Un’avventura in due dimensioni
Se mai vi fosse capitato un viaggio lungo in un luogo lontano avrete visto molti siti archeologici, monumenti dedicati a persone famose e tanti negozi di souvenir, ma questo viaggio è niente in confronto a ciò che vi racconterò.
Mi chiamo Spyro Cito, ho diciotto anni e amo molto la fantasia e le lingue, soprattutto quelle morte; spesso ho un atteggiamento protettivo nei confronti delle persone, specialmente delle donne per via della pessima reputazione che noi uomini abbiamo su di esse.
Atre volte mi arrabbio quando qualcuno aggredisce una persona indifesa o una donna, soprattutto la seconda; non sopporto quando qualcuno pensa che la fantasia sia una roba da bambini, anche se ci sono tanti adulti che si comportano da bambini.
Amo il basket e il calcio, ma non faccio molto sport; preferisco stare per conto mio e non esco molto perché preferisco rimanere tranquillo.
Abito con mio padre nella città di Torino, più precisamente in un appartamento di corso Agnelli, di fronte allo stadio Comunale; mio padre è un tipo calmo e si arrabbia raramente, ama il genere fantascientifico e lavora come contract manager in un’azienda tecnologica, come mi piace definirla.
All’inizio non andavo a scuola perché in quella città non riuscivo a trovare un liceo linguistico adatto a me, ma un giorno mio padre riuscì a trovarmi una scuola privata a Firenze.
Ero triste per la distanza tra le due città, ma mio padre mi promise che ogni Sabato sarebbe venuto a farmi visita.
Cinque giorni dopo presi il treno per Firenze, giungendo poi alla stazione verso il pomeriggio e, arrivato, percorsi la strada per la scuola, da solo, a piedi.
Dopo mezz’ora di escursione giunsi alla scuola privata proposta da mio padre e mi diressi verso l’ufficio del preside… mi correggo, della preside.
Giunto a destinazione mi presentai in modo garbato davanti alla preside raccontandole tutte le mie qualità; successivamente la preside mi guidò alla mia camera; era abitata da un giovane ragazzo di diciassette anni, capelli neri, occhi azzurri e corporatura magra.
Si chiamava Enzo e amava molto la fantascienza, come mio padre del resto; egli stava per conto suo, ma c’era un gruppetto di ragazze che lo disturbavano continuamente.
Come ho detto prima, io sono protettivo con le donne, ma quando si mettono a fare le oche a volte cerco di risolvere la questione, ovviamente con tutta la calma possibile, altre volte mi arrabbio quando esse dicono qualcosa di sgradevole nei mei confronti.
Usciti fuori, quel gruppetto venne a disturbarci e il capo, una ragazzina sui sedici anni con i capelli lunghi color castano chiaro e occhi verdi smeraldo, venne al centro.
«Guarda guarda chi si vede! — disse la ragazza con tono vanitoso — tu dovresti essere il nuovo ragazzo. Piacere, Cassandra. Credo che diventeremo ottimi amici».
«No, non credo — dissi con tono calmo ma allo stesso tempo furioso — non sopporto la gente vanitosa e che critica; io sono un tipo molto fantasioso e riservato, perciò se hai delle critiche nei miei confronti ti consiglio di tenerteli. Piacere, Spyro Cito».
Detto questo, Cassandra rimase immobile mentre io e Enzo tornammo dentro l’edificio.
«Sei stato grande — disse Enzo con un sorriso stampato sulle labbra — nessun ragazzo riesce a resistere alla bellezza di Cassandra; come hai fatto?».
E io risposi: «Elementare Enzo, basta avere autocontrollo, autorità, ma soprattutto resistenza».
«Ti ringrazio di avermi protetto» disse infine.
Da quel momento io e Enzo diventammo amici per la pelle.
Enzo mi raccontò com’era strutturata la scuola: aveva molte aule di laboratorio di qualsiasi materia, c’era anche un laboratorio di buone maniere (assurdo) e infine mi portò nel cortile.
Era un comune cortile dove potevi anche fare botanica e studiare tranquillamente sotto al sole.
«Tranquillamente eh? Con quelle ragazze che ti ronzano intorno mi sembra difficile studiare tranquillamente».
Durante il tour notai che molti studenti portavano la divisa della scuola: una maglia a maniche lunghe bianche con lo stemma di Firenze viola e un paio di pantaloni neri.
Dato che non avevo la divisa, domandai a Enzo come mai e lui rispose che era situata in un armadio in camera; tornati alla camera e messa la divisa, tornammo a fare il nostro tour.
Devo ammetterlo, quella scuola non era affatto male, a parte quel gruppetto di oche che ogni volta prendeva di mira il mio povero amico, ma io ero sempre al suo fianco ad aiutarlo; un giorno ci fu qualcosa di straordinario, qualcosa che avrebbe cambiato la mia vita per sempre.
Era una giornata di sole, il cielo era azzurro e io leggevo tranquillamente un libro fantasy, quando a un tratto il famoso gruppetto cominciò a dare fastidio al mio amico Enzo; cominciavo a detestare così tanto quella ragazzina che decisi di abbandonare la mia lettura e dirle di smetterla, ma poi il mio sguardo si spostò su una ragazzina di sedici anni, vestita con dei vestiti color argento e un cappellino alla francese sempre d’argento.
Ella era seduta tranquillamente su una panchina, ma un libro di Enzo le cadde davanti ed ella lo raccolse.
«E questa da dov’è saltata fuori?» chiese Cassandra guardando la ragazza d’argento dall’alto in basso.
«Non lo sai che Halloween è passato da due mesi?» disse poi una delle amiche di Cassandra, prima che il gruppo si dileguasse.
Dopo aver raccolto e restituito il libro a Enzo, una donna portò via la ragazza d’argento, ma prima che le due entrassero dentro lei mi guardò con curiosità; successivamente io e Enzo tornammo nella nostra stanza e ripensai a quella ragazza d’argento: aveva i capelli neri come la notte, gli occhi azzurri intenso come l’oceano più profondo e il suo corpo era perfetto che non riesco a trovare un aggettivo adatto.
Bussarono alla porta.
Io e Enzo ci guardammo domandandoci chi fosse; alla fine decisi di aprire la porta e scoprii che era semplicemente la preside; mi chiese un favore: «Potresti portare i bagagli della nuova arrivata nella sua stanza?».
«Certamente, ma perché lo chiede proprio a me? Non per lamentarmi: è solo che ci sono tanti studenti che possono farlo» dissi con un certo dubbio.
E lei mi rispose: «Diciamo che tu riesci a dare un benvenuto molto originale ai nuovi arrivati, soprattutto alle ragazze» e alla fine la preside mi portò nel suo ufficio dove si trovavano i bagagli.
Ero piuttosto stupito che la preside mi chiedesse di accogliere una nuova persona, di solito alcuni alunni mi chiedono qualcosa sul campo letterario, ma mai favori di questo tipo.
Dopo aver preso i bagagli giunsi nella camera della nuova arrivata e vidi la ragazza d’argento: “Dunque è lei la nuova arrivata” pensai.
Successivamente la preside mi disse di smistare i bagagli della ragazza d’argento e io accettai di buon grado; mi misi subito al lavoro quando sentii quell’irritante vocina di Cassandra avvicinarsi sempre di più e quando arrivò, vide la ragazza d’argento.
«Guarda un po’ chi c’è — disse Cassandra con il suo solito tono — questa deve essere la tua nuova compagna di stanza, Serena».
Poi si rivolse alla ragazza d’argento: «Credo proprio che diventeremo ottime amiche».
“Io no” pensai subito dopo, mentre Cassandra continuò: «O forse no».
Successivamente Cassandra e Serena, una delle sue amiche, si dileguarono dalla stanza della ragazza d’argento mentre io continuavo il mio lavoro.
A un certo punto la ragazza d’argento notò la mia presenza e mi domandò con tono gentile: «Come ti chiami?» e io le risposi con una punta di timidezza: «Spyro Cito, so che è un nome strano, ma a me piace».
Lei fece una risatina dolce: «Non è affatto male come nome».
Aveva uno sguardo timido, ma allo stesso tempo meravigliato.
«Tu invece? Qual è il tuo nome?» domandai con sicurezza e lei rispose: «Io sono Mia».
«Che nome meraviglioso» dissi poi con un sorriso beffardo.
Lo ammetto, quella ragazza era così affascinante che m’innamorai subito di lei.
In seguito le chiesi con cortesia se potevo fare altro e Mia domandò: «Mi faresti compagnia? Non conosco nessuno qui a parte te» e io accettai di buon grado la sua richiesta.
Ci mettemmo seduti sul letto a chiacchierare per un bel po’: appresi con tristezza che i genitori di Mia erano morti in un incidente, ma compresi anche le capacità linguistiche che Mia aveva sviluppato durante i viaggi con i suoi genitori ed era esperta anche nel campo letterario.
Finito il suo racconto, le raccontai di me e anche di Torino, soprattutto dei tre musei nazionali più importanti.
«Caspita! — esclamò Mia — sai molte cose su Torino».
Continuammo a chiacchierare fino a che Mia prese un pacco coperto da carta trasparente e legato con un nastro rosa.
Quando lo aprì notammo che era un libro rosso con una scritta in oro, la quale diceva: La storia di Centopoli.
Mia, con enorme sorpresa, disse : «Me lo leggeva mio padre prima di andare a dormire», ma poi il suo sguardo si spostò su di un oggetto cilindrico d’oro con una strana pietra al centro.
Mia mise il cilindro sul braccio sinistro e compresi che quel cilindro era un bracciale (che stupido!); successivamente notai un bigliettino attaccato e lo mostrai a Mia.
«Io sono Mia» disse leggendo il bigliettino.
Successivamente la ragazza d’argento premette la pietra del bracciale come se fosse un pulsante e ripeté le parole del bigliettino mentre io dissi con sarcasmo il mio nome.
Quella mossa fu l’errore più fatale della mia vita.
Dopo che ebbi detto il mio nome due fasci di luce ci circondarono e al posto della camera di Mia mi trovai in un luogo d’oro; all’improvviso sentii la gravità aumentare fino a farmi precipitare a terra.
Svenni per qualche minuto.
Rivenuto, mi rimisi in piedi… o forse dovrei dire a quattro zampe; vidi come la mia pelle fosse cambiata da bianca a viola e poi non era neanche pelle, bensì squama: «Che cosa mi è successo?» domandai incredulo.
Successivamente sollevai lo sguardo e vidi una cosa epica: mi ritrovai in un bosco con strani alberi circolari sulla chioma e strane dune.
«Dove sono?» domandai sentendo la paura invadere la mia coscienza.
Alla fine andai in un ruscello vicino a vedere il mio aspetto: ero diventato un drago, con lunghe corna, lunghe ali con la membrana arancione e una lunga e sottile coda, che finiva con un fuoco arancione.
Ero così confuso di dove fossi e in cosa fossi mutato che la paura invase la mia coscienza offuscando la ragione; all’improvviso sentii un grido e mi nascosi il più velocemente possibile, poi vidi una cosa strana, una cosa che fece cambiare il mio giudizio su quel posto: vidi un esercito di uomini dalla pelle bianca con capelli e vestiti d’oro che stavano attaccando una donna.
La rabbia cominciò a dominare la mia coscienza, sentii bruciare lo stomaco e senza pensarci partii alla carica; cominciai a dare zampate a destra e a manca, ma sentii un dolore allucinante alla coscia sinistra.
Vidi una donna bianca con i vestiti d’oro e i capelli neri che teneva una lancia alta mezzo metro.
L’asta era stretta e arancione, la lama era curva e minacciosa simile a una sciabola.
«E tu chi sei?» disse la donna tenendo la lancia contro di me e io risposi: «Mi chiamo Spyro Cito, qual è il tuo?» e lei rispose con la crudeltà accesa nei suoi occhi: «Non sei tenuto a sapere il mio nome, io sono la serva del male, colei che domina su questa terra, la terra degli elfi alati».
A quel punto mi salì così tanta rabbia che evocai un fascio di luce viola, che scaraventò i nemici in aria; finito il trambusto cercai di liberare la donna; era legata a un tronco.
Liberata notai che era un’elfa alata vestita di rosa e con i capelli rosa; era così bella da togliere il fiato persino a un drago come me.
«Come ti chiami?» dissi all’elfa sentendo la testa pesante e lei rispose: «Mi chiamo Mia».
Da quel momento capii: il bracciale di Mia non era altro che una specie di chiave per aprire due dimensioni, ovvero la dimensione A (la nostra dimensione), e la dimensione Π ovvero la dimensione fantastica (siccome nella realtà gli elfi non esistono ho deciso di dare questo nome alla dimensione).
Durante l’anno io e Mia affrontammo diverse avventure, capii che quel libro parlava degli elfi e della città di Centopoli, governata da una strega malvagia che faceva appassire tutta la natura, ma durante il percorso incontrammo due elfi molto simpatici; il primo lo chiamai Fenice per la sua determinazione, mentre il secondo, che era una femmina, la chiamai Solaria, per la sua saggezza luminosa.
Come vi ho già detto, questo viaggio è stato molto diverso da quello che fate voi normalmente, e ciò che mi, anzi, ci è successo in quella terra è un’altra storia.
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