Una cittą nascosta - da Le cittą invisibili di Italo Calvino
Da qualche parte, nei mari degli Stati Uniti, c’è una città sommersa dalle acque.
Una volta era affiancata a New York, poi una tempesta nei mari la allagò. Ci fu una naufragio, per anni rimase in quella situazione, ma da a un certo punto, ogni mese, all’insaputa di scienziati e cittadini, veniva sommersa sempre di più, come una grande nave che affonda lentamente. Continuò cosi fino al giorno in cui sprofondò di colpo, sparì definitivamente, e non si ebbe più traccia di essa.
Secondo le teorie e le leggende metropolitane, tutte le persone che abitavano in quel luogo morirono, ma solo io so che non fu così. Sono uno scienziato, a cui, dopo molti anni, è stato affidato l’incarico di andare a verificare l’esistenza di questa città sommersa, con un sommergibile, poiché accanto a New York non fu trovato nulla di quella città, neanche un mattone.
Girando per i fondali dell’Atlantico, poco lontano dalla grande mela, trovammo una grotta molto particolare, con una grande porta in vibranio (un metallo indistruttibile), delegai dei palombari a controllare se potesse aprirsi. Trovarono delle scritte incise che dicevano «Ben venuti nella città di…», il resto della scritta era coperta della alghe attaccate sopra dal tempo. Ciò voleva dire che nessuno l’aveva ancora aperta, accanto c’erano due grotte, per aprirle bisognava trovare la statua di Poseidone, prendere le due perle sulla triade che teneva in mano, posizionarle sulla roccia e solo così l’avremmo aperta.
Agimmo così, entrammo procedendo avanti e lentamente, in uno spazio buio, probabilmente stavamo attraversando la grotta, c’era solo la fiducia nell’esistenza della città e le luci dei fari, intorno tutto nero; poi finalmente una luce da cui filtravano i raggi del sole, l’acqua riprese a brillare intorno a noi, c’erano rovine di antiche colonne greche d’ordine corinzio (il più bello!) risalenti al periodo classico.
Ma alzando la testa, spariti i forti raggi del sole che ci costringevano a guardare in basso, vidi qualcosa di spettacolare, forse la più bella della mia vita: grandi palazzi simili a quelli dell’antica Micene, completamente aperti, senza né porte né finestre, strani macchinari simili a sommergibili giravano per le vie, creature particolari, dalla pelle chi verde e chi blu, si affacciavano dai piani alti, altri esseri nuotavano in una zona riservata a chi si muove senza macchinari. Per spostarsi, queste creature usavano dei grandi tubi chiusi immersi nell’acqua, per raggiungere piazze o vie, in sicurezza dai sommergibili, un po’ come i pedoni che usano i marciapiedi per spostarsi.
Avanzammo con il nostro sommergibile che si confondeva con i loro macchinari, in mezzo a piante strane, coralli mozzafiato, era come fare un viaggio turistico e naturalistico spettacolare. Fino a quel momento era tutto tranquillo, ma le domande principali che mi sorgevano erano: Come ha fatto la città ad arrivare fino a questo punto, se è sprofondata vicino a New York? Gli abitanti discendono dai nostri cosiddetti martiri che affondarono con la città nel disastro leggendario di quel giorno? Perché non si sono mai manifestati all’umanità ? Ma, soprattutto , dove era collocata e dove ci troviamo?
Vagando curioso tra i quartieri, feci un grave errore, ordinai a due dei miei uomini di scendere e fare delle foto e di prelevare dei campioni. Una volta scesi, riuscirono a fare solo delle foto e nient’altro, perché arrivarono delle strane guardie, come di pattuglia, che avevano delle triadi come armi e non esitarono a lanciarle colpendo il cuore dei miei uomini.
Da ciò capimmo che era una popolazione pacifica al suo interno, ma non con gli umani, avevano paura di noi e probabilmente c’era anche una gerarchia. Con grande compianto e dispiacere verso i nostri compagni persi, proseguimmo; improvvisamente una forte corrente ci trasportò in una specie di foresta, dove c’erano alberi di superficie sommersi, lontani dalla città. Avanzando tra fitti paesaggi, ci imbattemmo in un corridoio di metallo, dal quale uscimmo in un’altra parte della stessa città, seguiti dai sommergibili del posto. Non era una zona normale, c’erano migliaia di cabine con all’interno i loro abitanti defunti (un cimitero), al centro di questa grossa piazza trovammo una strana macchina con la quale gli abitanti provavano una sensazione di benessere.
Decisi di scendere per provarla, vidi i momenti più belli con le care persone defunte della mia vita; era una specie di zona mortuaria della città, un cimitero gigante, uno solo in tutta la città. Incontrammo un altro tunnel, da lì non fu difficile capire che la città era formata da piccoli quartieri collegati da tunnel, come le nostre metropolitane. All’uscita del tunnel ci ritrovammo in una grande piazza, con una roccia su cui era inciso Piazza di marmo. Il motivo era chiaro, c’erano più di cinquecento statue raffiguranti i vecchi della città, saranno state alte venti metri, erano colossali. Capimmo che da lì a poco sarebbe comparsa la sala reale, infatti, in fondo alla grande piazza trovammo una porta, ma era sigillata, il modo per aprirla era inciso sulla stessa: «trovare una grande chiave e inserirla nella grande serratura», perché l’accesso era riservato alle autorità.
Fu proposto dai miei collaboratori di tornare in superficie, il punto era che non sapevamo come tornare, dovevamo quindi avanzare nella grande piazza, dove c’era la porta nascosta e lì c’era anche la chiave per aprirla. Non fu difficile, grazie ai nostri laser, ma dinnanzi a noi apparve un buco nero, alzando il raggio compressore e le valvole di tribordo riuscimmo a non farci risucchiare dall’altra sponda del buco.
C’era il tritone ma era protetto da un Kraken, con fatica lo uccidemmo, prendemmo il tritone gigante che era la chiave, e una volta entrati, si aprì una grande sala con un trono mastodontico e con un re alto sette metri con un tritone in mano. Fu lui il primo impatto, aveva la pelle rosa come la nostra, capelli lineari, un costume simile a un costume da bagno rosso con scaglie di pesce, le orecchie a punta come un elfo, affiancato dal re Nettuno, suo padre.
Parlammo con loro tramite un traduttore incorporato nel nostro sottomarino e una volta spiegatogli che dovevamo tornare in superficie ma non sapevamo come, si mostrò sicuro e solidale nei nostri confronti, nonostante la sua paura verso gli umani, aprendoci un portale simile a un vortice d’acqua che ci avrebbe riportato in superficie, perdonandoci per tutto ciò che avevamo combinato nel suo regno, valorizzandoci come guerrieri.
Non so se questo incontro ci farà un giorno convivere con loro, ma di certo non ci saranno più ostilità tra i nostri due popoli.
Dal momento in cui il Presidente vide i nostri dati e le nostre foto, la città fu soprannominata dai giornali e da tutti noi Atlantide.
»Torna all'elenco dei testi
»Torna all'elenco delle edizioni