Alle ali dell’alba
«Luce» urlò sua madre dal portone di casa.
Luce non stava ascoltando, guardava il tramonto lontano, troppo lontano da lei.
Sognava un giorno di poterlo toccare, un giorno non ancora deciso.
La città di La Tuille, non contava molti abitanti e a Luce questo paesino sperduto piaceva, era intimo appartato, unico. C’erano voluti 15 anni della sua vita per abituarsi a quella monotonia, a quelle persone.
Tanto, troppo tempo per sua madre, socievole e amica di tutti; Luce però non l’ascoltava mai assolta nei suoi pensieri.
Faceva freddo quella sera ma sembrava che Luce non sentisse quella brezza che entrava nei polmoni gelando ogni singola parte del corpo.
«Luce» le ripeté sua madre disturbata, ma non troppo, dal disinteresse della figlia.
Lo sapeva che adorava il calar del sole e che un solo tramonto mancato, qualcosa di cui non puoi fare a meno, sarebbe stata la sua fine.
La fanciulla si svegliò da quel sonno, si girò verso il portone e lo guardò per un instante; poi prese a camminare a passi lenti e ritmici verso quella meta.
A tavola suo padre iniziò a parlare con sua moglie ma Luce non ascoltava, seduta, composta, continuando a mangiare la sua razione di pane e marmellata.
A un certo punto il padre la guardò sorridendo, poi prese un lungo respiro e disse: «Luce, noi abbiamo discusso tanto sui tuoi studi e la tua professoressa ci ha detto che sei portata per l’arte…».
Fece una lunga pausa, poi continuò: «Noi vorremmo mandarti a Parigi a studiare al National Artist School».
La figlia li guardò dolcemente, si alzo e andò in camera sua chiudendo la porta a chiave.
Nella sua testa mille pensieri si stavano scontrando senza che trasparissero le sue sensazioni, si avvicinò alla piccola finestra, salutò il tramonto, poi preparò la sua valigia e uscì.
Se ne andò via dicendo addio al suo piccolo mondo.
Sapeva che non sarebbe ritornata mai più, provava odio per suoi genitori pur sapendo che la loro scelta era stata condizionata dalle valutazioni della professoressa.
Le strade da percorrere erano tante ma solo una era quella scelta per lei.
Camminava piano, con calma, quasi bloccata dal vento forte e impetuoso.
Si sentiva ingannata ma questo la spronava ad andare avanti.
Ci vollero tre ore di cammino per arrivare alla stazione e le scarpe rosa si erano scolorite e rotte in alcuni punti.
Comprò il biglietto ed entrò in quella che luce ignorava essere un treno.
Si sedette composta e chiese ad alcuni passeggeri dove dovesse scendere per andare alla National Artist School; nessuno le rispose tranne un uomo sulla trentina.
Era davanti a lei, con il cappotto marrone chiaro di pelle con i baffi che gli contornava la bocca.
«Mi scusi — chiese Luce — dove… dovrei scendere… per andare alla National Artist School?».
L’uomo gentile come lo soprannominò Luce, sorrise e le rispose che la scuola si trovava a dieci fermate; poi cominciò a parlare con lei, come se si conoscessero da sempre, di come questa città fosse bella e stranamente seria, della vita parigina insomma.
Luce, al contrario, si limitava ad annuire o a sorridere, non lo stava ascoltando, era immersa nei suoi pensieri, ben più complicati.
Alla decima fermata Luce scese molto molto lentamente quasi rischiando di rimanere chiusa dentro.
Le strade di Parigi erano aperte, molto aperte, troppo larghe per Luce che ignorava il motivo di tanta grandezza.
Ci vollero cinque persone perché trovasse la via della sua scuola.
Nessuno l’aveva avvisata sulla enormità.
Non osò entrare finché sempre l’uomo della metro non la spronò a farlo, ma Luce non entrò ugualmente ma parlò per la prima volta di sé, di quello che pensava.
«Io… io credo di non voler entrare, questo mondo non è fatto per me, io credo di voler stare con il mio tramonto».
Se ne andò via correndo con un ritmo soave e delicato che l’uomo gentile ricordò per tutta la vita: «Tap… tap… tap… …tap».
Mentre se ne andava la fanciulla parlò all’uomo dicendogli: «Grazie per tutto, perché non c’è cosa più bella di avere nuovi amici».
Molte persone giurarono di averla vista con la sua valigia.
Luce camminò per giorni e giorni finché non arrivò in una spiaggia bellissima.
La sabbia era dorata , il suo viso in quel momento si illuminò.
Camminava lentamente verso il mare quasi a volersi gustare appieno quel momento magico.
Non si fermò nemmeno quando trovò l’acqua.
«Sto arrivando tramonto, aspettami».
Così morì nella sua felicità Luce.
Laura finì il discorso in cerca di qualcuno nella sala di quella grande aula prenotata per l’occasione ma Luce se ne era andata…
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