Premio letterario SofiaPremio letterario SofiaPremio letterario Sofia
19ª edizione - (2016)

Intervista impossibile

«E ora aprite a pagina 164. Qui sono scritti alcuni dei versi più cantati, celebrano la grandezza umana, e lo fanno attraverso i suoi limiti, un dramma nel quale si riconcilia lo stesso Dante, un’insufficienza… essere… rivelazione div…».
Sta piovendo e non ho l’ombrello sono tutto fradicio. Ho i piedi immersi in una pozza d’acqua le scarpe e i brividi di freddo mi salgono fino a sopra la testa lungo tutta la schiena. Giù per la schiena scivola anche qualche gocciolina che ha approfittato per infilarsi tra il collo del cappotto e il berretto di lana.
Decido di entrare in un palazzo davanti a me per ripararmi dalla pioggia.
È uno di quei grattaceli altissimi, talmente alto che non ho neanche voglia di trovare la fine. L’aria è fredda e il vento mi spinge ora in avanti e ora indietro. Salgo i gradini di marmo liscio, bianco, salgo a testa bassa, facendo attenzione a non scivolare.
Sono dentro, è tutto grigio intorno, le luci sono spente, posso solo vedere un ascensore al centro, mi avvicino, vedo un cartello, di certo qualcuno ha improvvisato una scritta di fortuna. Comincia con la parola «per…» ma il resto non riesco a leggerlo perché è buio. Del resto non mi importa, perché dall’ascensore sento arrivare un lieve calduccio che per un attimo porta la mia immaginazione al tepore dell’autunno, quando cadono le foglie scatenando una tempesta di colori caldi.
Nessuna altra indicazione.
Entro nell’ascensore e con grande stupore mi accorgo che porta fino a dieci piani sotto terra e dieci verso l’alto, incredibile! non sono mai stato così in profondità, devo provare a scendere! mi dico. E così sull’avanzatissimo display dell’ascensore premo il pulsante otto. Appena sfiorato il tasto il display mi ripropone una scala di numeri ancora dall’uno al dieci, pensando che il computer si sia impallato per un attimo premo nuovamente il numero otto. Le porte si chiudono dolcemente e senza far rumore, solo un piccolo clic quando le due maniglie dorate si sfiorano… La luce dell’ascensore si abbassa lentamente e…
TAC! ! Un rumore metallico mi stordisce e un attimo dopo mi trovo in caduta libera, non so cosa fare, il mio respiro si fa affannoso e non riesco nemmeno a urlare, provo a schiacciare i tasti dell’ascensore ma non funzionano più, capisco che è la fine: mi sfracellerò…
Ma verso il sesto piano comincio a rallentare di colpo e sbatto la testa contro il pavimento quando… la luce si riaccende con la stessa dolcezza con cui si è spenta, e il display mi dice che sono arrivato all’ottavo piano: le porte si aprono. L’unica cosa che riesco a vedere sono delle fiammelle che ballano davanti ai miei occhi. Svengo.
Mi risveglio, sono stranamente asciutto e mi viene da pensare a quanto tempo io possa essere stato lì sotto incosciente, sto ancora pensando quando mi accorgo di essere tutto sporco come di fuliggine, sono un po’ intontito strizzo gli occhi per riprendermi un po’, non li ho ancora riaperti completamente che vedo tutto intorno a me delle fiamme alte almeno quanto un uomo! Mi alzo di scatto con il battito a mille per la paura. Ma riesco a mettere a fuoco… Sono delle singole fiamme che spuntano da alcune fessure nel pavimento e fanno un rumore che assomiglia a un bisbiglio. La puzza di zolfo, la fuliggine, le fiamme. Capisco. Mi trovo all’Inferno, ottavo cerchio, ottava bolgia, ed era stato per questo che il display mi aveva chiesto di ripetere la scelta… e solo ora mi ricordo di quella maledetta scritta davanti all’ascensore: «Per me si va…».
Era certamente la scritta della porta dell’Inferno. Senza ombra di dubbio mi trovo negli Inferi, almeno so dove mi trovo e poi ci deve essere un errore non sono mica mort… «Sono morto! !» urlo a squarciagola in preda alla disperazione, mi accascio a terra mettendomi a piangere come un dannato in preda all’ira con le lacrime che mi solcano il volto e mi rigano il viso dalla fuliggine. Metto le mani nei capelli.
«Non lo sei! » dice una voce dall’altra parte.
Mi volto di scatto e impietrisco.
«Oh tu che sì ratto la paura ti mena, dimmi chi sei!»
«C-c-Chi ssei? » rispondo con il cuore in gola. La mia voce si è spenta ed è come se mi fossi dimenticato come si parla. Mi sento morire.
«Il mio nome è Odisseo, re di Itaca, e figlio del più grande poeta di tutti i tempi, Omero» rimbomba la stessa voce, questa volta più dura.
Ancora non riesco a vederlo ma mi accorgo della grande fiamma biforcuta in mezzo alle altre.
«U-Ulisse? » rispondo stupito e timoroso.
«Sì… È così che alcuni mi cantano.»
Intanto la grande fiamma si muove come seguendo le parole e in qualche modo esprimendo le stesse emozioni di un volto umano.
«Non ci posso c-credere, il grande U-Ulisse davanti a me! È i-imp-os-si-bi-le. Ho sempre sognato di incontrarti per farti delle domande sulla tua storia, sul mare, sui giganti, sulla maga Circe!» riesco a ritrovare il coraggio di parlare…
«Allora cogli il momento. L’ultima anima viva che ha percorso questa strada ancora non so se è riuscita a trovare la via di casa, ricordo che era accompagnata da una guida un po’ premurosa, non voleva che quel poveretto mi parlasse per paura di fare brutta figura con la lingua…»
«Chi, Dante?!… Quindi ti posso fare delle domande e tu mi risponderai?»
«Sono finiti i tempi dove infilzavo qualche troiano con la mia lancia, e poi, detto fra noi, non ho niente di meglio da fare qui.»
«Allora vorrei cominciare col chiederti se è veramente vero che il tuo viaggio di ritorno da Troia a Itaca è durato dieci anni come dicono?»
«Per la precisione quarantadue cambi di stagione» mi risponde lui con una strana fierezza.
«E come hai fatto a non annoiarti?»
«Noi uomini di allora sapevamo passare meglio il tempo, parlavamo, parlavamo di donne!». Ulisse cambia il tono sul finale come per farmi intuire qualcosa…
«Immaginavo… Ma se non mi sbaglio qualche volta hai rischiato di lasciarci la pelle, come con Polifemo.»
La fiamma si alza e stride come se inspirasse, come fanno gli apneisti quando si stanno per immergere, e poi con gran voce…
«Chi? Quella bestia selvaggia con un solo occhio, alta due uomini e mezzo! Deve ringraziare gli Dei che non l’ho fatta scomparire dalla faccia della nostra bella terra. Non era degna di vivere! Quando uccise sei dei miei compagni non ci sarebbe stato dio che mi avrebbe potuto fermare dal cavargli un occhio a quel mostro.»
«Quindi è vero… Gli hai infilzato un asta di legno nell’unico occhio che aveva?»
«Vero quanto la terra è piatta ragazzo, in realtà era il bastone che usava per trafiggere le sue prede, in poche parole ha affilato la spada che lo ha ucciso!»
«Capisco» rispondo con una smorfia di approvazione.
«Ma ora sono io che ti voglio raccontare qualcosa, ovvero l’ultima delle mie avventure, l’ultimo dei miei errori.»
«In che senso?»
«Ero tornato da poco a Itaca e trovai lì mia moglie che mi aspettava con mio figlio… ma in quei dieci anni avevo imparato a viaggiare in ogni dove e senza meta alcuna, fu così che un giorno capii che la mia vita non aveva più senso stando accanto alla mia terra, accanto a mia moglie che tanto mi aveva aspettato: il mare mi chiamava, capisci? Era stato la mia casa per anni… Decisi di partire, partire per non so dove ma sapevo di voler andare oltre, un posto che fa raggelare il sangue al sol pensiero… Decisi di superare le colonne d’Ercole. Sapevo di andare incontro a morte certa ma ormai nulla più mi soddisfaceva, quell’idea stava crescendo dentro di me e non potevo più ignorarla.
Una mattina radunai i miei fidati, quelli che avevano subito il mio stesso destino, quelli erano tornati dalla guerra e gli dissi di fidarsi, un’ultima volta…»
Ora la fiamma non fa più rumore è bassa e mi arriva a malapena alle ginocchia e smette di parlare.
«Ulisse! E poi?»
«E poi ragazzo la storia è bella quando è leggenda, e la leggenda sarà soltanto quello che sei disposto a credere, a immaginare…»
«Non capisco Ulisse…»
«Vedi ragazzo… Quando Dio ha creato l’universo lo ha fatto dandoci un posto speciale… In poche parole ci ha detto che non dovevamo preoccuparci per quello che non ci competeva…»
«Ma tu avevi ancora fame di scoperte e ti sei spinto oltre quello che potevi.»
«E qualcuno lo ha impedito, lo avrà fatto con un motivo. Non ti sto dicendo di non spingerti oltre ciò che conosci, la vita perderebbe la sua bellezza! La grandezza della vita stessa è la sua infinita curiosità!»
Le fiamme si spengono tutte di colpo, si accende una luce abbagliante sopra di me e un uomo da sopra mi dice: «Stai calmo, adesso arriviamo in ospedale, hai solo preso una leggera botta alla testa. Quando l’ascensore è precipitato è scattato l’allarme e si sono innescati i freni d’emergenza che ti hanno salvato la vita. Ma è possibile che non hai notato il cartello che diceva: «Pericolo: blackout improvvisi. Non usare l’ascensore»?!».
E un attimo dopo mi spiego un paio di cosette.
Ora mi guarda un’altra infermiera e mi dice: «Poi sei sceso dall’ascensore e hai sbattuto la testa contro la caldaia e sei svenuto!».
La caldaia, ecco perché vedevo le fiammelle ed ecco perché ho sognato delle fiamme! Dopotutto sono quasi contento di essere svenuto, almeno sono vivo.
Sto per chiedere informazioni all’infermiera, quando apro gli occhi e mi trovo in classe, il mio vicino di banco mi sta sgomitando per svegliarmi. Quando mi riprendo è troppo tardi: la prof di italiano mi guarda e mi chiede: «Allora, mentre eri nel tuo mondo onirico hai avuto anche il tempo di seguire la lezione?».
Cerco di giustificarmi con una notte insonne quando lei: «Allora dimmi… Quale fu l’ultima delle disavventure di Ulisse?».
La classe era in silenzio, ascoltava.
«Per sentito dire, so che è partito al tramontare dei suoi giorni per non far più ritorno.»
«Solo questo, e poi?»
«Beh, poi non lo sa nessuno con certezza, nessuno è tornato indietro per raccontarlo.»
«Se la metti così sono costretta a metterti una nota perché non hai seguito la lezione.»
«Aspetti non ho finito… In realtà Ulisse e la sua ciurma sono partiti senza fare ritorno perché il mondo come lo conoscevano non gli bastava più, avevano sete di avventura, una sete implacabile, che li ha portati a sconfinare dal mondo che gli era consentito esplorare. Come tutti nella vita si è fatto delle domande sbagliate, che lo hanno portato a non distinguere più ciò che era giusto da ciò che era sbagliato.»
In un attimo capisco che il viaggio all’Inferno non era stato solo il frutto della mia fantasia, mi ero addormentato in classe durante una lezione della «Divina», almeno sono riuscito a evitare una nota grazie al mio amico Ulisse fatto di un po’ della mia fantasia e un po’ di lezione…
«Vedo che dormi con le orecchie funzionanti… Per oggi sei salvo.»
La prof chiude il computer, la campanella suona.
Appoggio la fronte sul banco e, quando la rialzo, mi ritrovo sul tavolo di casa mia, un biscotto inzuppato di latte in mano e una tazza nell’altra.
«L’avevo detto io che non dovevi andare a letto così tardi» mi dice la mia mamma passandomi davanti.
Tiro un sospiro e vado a lavarmi i denti.


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Ultimo aggiornamento: 16 gennaio 2010