Il vuoto dell’assenza
Sam fissava il vuoto, lo sguardo vacuo perso in mille pensieri. Il silenzio, una presenza ingombrante, invadeva la casa. Willow era rimasta da Thea, forse avrebbe dormito lì.
E così mi ritrovo a passare una serata in compagnia di me stesso… Hahahah, caro vecchio Sam, non ci sei più abituato, vero? Beh, di certo non puoi passare l’intera notte seduto qui a fare nulla, quindi alza le chiappe e fai qualcosa di utile per l’umanità.
L’idea gli venne in mente all’improvviso, come un fulmine a ciel sereno. Decise di andare su, a esplorare la vecchia soffitta.
Chissà perché non ci sono mai andato. Vivo qui da più di sei mesi e non ci ho mai messo nemmeno piede.
I suoi passi sulle scale sollevarono quintali di polvere, che gli entrò nelle narici e lo fece starnutire. Continuò a tossire per qualche istante, gli bruciava la gola. Appena mise piede sull’ultimo scalino, vide che la stanza era immersa nell’oscurità. Cercò a tentoni l’interruttore della luce e appena lo trovò sentì un’ondata di sollievo travolgerlo. Non gli piaceva rimanere al buio in un posto che non conosceva.
Che razza di idiota… Alla tenera età di ventisette anni ho ancora paura del buio. Quasi quasi potrei implorare Willow di raccontarmi una favola della buonanotte.
Schiacciò il pulsante e una luce sottile, opaca uscì da una vecchia lampadina. Quella luce fioca illuminava a mala pena a pochi metri di distanza, non sarebbe mai bastata a risvegliare gli angoli più remoti della soffitta.
Devo ricordarmi di cambiare questa dannata lampadina.
Poggiò infine un piede per terra: alzò un tale nugolo di polvere da non poter respirare. Tenne la bocca chiusa e le narici tappate per qualche secondo.
Appena riaprì gli occhi diede un’occhiata in giro: due finestre di vetro sporco si aprivano sul sottotetto, lasciando intravedere qualche misero squarcio di cielo scuro. L’aria era gelida, il suo stesso fiato si condensava a ogni respiro.
Devo dedurre che qui non arrivi il riscaldamento.
Era un posto davvero inquietante. Il pavimento era coperto da una lisa moquette rossa, intrisa di polvere accumulata negli anni.
Prossimo lavoro: eliminare questa moquette.
Di fronte alle scale, addossate contro il muro, c’erano due immense librerie di legno scuro, antico. Entrambe erano colme di libri: Sam le guardò ammirato, affascinato. Si avvicinò con passo leggero, cercando di non sollevare troppa polvere. Poggiò un dito sul legno sporco e gli rimase appiccicata una sostanza densa, scura. Disgustato, si pulì sui jeans. Sfiorò i libri, annusò l’odore della carta antica. Improvvisamente udì uno scricchiolio alle sue spalle: il cuore gli balzò in gola, il respiro gli si bloccò nei polmoni. Si voltò e non vide altro che ombre.
Questo posto non mi piace… Non lo so, in un certo senso mi spaventa, eppure sono affascinato, quasi magnetizzato.
Voltò lo sguardo a destra e vide una serie di scatoloni ammassati contro la parete. Si chinò e ne aprì qualcuno: trovò le solite cose prevedibili, stipate in qualsiasi vecchia soffitta. Vecchi giocattoli, vecchi vestiti, vecchi giornali. Oggetti ormai privati della loro anima, oggetti caduti nell’oblio.
Chissà che fine hanno fatto i vostri proprietari…
Stranamente, quel pensiero lo inquietava. Non voleva immaginare il bambino che aveva giocato con quel trenino mentre andava a lavorare in banca, con quarant’anni di peso in più sulle spalle, o la ragazza che aveva indossato quei vestiti, un tempo di moda, piangere al funerale di suo marito. Colpito dai suoi stessi pensieri, aprì un altro scatolone. Questa volta la scoperta era decisamente più eccitante: un piccolo bauletto di legno scuro era nascosto sotto un telo di cotone blu.
Sam lo prese delicatamente in mano e lo sfiorò con leggerezza. Trovò con le dita la serratura: era chiusa. C’era bisogno della chiave per aprirlo. Diede un’occhiata dentro allo scatolone, sperando di trovarla. Frugando in mezzo alla confusione trovò uno oggetto di legno dall’aria familiare, simile a una cassettina.
Quando lo aprì una strana melodia, malinconica e inquietante, invase l’aria. Rimase paralizzato, immobile, le orecchie tese ad ascoltare il suono dolce e terribile.
Dentro al carillon, una ballerina di legno rovinato ballava allo stremo delle forze, come se fossero i suoi ultimi passi prima della morte. Rimase lì seduto, fermo ad ascoltare, mentre la melodia si ripeteva all’infinito, ossessiva, estenuante, rallentando ogni secondo che passava: gli ultimi respiri agonizzanti prima di tornare al silenzio.
Quando finalmente si scaricò e l’ultima nota risuonò nel silenzio, Sam si risvegliò. Dentro al carillon, sotto alla ballerina, era nascosta una piccola chiave dorata. Il ragazzo sorrise, soddisfatto dalla scoperta. Afferrò la chiave e si avvicinò al bauletto: la infilò nella serratura e aprì il coperchio. Portò il rinvenimento alla luce: impilate disordinatamente l’una sull’altra, c’erano un plico di lettere dalla carta ingiallita e qualche vecchia fotografia. Rimase colpito da un’immagine in bianco e nero: una bella ragazza sorrideva radiosa all’obiettivo. Prese uno dei fogli e lo sfiorò delicatamente: la carta scricchiolò. Aprì la prima lettera e cominciò a leggere:
21 ottobre 1871
Caro Julian,
è da molto tempo che non ricevo tue notizie. Sembra passata un’eternità da quel giorno. I giorni e le notti si alternano come sempre hanno fatto, eppure qualcosa è cambiato. Avverto inesorabile la tristezza di una lunga vita davanti a me. Ho provato a scriverti diverse volte, ma non hai mai risposto. Le attese si fanno sempre più difficili da sopportare e un peso cresce dentro me. Avverto la tua mancanza più di quanto io non possa ammettere. Ogni tanto l’incertezza mi fa tremare, ma poi, in fondo al mio cuore, so che tornerai. La vita di campagna è noiosa e nessun passatempo sembra soddisfarmi. Le giornate si fanno più corte e fredde e il tramonto giunge sempre prima. Le lunghe notti passate davanti al camino mi rammentano quei momenti insieme che ancora danno un senso alla mia vita. Spero di ricevere presto una tua risposta, con tutto il mio affetto.
Grace
Sam osservò la fluida scrittura armoniosa a inchiostro nero distesa sulla carta.
Chi è Julian? E perché non le ha mai risposto? Grace sarà la ragazza della foto?
Una strana sensazione lo tormentava. Si avvicinò al bauletto e aprì un’altra lettera.
12 dicembre 1871
Caro Julian,
ormai ho messo da parte le speranze. Dovevi essere qui da più di un mese, ma ancora non ho ricevuto una tua risposta. Mi domando se io non stia diventando un peso per te. Forse mi stai evitando e dovrei lasciarti stare, ma non mi viene affatto naturale. La mia vita pare appesa a un filo; ho fatto una scoperta che cambierà tutto. Dentro me germoglia il seme della vita: tuo figlio avrà il tuo nome. Tento di eludere le domande invadenti di mia madre, ma presto la verità salirà a galla. La mia pancia va crescendo e i vestiti tirano. Il Natale è alle porte e colgo l’occasione per augurati tutto il bene possibile.
Per sempre tua,
Grace
6 febbraio 1872
Caro Julian,
la mia pancia si ingrandisce con il passare dei mesi. A breve compirò vent’anni. Spero che tu stia bene e che non ti sia accaduto nulla di male. Ho dovuto rivelare la verità a mia madre: non l’ho mai vista piangere a quel modo. Continuava a ripetere «La disgrazia è caduta sulla nostra famiglia! Nessuno ti vorrà in questo stato». Mi sento così sola: devo convincermi che tu esista davvero, e non sia una semplice fantasia di una ragazza sfortunata. Io ti aspetto qui, ora dopo ora, giorno dopo giorno, in uno straziante scorrere del tempo. Ogni tanto faccio ripartire il carillon che mi hai regalato. È l’unica prova che possiedo della tua esistenza, e ascoltarlo mi fa sentire meglio. Vorrei tanto danzare libera e felice come la ballerina, eppure sono imprigionata in questo corpo sempre più pesante. La musica mi fa sognare e ricordare i bei momenti. Con tutto il mio amore,
Grace.
Sam avvertì un brivido scorrergli lungo la schiena. Scorse la pila di lettere rimanenti: erano tutte firmate Grace. Afferrò l’ultima e con mano tremante la aprì.
Caro Julian,
ero ferma, appoggiata al davanzale della finestra in salotto. Fu in quel momento che compresi la realtà: tu non tornerai da me. Questa è l’ultima lettera che ti scrivo, nella speranza che arrivi a destinazione. Mi hanno detto che aspetto un maschietto: lo chiamerò come te, sognando che onori il nome di suo padre. Ricordo ancora gli attimi passati insieme sulle verdi colline, e dentro me, amore mio, so che non ti dimenticherò mai. Ora ti devo lasciare: qualcuno sta bussando alla mia porta. Addio.
Grace
Grace si alzò e corse a vedere chi bussava, tirando su le vesti per non inciampare nel tappeto.
«Chi è?».
Una voce roca e flebile attraversò l’uscio di legno. La ragazza aprì la porta, accarezzandosi la pancia. Il suo volto era colmo di stupore davanti allo spettacolo che i suoi occhi non volevano vedere.
Julian era accasciato per terra, il volto sporco di polvere e i vestiti insanguinati.
«Julian, che succede?». Con le lacrime agli occhi, sbarrati per lo shock, si chinò ad aiutarlo. Lo sollevò di peso e, stremata dallo sforzo, lo trascinò su una poltrona davanti al fuoco. Il ragazzo le lanciò uno sguardo grato e colmo d’amore. La sua gola gracchiò mentre cercava di parlare. Grace si avvicinò a un centimetro dalla sua bocca.
«Acqua» supplicarono quelle labbra screpolate e perfette.
La ragazza corse al pozzo, dove colse un secchio colmo di liquidi. Si avvicinò a Julian e cominciò a spogliarlo, lavando il corpo ferito e dandogli da bere. Stremata, si accasciò accanto a lui e gli accarezzò il volto.
Il ragazzo si era addormentato profondamente. Fuori nevicava e l’aria era invasa da un dolce biancore, fatto di leggera malinconia soffusa. Il cielo era candido, ricamato di luci e ombre. Non si riusciva a scorgere nulla, solo un profondo silenzio che sovrastava il mondo. Il vento gelido muoveva le ultime foglie autunnali attaccate ai rami. La neve si accumulava sull’erba, un cristallo sopra l’altro.
Grace inspirò a fondo. Julian aprì gli occhi.
«Hai visto? Sono tornato» mormorò con voce debole. Le osservò la pancia e il volto stanco si riempì di stupore.
«Aspettiamo un bambino… Grace sorrise radiosa, come non faceva da mesi.
Si alzò e prese una coperta, stendendola sul corpo infreddolito di Julian.
«Questa guerra è stata orribile. Mi è sembrato di non uscirne vivo. Ho visto cose inimmaginabili, crudeltà senza fine».
I grandi occhi verdi del ragazzo brillarono sul volto scavato. Grace si strinse a lui e finalmente si addormentò in pace. La mattina dopo venne svegliata dall’umido ticchettio della pioggia. Aprì gli occhi e Julian non c’era più. La coperta aveva ancora il suo profumo. La annusò a fondo, mentre le lacrime bagnavano il morbido tessuto.
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