Un’esperienza di lettura
Ho letto il libro Nelle terre selvagge di Jon Krakauer e sono rimasta molto colpita dall’estremo finale. Ho scritto il testo sottostante cercando di immaginare gli ultimi pensieri del protagonista.
Credo che sia arrivata la fine.
Sotto il maglione è affiorata la cassa toracica,
come una gabbia che cinge il mio cuore.
Mi stendo avvolto nel sacco a pelo con la faccia rivolta verso il finestrino.
Resto così, inerme.
Sento il mio corpo appoggiato al mondo,
sento la gravità che mi cinge i fianchi,
percepisco il pizzico degli atomi sulla pelle.
Ma piano piano svanisce questa mia fisicità,
la materia si sgretola, si dissolve lentamente.
Immobile,
il mio corpo assuefatto non sente più il sedile,
la trama del sacco a pelo.
Resto solo io,
io,
puro,
sono solo essenza,
sono elettricità, aria, ossigeno.
Rimango schiacciato tra il cielo e le rocce,
incapace di ritornare.
Il mondo non esiste più,
non esistono più il pullman,
il sedile,
la trama del sacco a pelo.
Ci sono solo io.
Io che sono onde elettromagnetiche,
che sono un pensiero,
una concezione.
Nessuno può raggiungermi,
niente può scalfirmi.
Resto così,
astratto.
Vedo le cime dei pini che si sovrappongono
alle nuvole bianche,
ascolto la voce della natura,
madre dolce ma intransigente.
Penso ai miei genitori, a come sarebbe stato il mio ritorno,
agli occhi di mio padre, ai tratti di mia madre.
Penso a come mi avrebbero stretto tra le braccia,
alle nostre particelle appiccicate,
al sangue pompato veloce dai cuori palpitanti.
Riesco a sentire il loro dolore,
lo percepisco come una stretta lancinante alla gola,
grido,
sono inondato di luce,
lo stomaco stritolato dal senno di poi,
tremo di fronte all’immensità del mondo
che sta per inghiottirmi.
La mia mente martoriata dai ricordi e dai rimpianti
di una vita spesa a cercare la parte migliore di me,
scappando da tutto quello che mi stava stretto,
da chiunque volesse legarmi a sé,
come se volesse imprigionarmi.
Volevo dimostrare a tutti che avrei trovato la mia felicità,
ma cos’è la felicità?
Solo uno stato di estrema contentezza
o la conquista del mio obiettivo più grande?
Eccomi qui, questo era ciò che volevo, essere un tutt’uno con la natura.
Credevo non m’importasse niente di lasciare il mio mondo, la mia famiglia,
non avevo paura della morte.
Invece ora piango e mi accorgo che «la felicità è reale solo quando è condivisa».
Guardo in alto,
mi domando
se ho imparato a chiamare ogni cosa con il suo vero nome,
io, Alexander Supertramp.
Io,
Christopher Johnson McCandless.
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