Premio letterario SofiaPremio letterario SofiaPremio letterario Sofia
19ª edizione - (2016)

In un sogno
di Richard Manuel
Finalista

Immersione #230057 14/03/25 – sesso F, età 47, encefalo integro, deceduta

Conosco questa spiaggia, o una spiaggia che sta a questa come una fiamma viva alla sua corona di calore quando il focolare si è spento.
La nostra luna di miele, Mykonos 13 anni fa.
Nel sogno, il manto di sabbia pallida che l’aveva tanto colpita è trasfigurato in neve, un letto infinito alle mie spalle e le mie dita vi affondano senza ghiacciarsi. In lontananza le ombre di palazzi solitari, strappati ai loro quartieri, si incurvano nel deserto bianco come pellegrini.
Il mare è un unico cristallo azzurro che procede interminato, senza incontrare il profilo carbonizzato di una costa né l’orizzonte; occhi di luce pallida, riflessi tra le increspature, si schiudono a guardarmi muti nel silenzio.
Cosa sto cercando? Mi incammino tra due deserti sotto un opale appassito di sole.

01

Soffoco il muggito del traffico e della luce nascenti, accendendo e alzando il volume del televisore: sdraiato sul materasso il cinquantasei pollici mi inonda di simboli e icone in tutti i linguaggi del mondo.
Scarto ora una siringa e penetro la membrana della fiala di onirofluido per riempirla. La estraggo. Spingo lo stantuffo, la punta eiacula una preziosa goccia che scendendo per l’ago ferreo riflette lo spettro di colori del programma Buongiorno Chicago!, la cui conduttrice giovane e bionda mi ricorda una ragazza che ho frequentato e della quale non ricordo il nome.
Sono le sei e trenta di un lunedì.
Mi avvolgo il braccio sinistro, tra il deltoide e il bicipite, con un emostatico; il mio corpo mi implora, trema, spasima. Ho bisogno di ogni attimo.

Il Pio Ospedale di Nostra Signora delle Carità è il centro di ricerca di riferimento nel campo dell’oniroimmersione.
L’oniroimmersione permette l’esplorazione di una mente tramite le sue rappresentazioni del sonno REM, da parte di una seconda – quella del ricercatore.
Per iniziare l’immersione, è necessario collegare l’operatore alla macchina tramite gli appositi elettrodi neurali (procedura di cui si occupa il tecnico specializzato), e immergerlo nella camera amniotica. È inoltre necessario un dosaggio di psicostimolante H2 – il cosiddetto onirofluido – una soluzione di ormoni colinergici e neostigmina. In passato la somministrazione era endovenosa, ma sappiamo ora che una micro-iniezione nell’area del pons può ridurre gli effetti collaterali; tra i principali il famoso «residuo da immersione», il prolungato leggero stato di allucinosi che è stato considerato così suggestivo dai giornalisti negli ultimi anni. Cioè che è stato documentato dai ricercatori essere solamente una temporanea ripetizione di volti, voci e oggetti inanimati (in minor parte) percepiti durante le immersioni, sotto forma di allucinazioni visive e sonore.
Contrariamente a quanto è stato vociferato, l’onirofluido non provoca una forte dipendenza.
Inoltre, il Pio Ospedale è stato il primo a scoprire ed effettuare immersioni in encefali di pazienti deceduti, previa un’opportuna ossigenazione artificiale del cervello e la sua elettro-stimolazione; anche nel cervello del paziente deceduto un brain state REM può essere indotto artificialmente con lo stesso psicostimolante. La differenza nelle qualità dell’immersione effettuata su un paziente deceduto è sostanziale.

Immersione #230057 14/03/25

L’enorme esoscheletro fratturato di un granchio riposa sulla neve, avvolto da un velo fragile di salsedine.
I sogni sono spesso abitati da creature come questa, titaniche, che la coscienza pone a guardia dei suoi segreti: draghi, tigri, scimpanzé e cinghiali come li abbiamo visti con occhi bambini nei libri di fiabe. Come tutto questo, una volta che il sognatore muore anche loro quietano, imbalsamati ed estinti.
Sollevo con tutto me stesso una grande chela, per sottrarla all’acqua che la erode. Vorrei si conservasse intatta, ancora per qualche tempo così l’adagio nella neve. Mi arrampico su una zampa, il carapace ruvido mi taglia i piedi, e salgo sul dorso del granchio che si assesta sotto al nuovo peso, ma senza emettere suono.
Per chilometri densi di nulla. Questo è ciò che gli antichi potevano osservare superate le colonne d’Ercole: l’assenza oltre la soglia del mondo, tanto niente da abbacinare.
Mi inginocchio e prego una preghiera che non sapevo avere imparato. Mi tolgo la camicia per avvolgerci le mani e spacco con i pugni stretti questo cranio per infilarmi nel suo vuoto.

02

Trascorre un tempo indeterminato, che so per esperienza corrispondere a non più di quattro minuti, prima che lo schermo del televisore inizi a contrarsi e poi espandersi come un cuore che pulsi e si rigonfi a ogni battito. Arriva a coincidere con gli angoli della mia visione. Mi circonda e mi inghiotte. Quella presentatrice mi guarda e mi parla chiamandomi per nome, mi conosce e mi tocca, e io faccio lo stesso: la conosco e la tocco perché i contorni del suo viso sono quelli di… Non ricordo il suo nome.
Non mi accorgo che sotto le bollenti luci dello studio di Buongiorno Chicago! il mio corpo inizia a scaldarsi e a bruciare: credo inizialmente che sia dovuto all’eccitazione, ma quando mi guardo vedo che la mia pelle e le mie ossa si sciolgono in cartilagine. Grido aiuto. La imploro. La presentatrice si reimpossessa del volto, mi guarda impassibile e mentre annego nella mia massa liquefatta continua a ripetere sorridente: «A domani, Chicago! A domani, Chicago!».
Mi sveglio intriso di ansia in un bagno di sudore e coperte madide. Sento un bisogno impellente di raffreddarmi, che mi conduce fuori dal letto su arti molli e a metà corridoio cedo e sono costretto a strisciare fino al frigo. Lo apro. Mi ci arrampico rovesciando scaffali e svuoto su di me alcune bottiglie d’acqua. Riposo a terra, aspettando di spegnermi. Il bruciore alla gola non passa e mi porto le mani alla bocca che trovo spalancata: mi accorgo di non avere smesso di gridare da quando mi sono svegliato.

03

Mi vesto ancora bagnato, ma la camicia e i pantaloni mi si appiccicano addosso mi soffocano e sono costretto a sedermi sul letto per prendere fiato. Butto la siringa lasciata sul comodino.
La macchina si guida da sola, o io guido la macchina e qualcosa che non sono io mi pilota fino al Pio Ospedale. Sono condotto giù per la rampa di scale dell’ingresso D fino all’ascensore e nell’attesa del suo arrivo ritorno a prendere controllo del mio corpo. Mi sorride un’infermiera giovane. Quando mi muovo per entrare sente lo sciabordio delle mie scarpe zuppe e si accorge dei pantaloni bagnati. Mi guardo anch’io i pantaloni e non so cosa dirle.
Scendo al -3 a quelle che gli immersi chiamano le «Viscere». Non io: i corridoi del reparto di ricerca che come una piovra si avviluppano attorno ai locali delle ex caldaie e dei generatori, per me non hanno nome. Freddi e male illuminati.
Il soffitto e il pavimento non sono paralleli. Le pareti sbilenche incombono. Percepisco una prospettiva surreale, senza o troppo ricca di punti di fuga. Appoggio una mano alla parete per riprendere l’equilibrio perché ho i piedi che si intrecciano; svolto a destra e poi a sinistra e poi a destra e a destra, prima di rendermi conto che mi sono perso. Cammino fino a trovare una piantina per le uscite di sicurezza, ma la legenda recita per tutte le icone: «Voi siete qui».
Mi siedo per terra e attendo che passi un tecnico di laboratorio.

Dalle nostre ricerche, appare che se le immersioni condotte in pazienti ancora vivi siano dense di transizioni spontanee da una circostanza all’altra, da un paesaggio all’altro, e vi si possano incontrare rappresentazioni di esseri umani (spesso la sintesi di più esseri umani che si somigliano fisicamente o caratterialmente) e interagire con essi, questo non avviene nelle oniroimmersioni condotte in encefali artificialmente attivati.
Il professor Bellini li ha definiti «fortezze vuote», castelli disabitati, luoghi ampi e deserti. Privi di vita e di coscienza, eppure sembrano conservare un qualche tipo di memoria.
È una delle ragioni per cui gli immersi che denunciano lievi casi di «residui da immersione» sono assegnati a questo tipo di studi.

Immersione #230057 14/03/25

Sono nel buio, ho la sensazione che non ci siano confini in questo luogo e anche se cammino, non sono certo di poggiare i piedi su una superficie. Mi accorgo di avere le scarpe. Una porta con una maniglia antipanico è sospesa in questa nuvola di inchiostro. C’è scritto Sortie de secour e deve appartenere a un viaggio di lavoro in Francia, circa quattro anni fa: mi aveva telefonato a lavoro dicendo che là era notte e nell’hotel era scattato l’allarme antincendio e faceva freddo ed era in vestaglia ad aspettare di fuori. Avrebbe voluto fossi lì, disse, e anche che ci saremmo visti venerdì.
Entro nel corridoio di casa nostra, ma è lunghissimo e le pareti sono alte e coperte da fotografie: qualcuna di noi, altre della sua infanzia, altre stanno sbiadendo; se mi fermo troppo, si cancellerà tutto.
Corro e supero una serie infinita di porte, bagno, stanza che era dei ragazzi, la nostra camera, ripetute in questo ordine. In fondo al corridoio c’è il nostro specchio, amplia il corridoio e dà luminosità. Ho il fiatone: mi ci guardo dentro, ma non c’è alcun riflesso.
La camera amniotica si svuota gorgogliando, si affaccia il Dr. Jung.

04

Un immerso sui sessanta, nudo e fradicio di perfluorocarburo per la respirazione liquida, emerge dalla camera amniotica. Sta parlando con un dottore.
«Non posso autorizzare altre immersioni, lo sai».
L’immerso risponde: «Ho finito, non credo di averne più bisogno.» e il dottore: «Non ti fa bene, non ti fa bene».
Il liquido amniotico bolle, sale, mi avvolge come un succo gastrico, e mi fagocita caldo e gelatinoso, così che di riflesso trattengo il respiro. Comincio a rilassarmi e vengo decorporeizzato.
Il mio viaggio inizia in questo brodo primordiale che si fa largo nei miei orifizi: mi brucia il naso e i polmoni, mi compenetra per fondermi e annullarmi. Ritorno all’embrione, alla cellula, sentendo il mio essere fondersi con un altro nella danza inversa che una cellula usa per dividere e moltiplicare il proprio intricato nucleo.


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Ultimo aggiornamento: 16 gennaio 2010