Premio letterario SofiaPremio letterario SofiaPremio letterario Sofia
17ª edizione - (2014)

Un falso soldato

Mi trovavo davanti a un esercito imponente di soldati, più di quanti ci aspettavamo, a dire la verità un vero e proprio numero di nemici non lo avevamo ancora calcolato e tanto meno non sapevamo ancora cosa fosse una guerra.
Però continuavo a sostenere che la guerra era ed è una di quelle parole che ha sempre avuto il compito di etichettare le grandi tragedie di un mondo morto in partenza.
Ero lì, quando Leonida dalla chioma fluente, faceva tremare la terra con il suo lungo dardo e volare la sabbia con i suoi passi veloci.
Una guerra persa in partenza, ma non per la gloria, né tanto meno per l’onore. Sin da piccolo mi hanno insegnato a essere spartano, e con ardore, io, ora, urlo ai miei avi il motivo per cui sono morto, narrandovi i fatti avvenuti.
La sabbia argillosa si insidiava nei miei sandali, come un fiume in piena, mentre la terra tremava per il battere dei piedi di un migliaio di soldati contro trecento dei nostri; questa notevole differenza mi fece tremare per un attimo il cuore, ma la mente mi fece riprendere il controllo.
Quei maledetti persiani dalla pelle scura, che inquinavano la nostra terra, ora erano lì per rubarcela? Non gli era bastata la sconfitta a Maratona?
Ma non contava tutto questo, quando erano davanti a noi privi di armatura, e protetti da un fragile scudo di legno in contrasto con le armature di noi spartani, fatte in bronzo lucente, il bronzo donatoci dagli dei.
Il tremore della terra aumentava di intensità mentre iniziavamo a scorgere le punte luccicanti dei loro dardi e i visi scuri dei giocattoli di un re folle.
Quel re, che continuava a far scendere in battaglia migliaia di soldati, per conquistare la nostra terra, mentre ognuno di loro avrebbe preferito dormire assieme a una moglie, con un bicchiere di vino, assaporando la brezza di mare in compagnia di un cane fedele, e chissà, magari, assaporando anche quella libertà donatagli.
Libertà, che nome lontano da questo campo sabbioso.
Mentre la mia mente si perdeva nel pensiero di una vita diversa da quella, sentii i miei compagni spingere in avanti lo scudo, protendendo le braccia in avanti per far forza, erano finalmente arrivati, iniziai a sfoderare il mio dory e fecero altrettanto i miei compagni, mentre sentivo la pressione sullo scudo aumentare, buttai con forza il mio dory sul cranio di un persiano, che sanguinante non ebbe neanche il tempo di vedere il mio volto.
Morì come animale non come uomo.
Subito un altro persiano si fece avanti per far pressione, spostando con i piedi il corpo ormai senza vita del compagno.
Lanciai ancora una volta il dory sui nemici, con la punta che mirava alla testa del nemico,
questa volta il nemico riuscì a schivare il mio colpo e la lancia andò a vuoto, la lasciai cadere mentre afferrai con forza lo xiphos, che riposava ormai da troppo tempo nel fodero in cuoio.
Colpii con la lama le fragili gambe che lo fecero inginocchiare davanti a me, e mentre scrutavo quel viso impregnato di sangue, trovai solo sofferenza, decisi di eliminare la visuale di quell’uomo mozzandogli la testa, con un colpo di lama gli feci cadere la testa nella sabbia, nella stessa sabbia che in quel giorno si tinse di rosso.
Passò il giorno e il cielo finalmente imbruniva, anche lui stanco della lunga battaglia.
Vi erano molti feriti, e la notte passava lentamente, come se la dea Atena avesse allungato la notte, per poter permetterci di recuperare le forze per l’imminente battaglia.
Il cielo schiarì, e il sole pian pian piano si alzava sull’orizzonte accecando la vista dei soldati dormienti, io ero in piedi che scrutavo il mare quando vidi un mio compagno aggirarsi nel campo con passo veloce.
Distolsi lo sguardo dall’uomo per dirigere il mio sguardo verso Leonida, che fece cenno di andare da lui.
Arrivai lì, con il cuore che batteva all’impazzata sia per paura che per l’ardore con cui mi spiegò la nuova tattica.
Dopo aver finito mi batté la mano sul braccio dicendomi: «Vade, et patriam defendere» mi
voltai mettendomi in formazione.
Lui invece si rivolse all’esercito con un discorso d’incitamento, che fece tremare gli scudi Spartani, pronti alla guerra.
Finalmente un nuovo giorno di guerra iniziava, e tutto l’esercito era pronto a…

«A tavola! Giulia! A tavola!»
«Mamma, non ora ti prego! Sono arrivata al punto in cui il soldato racconta il secondo giorno di guerra tra Sparta e Persia!»

L’ho trovata rannicchiata in un angolo dello sgabuzzino, tra scope e stracci, mentre stringeva tra le mani un libro dalla copertina in cuoio, uno di quelli dalle pagine gialle e dall’autore anonimo, che appena aperto ti dà l’impressione di poter sentire l’odore delle mani dei suoi vecchi proprietari e leggendo le sue strofe ti dà l’impressione di vivere in mondi diversi o navigare nello spazio più angusto dell’intero universo, perché questi sono i libri, sono mezzi che azionano l’immaginazione, sono come chiavi che aprono uno scrigno di pensieri, sono un mezzo di sfogo, e quando li leggi e riesci a immedesimarti nella storia piangi e ridi assieme ai personaggi, che speriamo escano dal libro.
Queste sono le cose che compongono un libro: pagine, inchiostro e talento.
Non riesco a trattenermi, mi siedo lentamente accanto a lei, che protesta spingendomi via con la spalla, ma io mi limito solo a guardala, perché l’immagine più bella è quella di una bambina che legge e impara.


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Ultimo aggiornamento: 16 gennaio 2010