Premio letterario SofiaPremio letterario SofiaPremio letterario Sofia
19ª edizione - (2016)

Rincorrendo l’aurora
di Ilaria De Vecchi
Finalista

La ragazza corre, leggera, sulle ali del vento. Ancora non sa che la strada verso il futuro non è necessariamente diritta. Se solo si fermasse, forse si renderebbe conto d’aver già trovato l’aurora. Corre, si affanna lungo i binari del treno, verso nord, in mezzo ai boschi, incurante del freddo, dei fiocchi di neve sui capelli ormai liberi da ogni costrizione, delle mani tagliate dal gelo.
Il fischio che l’aveva risvegliata da quel torpore durato mesi le pareva continuare, chiamandola a sé. Non si era neppure accorta d’aver sparso tutta la brace sul pavimento, del fragore dell’attizzatoio caduto in terra, del tizzone rimbalzato sulla sua coscia con un leggero sfrigolio e del fratello che aveva inutilmente cercato di sbarrarle la strada e che lei aveva spinto contro il muro. Tutto era stato sovrastato da quel suono acuto. Ad un tratto, ogni cosa seppellita da giorni e giorni di vuoto le era tornata alla mente: il suo sorriso, quei suoi occhi neri come la pece in cui lei vedeva il mare, la sua voce calma e profonda. Erano così diversi, eppure si erano trovati: lei bassa, sottile e malaticcia, occhi verdi e capelli rossi; lui grande, forte e scuro. Lei amava la pioggia, lui il sole, lei la montagna, lui il mare, tuttavia l’aurora li aveva fatti incontrare, aveva intrecciato i loro destini e li aveva uniti. Era sotto l’aurora che si erano incontrati e, sempre sotto l’aurora, avevano trovato la loro fine, quando il suo peschereccio era affondato e lei era rimasta sola, senza più un cuore capace di provare calore. Era per questo che correva: per rivedere quelle luci che le avevano donato un motivo per vivere e poi gliel’avevano tolto troppo in fretta. Per rivedere lui, perché quello era il suo fischio per lei, per dirle che era tornato, per farle capire che non era finita e che l’amava e che nulla avrebbe mai potuto separarli. E intanto correva, in mezzo ai pochi fiori e arbusti che costeggiavano le rotaie mezze arrugginite, sotto gli abeti, con la mente invasa dal suo profumo, dal suo nome, dalla sua ristata. D’un tratto abbandonò i binari per inoltrarsi nella pineta, veloce, senza preoccuparsi degli aghi che le graffiavano la pelle, cadendo più volte e rialzandosi sempre, senza mai arrendersi. L’aria fredda le raschiava la gola, assorbiva tutto il suo calore, per poi condensarsi davanti alle sue labbra in nuvolette bianche, che subito si riducevano in centinaia d’impalpabili frammenti di ghiaccio che le si attaccavano ai capelli, facendoli brillare nella luce fioca.
La macchia finì dopo poche centinaia di metri e lei si ritrovò in cima a una ripida scogliera, sotto le mille forme e sfumature dell’aurora, annaspando alla ricerca d’ossigeno. Chiuse gli occhi e si lasciò sfiorare dai riflessi rossi e verdi, le sembrava quasi che lui la stesse accarezzando, che fossero di nuovo assieme. A fatica riaprì le palpebre, e tutto il calore appena accumulato si dissolse non appena si accorse che lui non c’era. Allungò un braccio al cielo, cercando disperatamente di afferrare gli archi aurorali, cercando disperatamente la sua mano ma nulla le arrivò, se non un freddo infinito. Sconsolata, si avvicinò al precipizio, per guardare negli occhi quel mare crudele che le aveva strappato l’anima, per renderlo consapevole della sua colpa, eppure davanti a lei non c’era l’oceano, ma uno splendido, distorto riflesso dell’aurora. In qualche modo si sentì rincuorata da quell’immagine: forse non avrebbe mai raggiunto quelle splendide luci, ma al loro riflesso ci sarebbe arrivata. Sarebbe tornata da lui. Le sembrò quasi di sentirlo sussurrare «Anna».
Mentre cadeva, felice, con l’aurora negli occhi, la sua ultima parola fu in risposta a quell’immaginario mormorio: il suo nome, «Jorgen».
Poi il mare la inghiottì.

In quei luoghi, nel nord dell’Islanda, si racconta di una ragazza dai capelli del color delle rose, caduta in mare. Di come l’aurora sia verde per i suoi occhi e rossa per i suoi boccoli e di come il fischio che preannuncia l’arrivo di quei fasci luminosi, sia in realtà il suo urlo straziante per non essere riuscita a sfiorare ciò che aveva tanto desiderato.


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Ultimo aggiornamento: 16 gennaio 2010