Premio letterario SofiaPremio letterario SofiaPremio letterario Sofia
19ª edizione - (2016)

Io non mi specchio
di Alessia Cesana
Finalista

Un’immagine labile torna sottilmente a delinearsi prima di essere nuovamente trapassata da una pietra. I colori si spargono, si dividono, si allungano, come un fuoco d’artificio, per poi ricongiungersi, ristabilire i loro confini con una pace di cerchi concentrici. Una frazione di universo inghiottisce l’ennesima piccola roccia, per poi seppellirla inesorabilmente nel punto più profondo del piccolo lago e infine avvolgerla nelle sue calde tenebre. La sua figura si plasma ancora, ma risulta sempre sbiadita, fragile, vuota. Quante volte lei aveva già toccato il fondo. Quante volte avrebbe voluto davvero imitare quei sassi, per poi non risalire mai più. Quante volte ha pensato di lasciarsi scivolare giù dal ponte per essere abbracciata dalle acque. Non aveva mai imparato a nuotare, ma le ninfee si sarebbero dolcemente avvicinate per sostenerla. Per circondarla. Per consolarla. Non avrebbe lottato. Nessun grido. Nessuna disperazione. Tutti l’avrebbero scambiato per una fatalità. Una sventura. Una maledizione. E lei, bella come non mai, composta nel delirio, densa nella trasparenza e delicata all’inverosimile, sarebbe rimasta immobile per essere contemplata. Avrebbe esalato l’ultimo respiro intriso di sofferenza e sarebbe diventata leggera. La sua anima triste avrebbe sfumato le colorate magnolie del giardino e avrebbe donato nuova esistenza al romantico salice piangente che accarezza le margherite. Nelle giornate ventose, i petali di ciliegio avrebbero avuto un profumo migliore e il loro sciame si sarebbe adagiato delicatamente sullo specchio d’acqua come tante prime ballerine dopo l’ultimo atto della Morte del cigno. Il cielo avrebbe avuto un occhio luminoso in più. Le ninfee sarebbero state più splendenti, innalzate a una nuova luce.
L’unico motivo per cui non l’aveva ancora fatto, era la piccola energia che cresceva dentro di lei. Luminosa. Gioiosa. Minuscola. Salvifica. Simbolo che non era tutto perduto. Che si poteva ricominciare. Che la vita è bella. Inconsciamente agognata, la vita si era instillata come una benedizione nel suo ventre. Stava sbocciando preziosamente. Avrebbe risollevato un amore stanco, affossato. Un amore astemio in coma etilico per l’infelicità.
Aborto spontaneo. Al quarto mese. Si era spenta la sua piccola, ma matura virtù. Insieme a lei, aveva sepolto anche la speranza. Lui aveva fallito un flebile tentativo di farle forza, ma probabilmente lui era già morto da tempo. Poi era partito per consegnare uno dei suoi dipinti. Non è più tornato. Forse era saltato su un altro treno. O forse sotto. Il risultato è che per troppi mesi era evaporato come acqua di mare al sole. E ora è rimasto il sale. Brucia. Ma la verità è che lui era già lontano da molto prima, anche se non fisicamente.
Da quell’evento tragico lei aveva cominciato a ricapitolare la sua realtà, la sua esistenza, ma l’epilogo non era stato fiabesco. Aveva fatto i conti con il precedente matrimonio, con i figli avuti, con gli obiettivi raggiunti: una serie di mancanze, un giro dell’oca di sbagli e fallimenti. Aveva riconosciuto di essere stata una moglie imperfetta, di un uomo che non aveva amato fino in fondo. Alla sua misera morte, aveva sposato il suo amante, nonché fidato amico del vecchio marito. E da allora si era instancabilmente dedicata a lui ogni momento. Gli hai consacrato ogni suo respiro. Per poi accorgersi che forse lui non l’amava quanto lei faceva. È come un insetto che spreca la sua vita a sbattere contro il vetro di una lampada e, quando finalmente supera la barriera invisibile, muore carbonizzato. Lei aveva percepito che la vita le stava sfuggendo dalle vene, che il corpo non le apparteneva più, che la bellezza si stava consumando a favore di qualche malattia: anche il cielo stava diventando troppo pesante. L’amarezza della solitudine si vive nel momento in cui l’integrità del tuo amore si polverizza: condividere la propria anima significa esporsi alla vulnerabilità.
Danzando in un canto struggente, le carte di quel castello miseramente sgretolato, si adagiano leggere e silenziose su uno spirito impreparato ad accoglierle, che involontariamente si accartoccia sotto il peso agghiacciante di ogni singola tessera piumata, come se fosse stato sorpreso da dei fendenti.
Ha provato ad andare avanti, a essere forte, a farlo almeno per gli altri figli. E sembrava addirittura che ci stesse riuscendo. Ma lui non c’è più. E lei è sola con la sua nostalgia. La realtà è che si era illusa. Una autentica allucinazione di poter sopravvivere senza di lui. Un miraggio. Vano, inutile. Dietro il sorriso c’erano i mostri di chi si tiene tutto per sé, consapevole che nessuno possa capire, e cerca di auto convincersi che vada tutto bene. Invece non sa fare altro che scrutare con sguardo perso il laghetto, con i piedi penzolanti dal ponte giapponese. Immersa nella malinconia, annegando nei ricordi.
Forse il dolore fa impazzire le persone. Nessuna cura può riempire certi vuoti, nessuna medicina ha effetto. Un cuore dolorante non smette di sanguinare con un cerotto. La fiducia persa non si cauterizza con dei punti di sutura. I sogni infranti non si possono ricucire assieme. E tutti i segni rimangono visibili. A fior di pelle. Pronti a riaprirsi al prossimo impatto. C’è solo chi sa coprirli meglio. Si è come dei vasi: più crepe si hanno, più fragili si è. L’ennesima grande perdita ha frantumato il suo vaso, un tempo variopinto. E ora basta lottare, forse questa vita non le appartiene. Forse non più.
Un tuffo, una liberazione.
Braccia conserte, volto sereno, capelli sciolti. Questa è la scena che viene descritta al marito Claude, al suo ritorno. Non l’aveva abbandonata. Una lunga malattia l’aveva immobilizzato lontano da casa, ospitato dalla famiglia del commissionante del dipinto. Il morbo fortemente debilitante gli aveva impedito di avvertire la moglie: le parole morivano in gola e le mani, morse dalla piaga, non erano in grado di vergare una lettera per l’amata.
Da allora, Monet dipinse quasi 250 quadri rappresentati le adorate ninfee. In fondo, da quando era tornato gli sembravano meravigliosamente più belle.


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Ultimo aggiornamento: 16 gennaio 2010