Games (The Strokes)
With all the noise above,
He tried to call his name,
The trial would go on,
The day has just begun…
E il giorno in effetti era iniziato.
Alexan schiuse leggermente gli occhi, tastando il comodino alla ricerca del suo smartphone per interrompere la sveglia che lo aveva destato dal suo meraviglioso sogno.
Living in an empty world,
Living in an empty world…
La mano cadde a peso morto sul telefono, cessò l’irritante suono e prese l’apparecchio portandoselo agli occhi. Dalla posizione supina in cui si trovava, con grande sforzo di addominali ed emettendo un lungo sbadiglio, s’incurvò sul telefono lasciando scivolare quasi automaticamente il dito per sbloccare lo schermo. Nessuna notifica. Con un tonfo si lasciò cadere di nuovo sul letto e richiuse gli occhi.
Sbuffando si alzò, fece colazione e si precipitò a lavorare. Dopo il lavoro tornò a casa, andò a fare jogging con il suo amico Aaron, si fece la doccia, giocò alla playstation, mangiò e andò a dormire.
Punto e basta.
La vita ormai per Alexan non aveva più un significato. L’unica cosa che contava per lui era mantenersi, prendersi cura di sé e svagarsi di tanto in tanto. Non gli era successo niente di particolarmente tragico che giustificasse il suo atteggiamento di vita, era semplicemente la sua indole incolore a renderlo una completa ameba. Niente lo appagava.
La mattina dopo, era sabato, per gioco, o forse per noia, incominciò a sfogliare in un modo particolare alcuni libri che aveva in camera nella libreria, ossia leggendo solo l’ultima frase.
«Questi furo gli estremi onor renduti al domatore di cavalli Ettorre».
Molto poetico, certo, ma senza nulla da comunicare. Proseguì.
«Dio mio! Un attimo intero di beatitudine! È forse poco per colmare tutta la vita di un uomo?».
Queste parole strisciarono dentro ad Alexan fino ad arrivargli al cervello. Giunte lì innescarono in lui una serie di emozioni che culminarono in una lacrima che lenta e inesorabile gli scese sulla guancia destra. Lesse e rilesse quella frase fino a che gli occhi gli fecero male e ancora e ancora.
Quelle semplici parole avevano racchiuso ciò che Alexan cercava da troppo tempo: il senso della via. Ma lui no, no. Lui questo stramaledetto senso della vita non lo trovava da nessuna parte. Pianse.
Si svegliò la mattina dopo tremando. Ormai tutto aveva riacquistato un senso, un colore, una vita, ma lui non riusciva a veder lo splendore e la semplice naturale bellezza di tutte le cose che lo circondavano.
Una delle poche, forse l’unica occasione che aveva per esplodere e uscire dal suo guscio gli si presentò davanti in quella serie di parole legate in senso logico e sintattico ma lui sembrava come inibito da esse che avevano provocato in lui l’effetto contrario che avrebbero prodotto su qualsiasi altro uomo.
Al posto di portare vita, portarono via la vita.
Accese lo stereo, fece un nodo ad una robusta corda che usava per il quotidiano esercizio fisico e, con la massima tranquillità che avrebbe potuto avere salì sulla sedia della cucina appendendo la corda al lampadario. Infilò la testa nel nodo.
Maledette parole.
Ci pensò ancora a quelle maledette parole ma rise, oramai che bisogno c’era di cercare questo «attimo di beatitudine» se da lì a poco sarebbe finito in un luogo in cui non avrebbe vissuto solo un attimo, ma addirittura una vita di intera beatitudine?
Diede un calcio deciso alla sedia, mentre ancora nella stanza echeggiava il suono della musica emessa dallo stereo.
Living in an empty world…
Living in an empty world…
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