Premio letterario SofiaPremio letterario SofiaPremio letterario Sofia
18ª edizione - (2015)

Ad alta voce

«Chi accumula libri accumula desideri e chi ha molti desideri è molto giovane, anche a ottant’anni»

I miei ricordi non ho mai potuto vederli. Come mai ho visto albeggiare sulla riva del mare, mano nella mano della donna che ho amato, con gli occhi che sembrano luce e le labbra che sanno di sale, nello stesso modo in cui non ho mai visto un colore, i fuochi d’artificio a Capodanno o le piccole mani di mia figlia chiudersi tenere nelle mie. Qualcuno dice che sono fortunato: ho la fortuna di non aver mai visto la guerra, la violenza, il dolore e tutte quelle immagini che, mi dicono, ogni sera, ogni giorno vengono tramandate dai telegiornali che ho solo potuto ascoltare.
Non sanno che ascoltare senza poter vedere è ancora più doloroso, perché la nostra immaginazione crea fantasmi che forse non esistono, se non nella nostra mente; e la mente di chi non ha gli occhi per vedere è molto più libera di immaginare.
Non sanno che non ho mai visto la gioia sui volti non conoscendo la disperazione, se non per quella che spesso mi ha colto, dovendo immaginare la realtà con le orecchie, con i polpastrelli, con il fiuto che si è fatto via via con il tempo acuto come quello di un animale vecchio, che deve aguzzare i sensi restanti per sfuggire ai pericoli nascosti.
Non ho mai vissuto la notte come l’altra faccia del giorno perché per me è sempre stata notte. Non ho mai potuto fare quello che gli altri potevano fare e, mentre loro andavano a ballare, mi ubriacavo di malinconia e nella buia solitudine sopportavo il peso delle mie stesse lacrime, calde e leggere, da questi occhi vuoti.
È stata la mia solitudine, l’abitudine a immaginare ciò che altri potevano vedere, che mi ha fatto innamorare dei libri. Negli anni ho capito che i libri non si comprano. Sono loro che comprano noi: lo stesso libro letto un mese, un anno fa, ci suggerisce cose che oggi hanno un altro significato.
Sono i libri che hanno il potere di attirarci e farsi leggere quando siamo pronti a capire ciò che ognuno di essi, anche il più banale, racchiude. Le parole scritte lanciano messaggi che possono essere interpretati solo da chi è pronto a lasciarsi istruire sulla vita che scorre, a volte nostro malgrado.
Mi sono innamorato di loro piano piano: li ho sentiti, li ho annusati, li ho accarezzati. La prima volta che ho toccato un libro avevo undici anni, adesso ne ho ottantotto e posso ancora avvertire sulla punta delle dita l’inchiostro in rilievo sulla copertina, il profumo che ho percepito appoggiando il naso sulle pagine, chiudendo gli occhi anche se non faceva differenza.
Ero avvantaggiato, non avevo, come invece tutti gli altri, i vincoli dell’immaginazione limitati dalla realtà: tutto ciò che mi facevo leggere fluiva tra i miei pensieri, si accavallava a loro e li trascinava dove mai avrei pensato di arrivare. Le storie, le trame mi hanno avvinto, mi hanno fatto riflettere, sognare, emozionare, facendomi sentire vivo.
Fu in un pomeriggio solitario, anche troppo solo per farmi compagnia, protetto dall’unica luce calda che poteva far sentire i miei occhi vivi, che Lei bussò alla mia porta senza una ragione.
Entrò senza fare troppi complimenti, si sedette sulla poltrona di velluto della mia stanza e cominciò a leggere. Tornò tutti i pomeriggi, senza che io avessi chiesto nulla, e ogni volta portava una storia nuova, e ogni giorno avrei voluto, anche solo per un istante, poterla vedere ridere. Eppure già conoscevo il suo viso a memoria.
Una voce tanto gentile poteva provenire solo da una persona minuta, garbata, e i suoi occhi, che come mi aveva detto Lei erano verdi, dovevano essere proprio del verde più dolce che si potesse mai vedere.
So che le persone si dispiacciono per me, per la mia situazione: secondo loro io non ho vissuto.
Eppure io c’ero quando Romeo salutava Giulietta al canto dell’allodola, dopo averla amata tutta la notte, quando Gatsby rivedeva Daisy per la prima volta; ero con D’Artagnan mentre scopriva Milady, inviata ad assassinare il duca di Buckingham, o con Amleto, nel momento in cui accorreva alla bara di Ofelia, e ascoltavo il profumo mielato di Elena Muti, mentre si abbandonava tra le braccia dischiuse del suo Andrea.
Come possono dire che non ho potuto godermi la vita, se quando morirò avrò vissuto mille esistenze, e loro solo una?
Le storie sono state il mio primo amore, in esse mi rifugiavo quando la pesantezza del mondo si faceva così greve da schiacciarmi i pensieri e tapparmi le orecchie. Nei momenti in cui ero solo e avevo voglia di scappare da quella realtà bugiarda che non mi apparteneva, ascoltavo qualcuno leggere per me. I libri mi facevano vedere ciò che altri non possono neppure immaginare, ma, soprattutto, mi hanno permesso di guardare dentro di me e fornirmi di volta in volta un’interpretazione dei miei sentimenti.
Leggevo per regalarmi ciò che la vita mi negava e perché forse, anche se non sapevo come erano fatte, avrei imparato a leggere anche le persone.


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Ultimo aggiornamento: 16 gennaio 2010