Premio letterario SofiaPremio letterario SofiaPremio letterario Sofia
18ª edizione - (2015)

Un’esperienza di lettura

Alessandro Cesare Clementi insegna letteratura greca al prestigioso liceo “I. Kant” di Roma.
Il suo lavoro, per lui, è tutto. Ha rinunciato alla famiglia, agli amici, a una compagna, solo per dedicarsi con la massima serietà e impegno alla preparazione dei suoi ragazzi. A casa, sulla sua scrivania, montagne di compiti da correggere e tesine da controllare. Un’attività che non lascia un attimo di respiro, costa tanta fatica ma regala anche tante soddisfazioni: nei suoi cinquant’anni d’insegnamento ha visto i suoi allievi ormai cresciuti raggiungere i vertici del successo, e si compiace al pensiero che, se sono arrivati fin là, il merito è anche suo.
È un professore esigente, lui. Ogni volta che entra in classe cala un silenzio di tomba, persino le mosche smettono di ronzare; allora lui si trascina fino alla cattedra, portando con sé l’immancabile pila di libri, apre il registro, segna metodicamente le assenze, e inizia subito con una bella interrogazione sulla lezione precedente, ovviamente a estrazione casuale: non sia mai che qualcuno venga colto impreparato! Anche gli studenti meno diligenti sanno che con lui c’è poco da scherzare, se non studi ti mette due, e un due non è mica facile da recuperare, no?
È un tipo ombroso, solitario. Per riuscire a strappargli le poche notizie che mi ha dato sul suo conto ho dovuto fare molta fatica; finché non sono riuscita a farmi invitare a casa sua affinché “il miglior professore del nostro istituto” desse un’occhiata alla mia tesina. Ho scoperto che è suscettibile alle lusinghe, specie se queste ultime gli vengono rivolte dalla prima della classe; e così a furia di complimenti spudorati ho raccolto informazioni sulla sua vita. Perché? Beh… mi incuriosisce. Una persona dotata di una straordinaria cultura poteva chiedere e ottenere tanto dalla vita; perché insegna?
Quando l’ho scoperto, non ci volevo credere.
Specifico subito che la mia tesina è uno studio biografico della vita di Alessandro Magno.
È un personaggio che mi ha sempre affascinato: me lo immagino alto, aitante, biondo, insomma un bronzo di Riace vivente mentre cavalca con i capelli al vento alla volta dell’Asia. Che ci vuoi fare, una ragazza non può rimanere indifferente di fronte a una fantasia del genere. Il problema è che per il mio elaborato mi sono basata solamente su fonti contemporanee, studi fatti da storici interessati soprattutto all’Alessandro guerriero. Quando gli portai il mio lavoro, il professore se ne accorse subito.
«Manca tutta l’infanzia.»
Mi strinsi nelle spalle. «Non mi sembrava importante…»
«Non ti sembrava importante? È fondamentale! Come puoi pensare di scrivere una biografia sul più importante condottiero greco mai esistito senza partire dall’infanzia, e cosa ancora più grave, senza parlare della sua formazione? È come parlare di Platone senza conoscere Socrate!».
Chiuse il fascicolo, sospirando. «Ti ricordi Plutarco?»
«Certo!». Come dimenticarlo? Non l’avevo studiato affatto, perché ero stata assente e non sapevo andasse portato; infatti nell’ultima interrogazione ero andata piuttosto male, avevo preso un modestissimo sette. Ma dubito che un altro, nelle stesse condizioni, avrebbe preso più di cinque. Dopotutto, essere la migliore ha i suoi privilegi!
«Allora sai che ha scritto una biografia di Alessandro. È molto generica, e la verosimiglianza lascia molto a desiderare; però è un’autorevole fonte classica, e anche uno dei miei libri preferiti. E cosa ancora più importante, non sottovaluta gli anni dell’infanzia e dell’adolescenza. Dovrai leggerlo, ma ti assicuro che sfogliarlo è un piacere. Quando avevo la tua età, l’avevo già finito tre volte. Scrive molto bene…».
Ma io già non lo stavo più ascoltando. Mentre parlava ero rimasta stupita dal tono quasi malinconico con cui parlava di quella biografia. Era la prima volta che la sua voce assumeva un’inflessione quasi umana, addolcita dai ricordi. Sono la persona che gli si è avvicinata di più nella mia classe, tant’è che solo a me dà del tu. Eppure neanch’io l’avevo mai sentito così coinvolto da qualcosa. Perché quella reazione? Mentre mi riassumeva il contenuto del libro, la curiosità mi rodeva da dentro. Alla fine non resistetti più e lo fermai.
«Mi scusi se la interrompo professore ma… come mai quest’opera di Plutarco la coinvolge così tanto? Cosa ha di così speciale?».
L’avevo colto impreparato, e anche interrotto bruscamente. Mi guardò male.
«Non ti riguarda.»
«Ma professore! Voglio solamente capire la grandezza dell’autore che lei sembra apprezzare molto! Se una mente brillante come la sua ne è rimasta colpita, chissà quale effetto potrebbe avere su di me!». Presi fiato. «La prego, sia gentile! Mi spieghi cosa succede al mio docente preferito quando parla di quel libro.».
Ancora oggi mi stupisco di quanto fosse sensibile alle adulazioni. Visibilmente lusingato, fece finta di pensarci ancora un momento. «Questo non l’ho mai detto a nessuno.». Poi, con l’aria di chi sta per fare un grosso sacrificio, iniziò a raccontare.
«Quando ero giovane il mio carattere era diverso da quello di adesso. Oh, non ti aspettare che fossi molto più vivace ed espansivo di quanto non sia oggi; ma avevo ancora degli amici, e passavo il tempo uscendo con loro. A scuola non andavo benissimo, ma la cosa non mi interessava più di tanto. I miei genitori erano delusi, si aspettavano che il loro figliolo, con un nome così altisonante, fosse destinato a diventare qualcuno. Mi hanno sempre fatto frequentare le migliori scuole private di Roma, dalle elementari alle superiori, ma i risultati erano mediocri. Così, ormai diciottenne, avevano finito per accettare il fatto che loro figlio non fosse niente di speciale. E io, contento che avessero cessato di infastidirmi, continuai a girare al largo dagli studi, accontentandomi di quel tanto che bastava per raggiungere almeno la sufficienza a fine anno. Raramente leggevo, e la maggior parte delle volte sfogliavo solamente qualche pagina prima di riporre tutto nello scaffale della mia stanza. Di fronte a me non vedevo un futuro, ma la cosa non mi preoccupava: vivevo nel presente, e tanto bastava. Nessun onere, nessun onore. Andava bene così.
Un giorno però tutto questo è cambiato. A scuola il mio professore di greco — guarda tu che casualità! — ci assegnò un libro da leggere tra quelli scritti da Plutarco; e io scelsi Vite parallele di Alessandro e Cesare. D’altronde sono due tra i personaggi più celebri e affascinanti della Storia, quindi se proprio dovevo leggere qualcosa, che fosse interessante.
Iniziai a leggerlo quel pomeriggio. Stranamente, più leggevo e più la loro vita mi appassionava, vedevo il piccolo Alessandro crescere fino a diventare il re dell’Asia e il giovane Cesare farsi strada in politica e conquistare la Gallia e mi calavo nei loro panni e non volevo staccare gli occhi dal libro nemmeno per un secondo. Era la prima volta che mi succedeva una cosa del genere. Lo finii tre volte, e feci tardi. Quando mi sdraiai sul letto, ci misi molto tempo ad addormentarmi. Guardando il soffitto, vedevo Alessandro domare Bucefalo sotto lo sguardo stupefatto dei presenti. Ma soprattutto lo vedevo seduto davanti ad Aristotele, lo vedevo pendere dalle sue labbra, lo vedevo diventare più saggio e magnifico a ogni sua parola. E allora qualcosa in me cambiò. Davanti a quella visione capii cosa volevo fare nella vita: non diventare il moderno Alessandro, ma il moderno Aristotele; volevo che delle giovani menti si plasmassero di fronte a me e grazie a me diventassero davvero grandi. Ora sì, avevo un obiettivo. Iniziai a studiare seriamente e ottenni voti eccellenti; all’università intrapresi lettere antiche, e una volta laureato iniziai subito a insegnare. Ero, anzi sono, molto esigente; ma è solo esigendo il massimo che si ottengono i risultati migliori. E devo dire che, dopo cinquant’anni d’insegnamento, la mia fatica è stata ripagata. I miei studenti si sono sempre distinti in tutti gli ambiti non solo per la preparazione, ma anche per il loro carattere. Dopotutto ho scelto di insegnare greco proprio perché attraverso la lettura dei classici non solo si imparano molte cose, ma si cresce anche moralmente e caratterialmente, proprio come è successo a me leggendo Plutarco.».
Un lungo istante di silenzio calò tra noi. Stavo ancora pensando a cosa dire quando il professore mi sollevò da quella fatica riprendendo a parlare.
«Beh, questo è tutto quello che questo libro significa per me. Ora che hai soddisfatto la tua curiosità, prendi la tesina e vai a casa. Ricordati di apportare le modifiche, come ti ho consigliato.». Annuii. Preso il materiale, aprii la porta.
«Comunque — la sua voce mi fermò —tra tutti i miei allievi tu sei la più promettente. Se ti sto consigliando quel libro, è perché penso che sia possibile che anche tu ne riceva una rivelazione simile a quella che ho avuto io. Ricorda che io confido in te. Sento che sei destinata a grandi cose. Per me, sei tu il mio Alessandro.».
Confusa, uscii e chiusi la porta.

Ebbene, cara pagina di Word, ti ho scritto tutte quello che è successo per chiarirmi un attimo le idee. Il discorso del professor Clementi mi è sembrato molto onirico e strano, soprattutto perché è stato lui a pronunciarlo. Ancora stento a credere che quel libro possa aver cambiato a tal punto la sua vita. E se succedesse anche a me? A essere sincera, ho un po’ di paura: non voglio che la mia vita venga stravolta radicalmente di punto in bianco. Però mi fido di lui. Lui crede in me, dice che farò strada, che sarò qualcuno.
Il libro adesso è qui accanto a me. L’ho comprato oggi, sulla strada del ritorno da scuola. Non l’ho ancora aperto.
È buffo. Me lo immaginavo più voluminoso. Poche pagine, eppure quelle poche pagine sono state in grado di fare tanto per Alessandro Cesare Clementi.
Domani scoprirò se vale lo stesso per me.


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Ultimo aggiornamento: 16 gennaio 2010