Un’esperienza di lettura
Eccomi qui, in una notte stellata: il cielo è trapuntato di luci che si fondono le une con le altre nei miei occhi. Sono sdraiato su un prato: è umido, fresco.
Accoccolata al mio fianco, letteralmente appallottolata accanto al mio viso, c’è la volpe: il suo muso sta poggiato sulla mia spalla e i suoi occhi neri brillano alla luce di queste splendide stelle. Stiamo sdraiati, e contempliamo in silenzio questa immensità.
La mia mente naviga, prende il volo così com’è solita fare quando ha davanti un simile spettacolo; sento però che questa notte non è come tutte le altre: questa notte è diversa, oggi cambierà qualcosa. Nel frattempo però non sono proprio in grado di distogliere lo sguardo dal cielo. È incredibile come più lo guardi e più mi renda conto di quante domande ho nel cuore: dormire è un’inutile perdita di tempo, l’ho sempre detto!
Io voglio capire, sono affamato. Il mio cuore trema continuamente, ma il mio corpo è fermo, sdraiato su di un prato accanto alla volpe, e dentro di me sento che avanza una sorta di inquietudine: strano a pensarci, non mi è mai capitato prima.
D’improvviso, nel bel mezzo della mia silenziosa contemplazione, la volpe avvicina il suo piccolo muso al mio orecchio e mi sussurra parole amare come il veleno, che forse avrei preferito non sentire in una notte come questa: «Hai mai pensato di interrompere per un attimo questo statico rituale? Non pensi forse che passare tutta la tua vita a osservare un cielo, per quanto possa rapirti l’anima, ti impedisca di vivere veramente? Guarda ti prego: sogniamo e non facciamo niente! Amico mio, quanto tempo hai trascorso sdraiato su questo prato in contemplazione di qualcosa che ti fa però trascurare tutto il resto? Hai una vita che scorre accanto a te, e che scivola via troppo velocemente: tu nemmeno te ne accorgi! Non hai paura? Paura di perderti dietro sogni e domande che però non hanno alcun tipo di appiglio sul reale? Non ti sembra di aver rinchiuso tutto te stesso fuori da questo mondo?».
Immediatamente il mio viso si è riempito di lacrime. A stento riesco a trattenerle. Allo stesso tempo però mi sento fortemente colpito, non so se deluso o solamente amareggiato. Non so se da lei o da me stesso. Ciò nonostante non esito a interromperla; non voglio credere a quanto ho appena sentito, anche se in cuor mio, è terribile ammetterlo, so che queste parole sono estremamente sincere. Ora sono in preda al panico. Arrabbiato, confuso. Forse in questo momento, per la prima volta dopo molto tempo, io sto vivendo qualcosa di vero. Cerco di asciugarmi le lacrime con la manica della mia camicia, ormai bagnata e sporca perché costretta a rimanere su un prato umido tutta la notte, e decido di risponderle, benché sia estrema la fatica che provo nel riuscire a mettere insieme parole sensate, a cui credo realmente.
«Vedi volpe – e subito un primo singhiozzo – io ho sempre creduto che tu fossi mia amica, che tu mi volessi bene e fossi felice del fatto che ogni notte io ti portassi qui, a guardare le stelle. Ora però ti sento più distante, sento che non riesci pienamente a comprendere il senso del mio vivere. O forse non lo hai mai fatto! Devi cercare di capire quanto bisogno io abbia di rimanere sdraiato qua, con te al mio fianco! Non riesco a credere che tu pensi veramente ciò che mi hai detto, non riesco ad accettare il fatto che tu percepisca la mia vita come qualcosa di finto, vano e fuggevole. Credevo di poter contare sul tuo aiuto e sulla tua comprensione, ma ora penso che nemmeno tu possa servirmi più a nulla. Lasciami da solo, vattene!».
Le ho urlato addosso, con tutta la rabbia che avevo in corpo.
«Ascolta, il fatto è – però per favore ti supplico di non urlare – è proprio questo: non si tratta tanto di stare insieme per servirsi l’uno dell’altro. Si tratta invece di stare insieme perché le nostre vite possano incontrarsi, essere condivise; credo però che rimanere qui ogni notte ci renda estranei: questa contemplazione ci aliena dal mondo reale, ci fa preferire una vita di sogni e desideri fallaci che svaniscono al mattino, e ci fa trascorrere lungo tempo l’uno accanto all’altro senza che le nostre anime possano veramente conoscersi. Non sto dicendo che sia sbagliato sognare o avere il cuore colmo di desideri amico mio, non voglio dire questo! Voglio però farti capire quanto la vita viva, la vita vera non sia questa che credi tu!».
«Ma come puoi voler condividere la tua vita con qualcuno in una realtà che costantemente ti delude? Tu, ad esempio, lo hai appena fatto: mi hai deluso! Io resto qui ogni notte perché questo è l’unico modo che ho di vivere e dar sfogo alla mia fantasia! E ti porto con me perché questa fantasia non rimanga in un cassetto chiuso nel mio cuore…».
Un sospiro mi ha interrotto e immediatamente la volpe ha ripreso a parlare: «Amico, guarda il cielo, guarda quanto è bello! Tutte queste stelle sarebbero vane però se non facessero parte di una realtà più grande, vicina a noi; guarda gli alberi, questo prato, un bambino, pensa a un’amicizia, o ancora agli occhi della ragazza che ami: non credi forse che tutte queste siano le stelle nella vita viva? Non credi forse che siano la corrispondenza reale di ciò che contempli distaccato tutte le notti? Amo anch’io sognare a occhi aperti, ma amo ancor di più vivere, e non posso sopportare l’idea che un mio amico sprechi la sua esistenza fissando i suoi occhi su di un cielo che in cambio gli dà solo illusioni; devi davvero cercare questo cielo anche nella realtà!».
Basta! Sono troppo amareggiato per riuscire ad ascoltare ancora le sue parole, voglio andarmene. Nemmeno questo luogo può più soddisfarmi. Nemmeno questo amico.
La volpe però si ostina a parlare, non mi lascia via di scampo: «Ti prego resta ancora qui con me, non ho finito di parlarti. Proverò a spiegarmi meglio, e ti chiedo scusa se sono stata troppo diretta e forse aggressiva, non era mia intenzione».
La piccola volpe si siede accanto a me, con una tenerezza negli occhi di cui mai mi ero reso conto. «Vorrei che tu provassi a pensare a quando ci diamo appuntamento in questo prato: ecco, devi sapere che io inizio a essere felice fin dal mattino!».
L’ho interrotta un attimo; il tutto non mi era affatto chiaro.
«Dal mattino? E perché così presto? Che ti importa al mattino di pensare a ciò che farai la sera?»
«Sono felice fin dal mattino perché so che la sera potrò vedere il mio amico, potrò poggiare il mio muso sulla sua spalla: questo è vero e questo mi rende felice! Non è un sogno che fa la mia felicità, ma è un gesto concreto. Vorrei davvero che tu capissi questo. E ora non posso che lasciarti, ho parlato fin troppo. Addio».
Piange la volpe, lacrime leggere scivolano sul suo piccolo muso. Sta per andarsene: cosa faccio? Non voglio perderla! Non posso perderla! In un’intera vita trascorsa non sono mai stato così vivo come ora: è tutto così strano. È tutto così tremendamente vero.
Ho deciso di fermarla. Ecco torna indietro, mi corre incontro. Faccio un profondo respiro, riempio i miei polmoni con tutta l’aria che posso prendere, e con quel poco coraggio che ho in cuore decido di risponderle, affrontando per la prima volta nella mia vita di sognatore una realtà vera.
«Finalmente – ammetto che non è affatto facile dirti tutto questo – sei riuscita a farmi uscire dalla gabbia di sogni in cui ero intrappolato: io stesso avevo gettato via la chiave della serratura, non so se per paura o per timore. Sento sempre la realtà come un terribile ostacolo, e persino l’idea di poter vivere davvero qualcuno dei miei sogni mi terrorizza. Rimango estasiato finché questi restano lassù, accanto alle stelle, ma, appena il mio cuore si apre alla vita viva, io scappo e mi ritiro nel mio guscio per paura di ricevere delusioni. Forse ho proprio bisogno di qualcuno che venga ad aprire questa gabbia, e credo che tu con queste parole abbia già dato la prima mandata».
Le lacrime stravolgono il mio volto, non ho smesso di piangere da quando la volpe ha cominciato a parlare. Ho il cuore più leggero, e persino il prato su cui mi sono sdraiato per settimane ora mi sembra più bello. Mi guardo intorno e scopro che tutto, davanti ai miei occhi, risuona di vita viva.
Cominciamo a passeggiare all’ombra dei cipressi sparsi qua e là nel prato, progettando ciò che avremmo voluto fare insieme l’indomani.
«Ti voglio bene amico mio» mi ha detto.
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