Premio letterario SofiaPremio letterario SofiaPremio letterario Sofia
19ª edizione - (2016)

Addio a Londra

Elaborazione del passo conosciuto come Addio ai monti di Alessandro Manzoni

Sarah chiuse con calma la porta di casa sua e la osservò per qualche secondo; sarebbe passato del tempo prima che i suoi occhi avessero rivisto quella vernice blu laccata e quel pomello dorato che decoravano quella semplice tavola di legno, che le era però tanto cara.
Si voltò, infilò le mani nelle tasche del suo lungo cappotto blu, che la difendeva ormai da tempo dal vento freddo di Londra, e si incamminò verso il centro.
Aveva sempre amato Londra con i suoi negozi d’antiquariato di Portobello Road, la piazza caotica di Piccadilly Circus che con i suoi led sembrava una piccola Times Square, il cancello nero e dorato di Buckingham Palace che gli conferiva un’eleganza insormontabile, con la Nelson’s Column di Trafalgar Square e i suoi leoni su cui i turisti si sedevano continuamente per fare delle fotografie, la tranquillità della National Gallery dove era tornata più volte per ammirare i suoi quadri e osservare con curiosità tutti coloro che si aggiravano per il museo con matite e album da disegno per copiare le opere, e con Saint James Park, il suo luogo preferito per le passeggiate rilassanti dove salutava con un cenno del capo e un leggero sorriso gli impiegati che tornavano a casa dopo una pesante giornata di lavoro e ormai la riconoscevano. Amava la sua Londra perché era proprio come lei, caotica e al tempo stesso tranquilla, divertente e colta, con l’aria misteriosa di chi ti dà l’impressione d’avere qualcosa da raccontarti, e quel racconto ti farà capire tutto di loro, ma non è mai così, perché loro stesse amano essere misteriose, ma sono proprio loro persone di cui sei certo di poterti fidare senza «se» e senza «ma», e lei si fidava ciecamente di Londra, si sentiva sempre a casa, non importava nulla, triste o felice, Londra l’avrebbe sempre fatta sentire meglio.
Il suo flusso di pensieri era così fitto e continuo che non si accorse di essere praticamente corsa verso il parco; poco prima di oltrepassare il cancello si voltò e i suoi occhi incontrarono la dimora della Famiglia Reale, facendole ricordare le parole di suo padre: «Facciamo un gioco, si chiama “Cosa starà facendo Elisabetta?”»; le piaceva quel gioco, le ricordava che, dopotutto, i Reali erano persone, e, come tali, potevano, in quello stesso istante in cui una folla di turisti ammirava il cambio della guardia, giocare tranquillamente con i loro cani, oltre che vestirsi elegantemente o parlare con il Primo Ministro. Spostò lo sguardo per scorgere il Big Ben; alcuni credevano che i Londinesi, freddi come il clima della loro città, lo guardassero temendo di essere in ritardo per il tè, ma si sbagliavano; infatti quando i Londinesi alzano lo sguardo e vedono quell’enorme orologio pensano alle cose più disparate, ma sono quelle a cui tengono per davvero. Salutò per l’ultima volta la torre e la Regina pensando: “Salutami i cuccioli e i nipotini El”.
Passeggiando per il parco salutò con una leggera malinconia gli impiegati che pareva quasi sapessero che non l’avrebbero più rivista e le porsero un sorriso sincero, purtroppo lei non sapeva come ricambiare, cacciò via le lacrime e recitò; d’altronde era quello il motivo per cui sarebbe dovuta andare a Edimburgo, ricambiando con un sorriso sofferto; una ragazzina le passò vicino e osservò meravigliata il suo cappotto, ma quando alzò lo sguardo sul suo viso e notò la sua tristezza, non le mostrò pietà, ma le sorrise sicura, come per convincerla che sarebbe andato tutto bene; Sarah annuì e sospirò, non riusciva a dire addio alla sua Londra.
Attraversato il parco, scese con un piede dal marciapiede, allungò un braccio e urlò con voce risoluta: «Taxi!»; poco dopo una macchina nera le si avvicinò, Sarah salì frettolosamente e con un grande sforzo dalle sue labbra uscì la parola «Heathrow». Il tassista partì, e gli occhi azzurri della ragazza guardarono distrattamente i palazzi fuori dal finestrino mentre il suo cervello cercava scuse per far fare inversione alla macchina: “Non ho la valigia, non è vero, l’ho portata nel nuovo appartamento settimana scorsa e i vestiti che ho usato nel frattempo non li avrei portati comunque”. Stufa di mentirsi, prese un respiro profondo e chiuse gli occhi, sperando di non arrivare mai a destinazione; purtroppo arrivata all’aeroporto dovette pagare il tassista e scendere dalla macchina.
Il vento di Londra la spettinò salutandola per un’ultima volta; la misteriosa ragazza con gli occhi azzurri e il cappotto blu varcò l’ingresso dell’aeroporto facendosi coraggio; Edimburgo l’aspettava, e, per quanto le fosse difficile andarsene, odiava farsi attendere.


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Ultimo aggiornamento: 16 gennaio 2010