Riflessioni di primavera
Il tintinnio delle gocce
che cadono, una a una, nel pozzo di roccia
intorno chinate le facce,
scorgo il primo fiore che sboccia
l’erba si leva al cielo nero
le bestie abbandonano le tane
mentre io levo ogni più sincero pensiero
ma ormai le mie speranze son vane.
Nell’aria odo pronunciare il mio nome
con i pensieri mi esilio altrove
in quei giorni colmi speme
quando la vita porgeva facili prove:
quel quadro perennemente appeso
con colori lieti e teneri
che non ho mai compreso,
all’esterno, i prati per noi divenivano imperi
nel quale le guerre non erano state inventate
dove l’unico sovrano era la fantasia
e alla fine ci furono insegnate
così sentii che la vita non sarebbe mai più stata mia.
Uguale era la stagione
ma diverso il mio umore
ora qui attorno è pieno di persone
adesso comprendo cos’è il dolore
e mi abbandono a un’altra riflessione
mentre incessantemente passano le ore.
Vicoli cupi attraversò il mio sguardo
dove nell’oblio facile era inciampare.
Per le persone care perdevo il riguardo,
le locande erano l’unico posto ove riposare
per me case di soli muri
e non di ricordi o amore.
In quelle notti colme di rumori
Dove della pioggia si sente l’odore
Io mi lasciai trascinare dai rancori.
Don… don… risuonano per me le campane,
col braccio m’indicando dove andare
e con una fatica immane
la mia esibizione, sul tetro palco, mi accingo a cominciare.
I gradini da salire non sono molti,
in quegli istanti della gente guardo i volti.
Pensare…
è tutto ciò che mi rimane
tutto il resto scompare
resta solo il rumore delle campane.
Grida che preferisco non capire,
ricordi che preferisco dimenticare,
la speranza è l’ultima a morire
ma dalla folla me la son fatta rubare.
Una morsa avvolge la mia gola
un gesto mi separa dalla vita
dall’occhio una lacrima mi cola
perché ormai la vita è finita.
Spero che la poesia vi sia piaciuta e che vi abbia trasmesso le emozioni che mi ero prefisso di trasmettere; ho voluto mettere il commento alla fine così che, prima, ognuno potesse trovare un suo significato, una sua traduzione alle parole e alla fine scoprire il significato che avevo pensato io (nel caso che le due versioni coincidano, vuol dire che avrò fatto un discreto lavoro).
La poesia parla di una persona che, prima di essere impiccata, ricorda i momenti più importanti della sua vita e nella poesia sono alternati ricordi passati con lo scenario presente. Lo scenario dove avviene la vicenda è in un piccolo paesino, di molti anni fa, dove la folla si è riunita per assistere all’impiccagione di un malcapitato. Ho deciso di far sì che non si capisse fin da subito quale sarebbe stato il futuro del nostro protagonista per far capire come può cambiare facilmente e inesorabilmente una vita. Comprendendo il destino di codesta persona, cosa che non si scopre fin da subito ma può essere intuita dalle espressioni «tetro palco» rivolto al patibolo, «una morsa avvolge la mia gola» rivolta al cappio, vengono da porsi molte domande: Chi era? Quanti anni aveva? Aveva famiglia?
Ma la domanda che spero vi sia venuta più alla mente è: Che cosa ha fatto per meritarsi questo? E se questa domanda ve la siete posta, ve ne propongo un’altra: Esiste qualcosa di così grave per meritarsi la morte?
Che la morte possa dimostrare che uccidere o rubare è sbagliato, che la violenza possa essere evitata con altra violenza, è un modo di pensare che io trovo profondamente infantile e sconsiderato perché nessuno dovrebbe poter togliere a qualcun altro la vita, che è il nostro bene più prezioso.
Invito a riflettere su questa mia poesia.
»Torna all'elenco dei testi
»Torna all'elenco delle edizioni