Premio letterario SofiaPremio letterario SofiaPremio letterario Sofia
18ª edizione - (2015)

E tu dov’eri?

Il vento caldo mi sfiorava la pelle e si faceva strada tra le ciocche dei capelli schiarite dal sole, ultimo residuo di un’estate che volgeva inevitabilmente al termine. Ma nonostante l’incombenza angosciante dell’inizio della monotonia scolastica, che non lasciava spazio alla frivolezza estiva dei mesi precedenti, il clima che aleggiava nell’ultima settimana dell’oratorio estivo era ravvivato dai sorrisi innocenti dei bambini e dai loro occhi spalancati al mondo, ancora privi di corazze per difendersi dai colpi della vita.
Quella mattina io e la mia migliore amica eravamo d’accordo per vederci, dal momento che ci eravamo perse di vista per tutta la durata dell’estate. Le chiesi di venire all’oratorio perché io potessi stare fino all’ultimo con i bambini, e lei venne senza problemi.
Al suo squillo, che mi avvisava del suo arrivo, uscii fuori per incontrarla e quello che vidi mi tolse il respiro come la prima sigaretta. La mia migliore amica non c’era più: era vestita di ossa e pelle, il viso scavato nelle guance sembrava poter far sbilanciare tutto il corpo da un momento all’altro, retto da un collo troppo esile. L’abbracciai, sperando di essermi sbagliata, di aver visto male, ma quando sentii le sue scapole sporgenti tra le mie mani e le sue braccia esili che mi avvolgevano tremando per lo sforzo, la guardai negli occhi e le chiedi: «Annalisa, ma stai bene?».
Non era una domanda retorica, non era uno di quei «Come stai?» che butti nella conversazione per abitudine senza curarti di ascoltare la risposta. Stavo bussando alla sua anima e lei se ne accorse, e mi rispose: «…No».
Quando trovammo un momento di tranquillità per poter parlare, in una gelateria del centro, mi spiegò tutto nei dettagli e sembrava che fosse improvvisamente tornata la bambina entusiasta della vita che avevo conosciuto all’età di 6 anni, che mi chiedeva di giocare, che mi scriveva «ti voglio bene» su dei foglietti di carta strappata e mi teneva la mano stretta per non lasciarmi andare. Mi parlava di quello che le stava accadendo come si racconta la trama di un libro o di un film molto interessanti. Solo che non mi stava raccontando di come aveva scelto il vestito per la festa, ma di come, nel giro di tre mesi, aveva smesso di mangiare, perdendo più di 15 chili. Mi mostrò le vertebre sporgenti, quasi come fossero un trofeo, le mani più vicine alla morte che alla vita. Vidi i cerchi neri intorno agli occhi e i capelli radi e crespi che stava perdendo come succede ai malati di cancro.
La mia reazione fu naturale e spontanea: semplicemente le scoppiai a piangere davanti. Piansi perché ero terrorizzata, perché quella malattia si stava mangiando viva la mia migliore amica. Piansi per la paura, ma piansi soprattutto per una verità che mi tagliava lo stomaco come una lama rovente: io, in tre mesi, non mi ero accorta di niente.


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Ultimo aggiornamento: 16 gennaio 2010