Premio letterario SofiaPremio letterario SofiaPremio letterario Sofia
18ª edizione - (2015)

Ologrammi

Personaggi:
- Mattia (il pazzo)
- la Voce

22 novembre 1998, su una panchina di Central Park, New York. Ore 1.30 del mattino.

M: «Credi che Sofia arriverà?»
V: «Ma certo che arriverà, te l’ha promesso. Non ricordi? Stavate passeggiando per Wall Street, proprio l’altro ieri; quando le hai chiesto di incontrarvi a questa panchina per andare poi a cena insieme lei ha sorriso e ha risposto che le avrebbe fatto veramente piacere cenare con te.»
M: «Si, ma l’appuntamento era alle 19.30 e ora è l’una e mezza di notte, la stiamo aspettando da ore e…»
V: «Tu la stai aspettando da ore. Ricordati che io faccio compagnia solo ed esclusivamente a te. Gli altri non sanno della mia esistenza.»
M: «Ok, la sto aspettando da ore. Cosa devo fare? Andarmene a casa? Restare? Sto congelando e sta iniziando anche a piovere e non ho nemmeno l’ombrello!»
V: «Mattia, andiamo, hai trentacinque anni, una leggera pioggerella è sopportabile. Hai lasciato l’Italia da ormai un decennio per avventurarti nella giungla newyorkese, alla quale sopravvivi ogni giorno. Non dirmi che non resisti ad un po’ di pioggia, quando ogni giorni vieni investito da uragani di rumori assordanti e quando ogni notte vieni accecato da tempeste di luce artificiale.»
M: «Hai ragione.»

Mattia si alza dalla panchina per sgranchirsi le gambe intorpidite a causa della posizione scomoda. Nel frattempo, tira fuori l’accendino e un pacchetto di Lucky Strike rosse, sfila una sigaretta e la accende.

V: «Vedrai che arriverà, devi solo avere pazienza. Probabilmente si starà ancora truccando, o magari sta scegliendo il vestito. Sai come sono fatte le donne, se non si fanno aspettare almeno un’ora non sono soddisfatte.»
M: «Hai proprio ragione sai. Le donne sono incomprensibili. A dire il vero, tutto mi è incomprensibile: tu, io, New York, il New Jersey, gli Stati Uniti, fino ad arrivare al mondo intero. Non ci capisco proprio niente della vita.»
V: «Su che base dici questo?»
M: «Tutto mi sembra frutto della mia immaginazione. Le cose, le persone: mi sembrano costituite d’aria, di nulla. È come essere circondati da ologrammi ma al contempo anche da oggetti reali e non cogliere la differenza tra le due cose. Capita che io mi avvicini a qualcosa per sentirla sotto i miei polpastrelli, per percepirla oltre che con la vista e con l’udito anche con il tatto, ma la maggior parte delle volte, quando allungo la mano, questa si ritrova a cercare di stringere le dita intorno ad un’immagine, qualcosa che non si può toccare; tutto ciò è straziante.»
V: «E cosa provi quando ti accorgi che ciò a cui ti eri avvicinato con tanta fatica era solo un ologramma?»
M: «Provo delusione verso me stesso; mi sento stupido perché non sono stato in grado di distinguere uno scherzo della mente dalla realtà. Mi sento preso in giro da una parte di me stesso: è come se fossi stato io a volermi fare beffa della mia persona.»
V: «Ti capisco.»
M: «Come puoi capirmi? Tu non sei me, non hai la mia esperienza, non hai vissuto ciò che ho vissuto io in prima persona, sulla tua pelle, ammesso sempre che tu ce l’abbia. Tu mi fai solo da sottofondo musicale.»
V: «Il fatto che io non sia la tua persona, che io non ti incarni, non significa che io non possa capirti. Ti ricordo, nel caso in cui l’avessi dimenticato, che sono il tuo “sottofondo musicale” da quando gli altri bambini ti rubavano le caramelle dallo zaino mentre tu non guardavi, lasciandoti solo il pacchetto vuoto e la prospettiva di molte delle sberle che tua madre ti dava se facevi ciò che secondo lei non era opportuno fare, come mangiare un intero pacchetto di caramelle in mezza giornata. È per questo che so forse anche meglio di te come ti senti: esploro gli strati della tua mente praticamente da sempre; ho visto pensieri e ricordi che tu nemmeno immagini di avere.»

Mattia butta in terra la sigaretta ancora a metà e, scocciato, si siede nuovamente sulla panchina.

M: «Tante volte mi è stato detto di non parlarti.»
V: «Sì, ma molte più volte è stato grazie a me che hai raggiunto buoni risultati nella tua vita. Prendi per esempio Sofia: credi che senza i miei incoraggiamenti saresti riuscito a rivolgerle la parola quando vi siete casualmente incontrati a Wall Street per la prima volta, due giorni fa? È stato solo grazie a me che le hai parlato. Mi sembra che quel tuo medico ti abbia detto, oltre che di ignorarmi, di cercare di conoscere nuova gente, vera gente. È solo grazie a me se hai compiuto questo passo.»
M: «Devo ringraziarti, oltre che per questo, per la broncopolmonite che mi verrà a causa di questo freddo.»
V: «Non è rilevante quanto aspetti o dove aspetti. Ciò che realmente importa è chi aspetti; quando cenerai con Sofia mi ringrazierai, perché lei è una persona per cui vale la pena di aspettare.»
M: «Non credo che varrebbe la pena di aspettare nemmeno la regina d’Inghilterra per tutte queste ore.»
V: «Ore? Ma cosa vai dicendo? Stai aspettando Sofia da pochi minuti.»

Mattia immediatamente guarda l’orologio sul suo polso destro e intravede le lancette compiere un giro velocissimo, prima che si fermino per indicare le 19.35.
Accende poi il cellulare per confermare quello che ha visto, ma il piccolo schermo grigio indica le 8.30 del mattino.

M: «Cosa vuol dire? Prima che tu mi confondessi ero certo che fosse l’una e mezza di notte!»
V: «Mattia, non potrai mai essere certo del tempo che scorre, perché esso in realtà non esiste. Come diresti tu, è un ologramma, qualcosa di inafferrabile, che non si può percepire con le dita. Potrebbero essere le sette e trentacinque come potrebbero essere le otto del mattino oppure l’una di notte. Il tempo, come del resto anche il passato, non esiste. Sono concetti di cui non esiste una prova eterna e indistruttibile; l’unica cosa che li può testimoniare sono la memoria degli esseri umani, gli orologi e gli oggetti, i reperti, le opere d’arte.
Siccome tutte queste cose sono distruttibili, in quanto gli esseri umani muoiono con la loro memoria e gli oggetti si possono disintegrare, l’unica cosa che realmente esiste è il presente, che dura solo una piccola frazione di secondo. Nel momento in cui un’azione diventa passata, questa cessa di esistere.»
M: «Ma io sono certo che l’ultima volta che ho controllato il mio orologio da polso questo segnava l’una e mezza di notte.»
V: «Come fai a non essere certo di non aver letto male l’ora? L’unica tua sicurezza risiede nella tua mente, che è soggetta ad errore come quella di tutti, quindi non puoi essere sicuro dei numeri che le lancette ti hanno indicato.»
M: «Ma se ragionassi in questo senso, se tutti ragionassimo in questo senso, nessuno sarebbe più sicuro di nulla e se così fosse saremmo tutti pazzi. Qualsiasi certezza crollerebbe come un castello di carta.»
V: «Quali sono le tue certezze? Adesso, di cosa sei certo?»
M: «Mi chiamo Mattia, ho trentacinque anni, vivo a New York e in questo momento sto aspettando Sofia, una donna che ho conosciuto l’altro ieri mentre camminavo per Wall Street in direzione della banca, lei…»
V: «Cosa sai di Sofia? Quali sono le certezze che hai su di lei?»
M: «È una donna, è mora, alta, bella e si chiama Sofia.»
V: «L’hai mai anche solo sfiorata con le tue dita? Hai sentito la sua carne anche solo per un istante sotto ai tuoi polpastrelli?»
M: «No. Non mi sono quasi nemmeno avvicinato mentre le parlavo.»
V: «E allora come puoi avere la certezza che lei non sia un ologramma? Nello stesso modo in cui non sei certo dello scorrere del tempo senza una prova materiale, non puoi essere certo dell’esistenza di Sofia come persona vera.»

Mattia si siede sulla panchina. In volto ha un’espressione cupa, stanca.
Dopo aver tenuto la testa tra le mani per un po’, alza il capo, tira fuori dalla tasca della giacca il pacchetto di Lucky Strike rosse, sfila un’altra sigaretta e l’accende.

M: «Sofia quindi è un ologramma. Non è una persona reale.»
V: «Esatto.»
M: «Perché sono qui?»
V: «Non lo so, forse è meglio che tu vada a casa, domani devi lavorare.»

Mattia si alza, sempre con la sigaretta tra le mani, e si incammina verso l’uscita più vicina di Central Park. Mentre avanza con passo affrettato stringe le mani l’una con l’altra, quasi come per essere certo di non essere un ologramma anche lui.


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Ultimo aggiornamento: 16 gennaio 2010