le foglie, il terreno è ricoperto di migliaia di piccoli ciclamini. Vorrei non muovermi più, passare così il tempo infinito, senza fretta, senza desideri, senza scadenze, immobile eppure vivo, proprio come quegli alberi.
Si va oltre, discese e salite, percorso tortuoso e immutato nel tempo: Monte Sant’Angelo. In cima il santuario e un campanile ottagonale del XII secolo che assomiglia agli umani.
Un ometto simpatico e furbo, in dialetto, ci informa che siamo forestieri e lui no.
L’Editto di Rotari in parte si trasforma e diventa persino divertente, quasi longobardo.
Sono tornato in quei luoghi che sono molto cambiati; i Longobardi non ci sono più e sono arrivati i Cafoni, strana Tribù, cementata e attrezzata di immagini di Padre Pio, anche se non c’azzecca, perché il santuario dovrebbe essere di San Michele.
Io sono cambiato, ma anche gli altri.
A me è rimasta la sensazione di quando, giovanissimo, ho sentito questo viaggio come la promessa di una vita davanti tutta da costruire e da vivere.
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