Cécile
Una luna splendente accompagnava i passi angelici di Cécile, che si aggirava lentamente nel buio della notte. La giovine si muoveva lentamente, adagio, con un portamento tranquillo. Era una notte insonne e non riusciva proprio ad abbandonarsi tra le braccia di Morfeo.
Allora era uscita piano dalla villetta dei suoi genitori, senza svegliarli, con l’intento di fare una passeggiata lungo le rive della spiaggia, per riflettere un po’ come le era solito fare.
I suoi occhi chiari e luminosi sembravano gemme luminose in contrasto con il buio della notte. La sua pelle era di un caldo color pesca e le sue labbra di una sfumatura rosa chiaro. Mentre camminava si arricciolava con un dito una ciocca dei suoi castani capelli, che si muovevano leggermente grazie al fievole venticello. I suoi passi lasciavano segni indelebili della sua presenza sulla spiaggia. Il mare era calmo e quieto, illuminato dalla luce delle stelle.
Cécile decise di camminare sul bagnasciuga, facendo attenzione a non bagnare la sua vestaglia di seta. Era così piacevole la sensazione dell’acqua sotto i piedi. Mille domande avvolgevano la mente della giovane. Il futuro le sembrava roseo e promettente, nessuna paura la turbava, eppure c’era qualcosa. Qualcosa che, nella notte, la agitava, le faceva battere il cuore. Malgrado le sue nobili origini, la sua giovinezza, la sua bravura nelle arti, la sua sensibilità sentiva che qualcosa dentro lei mancava. Un vuoto incolmabile era sempre presente dentro quella dolce fanciulla.
Il vorticare dei pensieri nella sua mente era interrotto solo dal suono delle onde che si infrangevano sulla spiaggia. Anche la notte aveva un’atmosfera di silenzio, rotta alle volte dai rari versi emanati dagli animali notturni. Cécile guardò il cielo e, stupita dalla grandezza del creato, ammirava con occhi sognanti il firmamento.
Un suono flebile, come un ululare di un lupo, interruppe quell’emozionante momento. La giovane riportò i suoi occhi a terra e, proprio mentre aveva deciso a rincasare, notò qualcosa d’insolito. Un’ombra camminava dalla parte opposta della spiaggia seguendo la spuma dell’acqua. Il cuore di Cécile batté forte: un’esperienza del genere non le era mai capitata.
La ragazza era sempre stata abituata a camminare nella notte da sola senza nessuna altra anima a condividere l’esperienza.
Alla fine la figura emerse nitidamente dall’ombra e lei riuscì a vederla interamente.
Un ragazzo bello e possente che assomigliava a una statua greca era apparso dalle tenebre.
Il battito del cuore di Cécile aumentò. Il corpo del giovane era di un pallido che ricordava il marmo lucente. I suoi capelli erano neri, folti e lunghi tanto da arrivargli alle spalle. Un vestito di colore nero avvolgeva le membra del giovane da cui si poteva scorgere lo stesso la possente muscolatura di quest’ultimo.
Le guance della ragazza arrossirono.
Gli occhi color verde smeraldo dello sconosciuto guardarono teneramente la giovine con uno sguardo pieno di ammirazione e dolcezza. Lui le sorrise amorevolmente. I denti erano bianchi come l’avorio e risplendevano alla luce della sera.
Il cuore di Cécile batteva oramai senza tregua nel suo petto. In vita sua aveva già visto altri giovani, ma nessuno di questi, seppur affascinanti, erano riusciti a riempire l’abisso interiore che la perseguitava.
I due si guardarono intensamente per una manciata di secondi. Infine lui le sfiorò gentilmente il braccio. Lei cedette al desiderio e lo baciò intensamente. Il giovane corrispose e si abbracciarono come un unico corpo sotto il firmamento stellato. Un vortice di passione avvolse l’innocente Cécile che, per la prima volta in vita sua, si sentiva realizzata.
Le sensazioni che quello sconosciuto le provocava erano paragonabili a un uragano che la trascinava pian piano verso l’alto. Le sembrava quasi di volare e di unirsi a quel cielo incantato. Poi qualcosa di insolito accadde e, senza preavviso, le sembrò di cadere e scendere sempre più giù, mentre intorno a lei scendevano le tenebre.
Il tutto durò un attimo, fino a che la luce dell’alba non la colpì sotto le comode coperte del suo letto.
Tutto era stato apparentemente un sogno. L’esperienza della notte trascorsa era stata tutta una grande illusione, un inganno tessuto dal sonno. C’era stato qualcosa di strano in quel risveglio.
La ragazza non si sentiva rinvigorita dal riposo notturno anzi, aveva la sensazione di un malessere interiore, come se si fosse ammalata. Cécile aveva l’impressione di essere debolissima, a malapena riusciva ad aprire gli occhi e la luce del sole le arrecava fastidio. Il suo respiro era affannoso… e poi c’era quel fastidio al collo!
Cécile si avvicinò le mani verso la gola: l’orrore fu grande. La giovane scoprì che dei fori erano presenti sulla sue pelle, da essi due rivoli di sangue uscivano dalle ferite.
La malcapitata capì tutto, intuì la vera entità dell’immonda creatura che durante la notte le aveva succhiato l’anima.
Clotilde, la domestica di casa, entrò nella camera per svegliare la sua padroncina: un urlo ruppe la tranquillità mondana e un’atmosfera di morte si manifestò dentro la casa. I genitori della vittima arrivarono trafelati nella camera della loro figliola. La madre, vedendo le orribili condizioni in cui si ritrovava la giovane, si disperò e cominciò a singhiozzare stringendo forte la mano della sua Cécile.
Il padre rimase immobile sulla porta della camera, un colore bianco aveva preso posto alla sua normale carnagione violacea; sembrava che un infarto lo stesse per colpire. Alla fine, dopo essersi vestito in un attimo, sfrecciò velocemente in paese a cercare un medico, nel tentativo di fare l’impossibile.
La madre continuava a piangere e a disperarsi mentre Clotilde, dopo essersi ripresa, cercava di aiutare invano la sua padrona.
Mentre tutte queste azioni si stavano svolgendo attorno a Cécile, la vita stava lentamente abbandonando la dolce ragazza. E mentre il maligno maleficio la rendeva sempre più lontana dal nostro mondo e più vicina all’aldilà, un sorriso riempì il volto della giovane anima.
Malgrado il male che era accaduto Cécile riusciva ancora ad apprezzare il mondo nella sua bellezza, e con essa la fanciulla si congedò dal mondo.
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