Cinerarium
L’impatto con il suolo fu doloroso. Come buttarsi di petto in un piscina dalla superficie ghiacciata.
Mi alzai reggendomi la testa con una mano e barcollando. La vista era offuscata e tutto ciò che mi circondava mi appariva confuso. Sbattei le palpebre cercando di mettere a fuoco appena riconquistai l’equilibrio.
Davanti a me si estendeva un interminabile oceano grigio. Presi un pugno di quella polvere che costituiva il terreno: cenere. La feci scivolare tra le dita. Mi arrampicai su una duna per cercare di orientarmi. Lo spettacolo che mi si presentò davanti mi lasciò a bocca aperta: dune di cenere si rincorrevano come onde durante una tempesta, estese a perdita d’occhio; il cielo era di un bianco accecante e dava l’impressione di essere compresso da una cupola di perla. Sopra di me un’enorme luna nera dominava il paesaggio. Intorno alla lucida sfera corvina era sospesa quella che sembrava una nuvola, una nebulosa dai mille colori come una macchia d’acquerello. Il mio sguardo era intento ad accogliere con stupore ogni particolare di quel mondo quando mi fermai su qualcosa che spuntava dalla cenere. Sembravano degli edifici.
Dunque, poteva esserci qualcuno oltre a me! Avrebbero potuto dirmi dove mi trovavo.
Barcollavo e scalciavo cercando di farmi strada in quel terreno ostile. Arrivare ai palazzi non fu cosa facile. Inoltre, ogni volta che alzavo lo sguardo, mi sembrava si allontanassero.
Quando finalmente li raggiunsi mi fermai a prendere fiato. Il cancello d’ingresso era di ferro battuto, gravemente divorato dalla ruggine e dal tempo.
Here Lies Humanity
Recava la scritta a caratteri cubitali che lo sovrastava cadente e rugginosa anch’essa.
Non potevo desiderare un benvenuto più accogliente!
Mi addentrai con passo lento tra le costruzioni facendo affondare nella cenere prima un piede e subito dopo l’altro. Intorno a me si ergevano colossali grattacieli, case e negozi della stessa tonalità di grigio del suolo. Spuntavano come fiori selvatici, come erbacce. Sembravano voler raggiungere il cielo o salvarsi dall’affondare. Mi avvicinai a uno di essi e lo sfiorai appena. Un po’ di cenere vi si staccò e cadde al suolo. Alcuni granelli continuarono a fluttuare senza meta. Tutto in quella città era carbonizzato e ridotto in sottile polvere. Il minimo soffio di vento poteva spazzare via ogni cosa.
Sembrava la proiezione di un cinematografo.
A un tratto un lampo color violetto illuminò la strada sulla quale stavo camminando. Proprio di fronte ai miei occhi una fiamma ametista generò un albero nero e contrito. Mi avvicinai con cautela e appoggiai una mano sul tronco: era fatto anch’esso di cenere. Eppure era lì, reale e concreto. Poco più in là un secondo focolare viola iniziò a galleggiare per aria in procinto di creare qualcosa. Dalle fiamme estinte un’automobile andò a incastrarsi nel suolo come un relitto mangiato dall’oceano.
Ero perplessa. Quel fuoco non era come quello del mio mondo. Non distruggeva, bensì creava.
La curiosità mi spinse ad addentrarmi di più in quella misteriosa città monocromatica.
Oltre ai palazzi c’erano ospedali, scuole, teatri e persino un bosco intero. I lampioni ai lati della strada illuminavano grazie a fiammelle viola.
Stavo lasciando il centro per entrare nella periferia. Gli edifici diventavano più rari per lasciare spazio a enormi scheletri di fabbriche e capanni.
Stavo cercando un modo per entrare in una di esse quando un tuono mi fece sobbalzare. Un temporale?
Corsi a cercare riparo in un capannone e lì mi sedetti. Osservavo la meraviglia di quel luogo con un misto d’incessante panico e stordimento. Iniziò a piovere. Le gocce d’acqua erano dipinte dei colori dell’arcobaleno. Non resistetti e uscii dal mio riparo. Misi le mani a coppa e raccolsi quell’acqua: i colori rimanevano separati formando un effetto d’incredibile bellezza. Mi lasciai cadere nella cenere. La pioggia mi colpiva e sembrava far defluire la paura dal mio corpo. Mi addormentai. La sensazione di smarrimento, la confusione e il terrore erano scomparsi.
Al mio risveglio era tutto buio. Non mi trovavo su un tappeto di polvere ma sul pavimento della mia camera, davanti al camino acceso nel quale scoppiettava un caldo focolare.
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